Condominio

Senza definire il confine le violazioni restano indimostrabili

di Valeria Sibilio

Distanze legali: uno dei temi ricorrenti nell’universo condominiale. Ma senza una linea di confine precisa, non è ammissibile la domanda di eliminare le presunte violazioni . Il caso esaminato dalla Cassazione con l'ordinanza 22374 del 2018 ha trattato il ricorso della proprietaria di un immobile con annesso giardino contro la sentenza della Corte d'Appello che aveva rigettato la sua domanda. La ricorrente, in origine, aveva convenuto in giudizio dinanzi al tribunale i propri vicini - cui sono, in seguito, subentrati gli eredi - esponendo che questi ultimi avevano asfaltato il piano di una strada privata che dalla via adiacente conduce alla sua proprietà e che, per effetto delle opere eseguite, le acque piovane non venivano più assorbite dal terreno, né defluivano verso la via, riversandosi e ristagnando nel giardino dell'attrice. Inoltre, i vicini avevano installato dei collettori, con relativi pozzetti di scarico, nella loro proprietà realizzando due terrazze, al secondo e al terzo piano, sul confine, non rispettando le distanze legali imposte dal locale piano regolatore.
L'attrice aveva chiesto la condanna all'eliminazione delle opere, domanda alla quale i convenuti si erano costituiti resistendo. Questi ultimi, dopo l'espletamento della perizia, avevano realizzato modifiche allo stato dei luoghi, eliminando gli abusi derivanti dalla realizzazione dei collettori e delle fogne. Il Tribunale rigettava le domande, condannava l'attrice al pagamento delle spese processuali e la successiva impugnazione proposta dalla ricorrente veniva respinta dalla Corte d'appello, la quale escludeva che la realizzazione del piano asfaltato avesse modificato la pendenza della strada privata e determinato il deflusso delle acque piovane, assumendo che la pavimentazione in conglomerato bituminoso aveva un livello pressoché identico a quella dell'area cortiliva e che i numerosi rilievi ed avvallamenti presenti su quest'ultima fossero la causa del ristagno dell'acqua.
Riguardo al rispetto della distanze, la Corte riteneva che non fosse stata provata l'esatta collocazione della linea di confine e che quindi non vi fosse prova delle violazioni lamentate, tenuto conto che l'edificio dei convenuti era posto a mt. 2,-2,4 dal confine identificato con il prolungamento della linea passante per la mezzeria del muro fino al confine con la proprietà della ricorrente. Riguardo alle distanze dei balconi, i giudici stabilivano che, all'epoca della loro costruzione, non sussistevano prescrizioni degli strumenti urbanistici locali e che comunque la violazione dell'art. 905 c.c. non legittimava la pretesa di riduzione in pristino mentre l'attrice aveva rinunciato alla domanda risarcitoria.
Al ricorso in Cassazione, sviluppato in cinque motivi,i resistenti depositavano controricorso.
Nel primo motivo, l'attrice lamentava che la sentenza avesse omesso di valutare in modo completo le relazioni delle perizie, da cui era dato evincere che l'apposizione di manto bituminoso sul piano dello stradello posto a ponente del fabbricato aveva creato un dislivello tra le due proprietà, determinando il deflusso delle acque piovane nel piazzale di proprietà della ricorrente. Motivo giudicato dalla Suprema Corte inammissibile. In sede di legittimità, è denunciabile esclusivamente il vizio risultante dall'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, oggetto di dibattito processuale ed avente carattere decisivo. L'omesso esame di un'acquisizione processuale può avere rilievo solo a condizione che il fatto storico non sia stato valutato dal giudice di merito ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Nel caso in esame, la Corte distrettuale aveva esaminato le conclusioni delle perizie, aderendo alle conclusioni della seconda relazione, ritenendo accertato che la pavimentazione in conglomerato bituminoso aveva un livello pressoché identico a quello dell'area cortilizia e che i fenomeni di ristagno erano dovuti ad irregolarità del piano del cortile, dovuti a scarsa manutenzione, che producevano i fenomeni di ristagno.
Nel secondo motivo, per la ricorrente, la sentenza non avrebbe tenuto conto del fatto che dalla perizia risultava che i balconi erano infissi su pilastri e si configuravano come costruzioni che, in base alle prescrizioni dell'art. 4 della variante al p.r.g., dovevano esser tenuti a distanza di mt. 5 dal confine. La perizia, inoltre, avrebbe erroneamente escluso di poter stabilire ove si collocasse la linea di confine, pur dovendo invece considerare il frazionamento cui facevano riferimento entrambi i rogiti di acquisto delle parti. Il motivo è apparso per più aspetti inammissibile. La Corte aveva escluso l'illegittimità dei balconi sull'assunto che, in base alle risultanze di causa, non fosse possibile stabilire con esattezza la linea di confine. Data l'applicabilità del nuovo regime dell'art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c. non si configurava, perciò, l'omesso esame di un fatto decisivo, poiché la collocazione dei balconi rispetto al confine era stata esaminata e valutato. , il che esclude, per quanto già detto, la violazione denunciata. Inoltre, il ricorso non indicava in quale fase e grado del giudizio di merito era stato acquisito o fatto oggetto di dibattito processuale.
