Condominio

Senza direttore dei lavori il committente risponde dei danni

di Marco Panzarella e Matteo Rezzonico

In materia di appalto che non implichi il totale trasferimento all'appaltatore del potere di fatto sull'immobile nel quale deve essere eseguita l'opera appaltata, non viene meno per il committente il dovere di custodia e di vigilanza e con esso la conseguente responsabilità da cosa in custodia prevista dall'articolo 2051 del Codice civile. La responsabilità oggettiva da custodia può concorrere con la responsabilità per colpa di cui all'articolo 2043 del Codice civile, per non aver scelto un'impresa adatta a eseguire le opere e per non aver predisposto un progetto, nominando il direttore dei lavori. È il principio di diritto condiviso dal Tribunale di Arezzo (sentenza 10 luglio 2018, n. 729) , che ha condannato i proprietari di un edificio (committenti) e l'impresa esecutrice (appaltatore) a ricostruire una strada vicinale che avevano fatto asfaltare a proprie spese e che durante le piogge ha provocato danni (cioè l'allagamento della cantina) alla proprietaria di un immobile sito nella medesima strada, fin dall'inizio contraria all'intervento. Lavori che - come si evince dalla perizia resa nel corso dell'Accertamento tecnico preventivo - hanno determinato un rialzamento delle quote esistenti, rendendo inevitabile in caso di piogge anche poco consistenti che l'acqua penetrasse all'interno della prima cantina, appartenente alla condomina attrice, provocando danni causati dalla cattiva esecuzione dei lavori di asfaltatura della strada vicinale e dalla sua cattiva custodia.
In questo caso per i proprietari condannati a ricostruire la strada e a risarcire i danni alla condomina attrice, trova applicazione l'articolo 2051 del Codice civile che prevede, una volta escluso il caso fortuito, un'imputazione del danno al custode sulla base del nesso causale fra la cosa (cioè la strada in comproprietà) e l'evento dannoso. Il Tribunale aretino si riporta alla giurisprudenza secondo cui «il fondamento della responsabilità è dunque costituito dal rischio di provocare danni a terzi insito nella cosa, che la legge imputa al responsabile per effetto del rapporto di custodia» (cfr. in tema, Cassazione 13 gennaio 2015, n. 295). Con la precisazione che, in determinati casi, la responsabilità del committente permane anche nel caso in cui l'opera sia stata materialmente eseguita da un'impresa cui era stato “consegnato” il bene. Sul punto, il Tribunale ha osservato come «...l'autonomia dell'appaltatore il quale esplica la sua attività nell'esecuzione dell'opera assunta con propria organizzazione apprestandone i mezzi, nonché curandone le modalità ed obbligandosi verso il committente a prestargli il risultato della sua opera, comporta che, di regola, l'appaltatore deve ritenersi unico responsabile dei danni derivati a terzi dall'esecuzione dell'opera. Una corresponsabilità del committente può configurarsi in caso di specifica violazione di regole di cautela nascenti ex art. 2043 cod. civ. dal precetto di “neminem laedere”, ovvero in caso di riferibilità dell'evento al committente stesso per “culpa in eligendo” per essere stata affidata l'opera ad un'impresa assolutamente inidonea, ovvero quando l'appaltatore in base a patti contrattuali sia stato un semplice esecutore degli ordini del committente ed abbia agito quale “nudus minister” attuandone specifiche direttive».
Nel caso specifico i committenti potrebbero essere corresponsabili, anche per colpa, a norma dell'articolo 2043 del Codice civile (che può concorrere con l'articolo 2051) in quanto non hanno nominato alcun direttore dei lavori, che avrebbe evitato all'impresa costruttrice di commettere gli errori riscontrati (o quantomeno avrebbe sollevato contestazioni in corso d'opera, evitando il danno) e non hanno predisposto il progetto esecutivo. Danno che era evitabile, in considerazione del fatto che: la riduzione della permeabilità del terreno è una conseguenza inevitabile dell'asfaltatura della strada; le caditoie sifonate di raccolta installate per lo scolo delle acque avevano superficie netta inferiore a quella necessaria; i due pozzetti, provvisti di chiusini in ghisa, non erano dotati di griglia di raccolta; la griglia posta in prossimità dell'ingresso dell'abitazione della danneggiata era di dimensioni insufficienti e si trovava ad una quota maggiore di cinque centimetri rispetto a quella della soglia della porta; il tubo di scarico della griglia, del diametro di quattro centimetri, anch'esso sifonato e con filtro di protezione, non poteva recepire tutta la quantità di acqua che la griglia raccoglie. Infine, lo spessore dell'asfalto non era stato contenuto nella quota di dieci centimetri di cui al preventivo, creando un pericoloso dislivello rispetto alla soglia di accesso alla proprietà della danneggiata.

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