Condominio

Acqua potabile, condannato chi si approvvigiona senza autorizzazione

di Giulio Benedetti

La potabilità e l'igienicità delle acque distribuite nel condominio assume tragica attualità nei casi di legionella che hanno interessato numerosi cittadini in Bresso e nelle province di Brescia e di Mantova.
Per l'art. 5 del d.lgs. n. 31/2001 l'amministratore del condominio in quanto garante del sicuro esercizio delle parti comuni (artt. 117 e 1130 c.c.) deve rispettare i parametri di sicurezza e salubrità delle acque per le acque fornite attraverso una rete di distribuzione nel punto in cui escono dai rubinetti utilizzati per il consumo umano. Invero (art. 4) le acque destinate al consumo umano devono essere salubri e pulite e non devono contenere microorganismi e parassiti e sostanze che sia potenzialmente pericolose per la salute umana. I controlli interni sulla rete di distribuzione (art.7) sono quelli che il gestore è tenuto ad effettuare per la verifica della qualità destinata al consumo umano ed i cui risultati devono essere conservati per cinque anni. I controlli esterni (art. 8) sono quelli svolti dall'autorità sanitaria per verificare che le acque destinate al consumo umano soddisfino i requisiti previsti dal d.lgs. n. 31/2001 ed in caso di superamento sono previsti provvedimenti inibitori e limitazioni di uso degli impianti idrici. L'art. 17 del R.D. n. 1775/1933 vieta la derivazione o l'utilizzazione di acqua pubblica senza l'autorizzazione da parte della competente autorità.
La Corte di Cassazione (ordinanze n. 22006 e n. 22007 del 2018) ha rigettato due ricorsi da parte di soggetti che erano stati sanzionati in via amministrativa per avere prelevato acqua destinata al consumo umano (per somministrazione di alimenti o bevande) in assenza della prescritta autorizzazione. La Corte richiamava il disposto dell'art. 17 del R.D. n. 1775/1933 per escludere che la condotta dei ricorrenti fosse esente da responsabilità in quanto avrebbero agito in buona fede. E osservava che la buona fede non sussisteva, in quanto i ricorrenti erano entrambi imprenditori che dovevano conoscere il quadro normativo soprattutto in una situazione nella quale i ricorrenti difettavano di qualsiasi autorizzazione all'emungimento delle acque pubbliche. Detta assenza di autorizzazione , che qualificava l'assoluta clandestinità della condotta dei ricorrenti tale da impedire il pubblico controllo sulla igienicità e salubrità delle acque attinte, non permetteva di ravvisare l'errore giustificabile sulla liceità del fatto . Nel caso trattato non poteva neppure essere invocata l'ignoranza della legge (in analogia a quanto previsto dall'art. 5 c.p.) sulla base delle qualità professionali dei ricorrenti sui quali gravava l'obbligo di informazione della normativa per lo svolgimento delle loro attività imprenditoriali.

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