Nel terzo motivo di ricorso, per l'attrice la sentenza avrebbe escluso la necessità della rinnovazione della perizia, nonostante quest'ultima avesse dichiarato di non poter stabilire la linea di confine e senza considerare che tale accertamento poteva compiersi in base al frazionamento relativo al rogito del 3.4.1963 e all'elaborato di progetto della licenza di costruzione del 29.11.1969 rilasciata ai convenuti. Motivo giudicato inammissibile. Non è sindacabile la scelta del giudice di merito di non procedere alla rinnovazione della consulenza tecnica e ciò in quanto tale opzione non pertiene ad fatto materiale sostanziante il contenuto delle domanda o di un'eccezione, ma all'esercizio di poteri discrezionali del giudice di merito, cui è rimessa la valutazione dell'opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative di quelle già espletate, di disporre la rinnovazione delle indagini, con la nomina di altri consulenti, con valutazione, anche se negativa, non censurabile in sede di legittimità.
Nel quarto motivo, la ricorrente lamentava il fatto che la sentenza avrebbe asserito che il rogito di acquisto dell'attrice precisava che era ricompreso nell'acquisto anche il cortile indicato nella planimetria unita alla scheda catastale, avendo quindi riconosciuto erroneamente alla suddetta scheda valore probatorio, e per aver individuato la linea di confine della predetta area, facendola coincidere con la linea passante per la mezzeria del muro con proseguimento in linea retta, sebbene non sussistesse alcun atto che avesse modificato il confine individuato risultante dal frazionamento richiamato nel rogito del 22.3.1963. Motivo anche questo giudicato dalla Suprema Corte inammissibile. La sentenza impugnata stabiliva che la domanda di accertamento del confine era stata abbandonata in quanto non riproposta nelle conclusioni. Restando da definire l'azione diretta al rispetto delle distanze legali, competesse alla ricorrente l'onere di provare la sussistenza della violazione, onere che però non era stato assolto. La Corte aveva escluso che il confine tra le due proprietà fosse coincidente con il muro dell'ex stalla, asserendo che sussistevano elementi per stabilire che la linea di confine fosse costituita, per contro, dal prolungamento della linea passante per la mezzeria del muro fino ai confine con una terza proprietà e che distasse mt. 2,24 dalla costruzione dei resistenti. La sentenza ha dato atto, con accertamento in fatto, che il rogito di acquisto della resistente contemplava l'area cortiliva risultante dalla planimetria unita alla scheda catastale, ma giungendo a tale convincimento in base agli elementi di individuazione dei beni risultanti dal titolo, richiamando la mappa solo quale documento descrittivo dello stato di fatto. La sentenza non ha quindi conferito rilievo probatorio decisivo alle sole mappe catastali ed in ogni caso, il ricorso non spiegava quali conseguenze pratiche siano derivate dall'errore in cui sarebbe incorsa la Corte distrettuale.
Nel quinto ed ultimo motivo, la sentenza avrebbe sostenuto che all'epoca delle costruzioni non vi fossero norme locali in tema di distanze delle terrazze dal confine. Inoltre, i balconi a sporto non potevano avere un aggetto superiore a mt. 1,40 per cui quelle dei resistenti, eccedendo tale limite, rientravano nelle previsioni della variante e dovevano esser tenute a distanza di mt. 5. Motivo infondato, in quanto la Corte aveva accertato, richiamando il regolamento edilizio del 14.1.1956, che al momento della costruzione, risalente al 1970, non erano vigenti prescrizioni che imponessero una distanza dai confini. La ricorrente assumeva, per contro, che il Comune era dotato di uno strumento locale che già imponeva un distacco dal confine di mt. 6, ma dal controricorso si rilevava che il regolamento edilizio prescriveva, all'art. 28, non una distanza dal confine, ma un distacco inderogabile tra fabbricati. Tale assunto non è contestato neppure nelle successive memorie ex art. 380 bis c.p.c., non avendo la ricorrente neppure chiarito che, in base a detta previsione del regolamento, la costruzione dei resistenti dovesse ritenersi realizzata in violazione delle distanze. In ogni caso è escluso che la variante avesse assunto efficacia prima della sua definitiva approvazione, in quanto le norme urbanistiche acquistano efficacia vincolante non alla data della loro adozione da parte dei competenti enti pubblici territoriali, ma solo quando, compiuto l'iter previsto dalla legge, vengano approvate dall'organo a ciò preposto.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad euro 200,00 per esborsi ed euro 2.900,00 per compenso, oltre a spese generali, in misura del 15%.

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