Condominio

Nuove tabelle senza obbligo di unanimità

di Valeria Sibilio

La tabella di ripartizione delle spese di riscaldamento si può cambiare a maggioranza. A chiarirlo è l’ordinanza 19838/2018, in cui la Cassazione ha trattato il ricorso della proprietaria di un immobile condominiale contro la sentenza della Corte d’Appello che aveva ribaltato quella di primo grado (che era a suo favore).

L’assemblea aveva approvato il bilancio consuntivo con una delibera del 2009, ripartendo le spese di riscaldamento e attribuendole alla proprietaria in ragione di 60,60 millesimi, in violazione delle tabelle convenzionali allegate all’atto d’acquisto, che invece le attribuivano 24,00 millesimi. Le tabelle del riscaldamento, peraltro, erano state precedentemente modificate dall’assemblea condominiale con una delibera del 1985, reputata illegittima dalla ricorrente in quanto assunta a maggioranza e non all’unanimità.

Il Tribunale aveva dichiarato l’invalidità della delibera e condannato il condominio a restituire alla proprietaria le somme indebitamente percepite. In appello, poi, i giudici avevano invece accolto le ragioni del condominio, rigettando le domande su cui la condomina aveva avuto ragione in Tribunale. Ed evidenziando che la donna aveva chiesto solo l’annullamento della delibera del 3 giugno 2009, mentre il Tribunale - in violazione dell’articolo 112 del Codice di procedura civile - aveva «incidentalmente statuito anche sulla delibera del 20 settembre 1985 dichiarandola nulla». La Corte d’appello aveva rimarcato, comunque, come quest’ultima delibera fosse da reputarsi valida e come, d’altro canto, fosse fondato il fatto che, tra le parti in lite, era intervenuta sentenza, passata in giudicato.

La Cassazione ha condiviso, per un verso, quanto stabilito dalla Corte d’appello sulla natura obbligatoria della tabella di ripartizione delle spese e della delibera che l’aveva modificata, poiché non avevano inciso sul diritto di proprietà dei singoli condòmini e della proprietaria stessa (alla quale, dunque, ha dato torto).

E ha anche precisato che, qualora la decisione di merito si fondi su una pluralità di ragioni, distinte e autonome, e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse rende inammissibili - per difetto di interesse - quelle relative alle altre ragioni oggetto di “reclamo”. Queste ultime, considerata l’intervenuta definitività delle altre, non potrebbero infatti condurre a cassare la decisione stessa.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©