Condominio

«Deposito sismico» sempre obbligatorio anche per gli interventi non strutturali

di Giuseppe Latour e Guglielmo Saporito

In zona sismica, va comunicato allo sportello unico del Comune, con deposito del progetto, qualsiasi intervento edilizio, anche non strutturale. Si considera, cioè, a rischio di impatto sulla stabilità della struttura tutto quello che non è manutenzione ordinaria: non conta il materiale utilizzato, il tipo di opera realizzata, la natura pertinenziale o precaria dell’intervento. Tutto è da considerare potenzialmente a rischio. Lo sottolinea la Cassazione penale, con la sentenza 39335/2018 di ieri, allargando così al massimo i confini dell’obbligo di comunicazione previsto dal Testo unico edilizia (articolo 93 del Dpr 380/2001).

Il caso esaminato dai giudici riguardava movimenti terra, terrazzamenti e sbancamenti che in zona sismica avevano fatto emergere un manufatto in precedenza interrato: la linea di difesa degli imputati sottolineava che la costruzione (il manufatto originario) era regolare e che l’intervento edilizio non riguardava parti strutturali. L’opinione della Cassazione è, però, diversa. La norma intende salvaguardare la pubblica incolumità: la natura del materiale usato e delle strutture realizzate è irrilevante. Altrettanto irrilevante è, poi, la precarietà dell’intervento, perché la comunicazione in questione è pensata per consentire un controllo preventivo da parte della pubblica amministrazione su tutto ciò che è realizzato in zona sismica.

Con questo ragionamento, anche la realizzazione di una semplice pertinenza è soggetta a comunicazione, così come la collocazione di un cartello stradale (Cassazione 24086 / 2012). Le modalità di collocazione del manufatto, la morfologia del sito, la pendenza del terreno, le caratteristiche delle strutture di sostegno, possono infatti generare o accrescere una situazione di pericolo. Anche la trasformazione di un sottotetto in vano abitabile, in zona sismica, esige quindi il deposito preventivo del progetto, poiché il concetto di «costruzione» va esteso a qualsiasi intervento edilizio. Stesso discorso va fatto, ad esempio, per l’apertura di finestre o per interventi su parti di muratura che non siano strutturali: dovranno passare tutti dal deposito del progetto.

L’intervento della Cassazione chiarisce uno dei passaggi più contestati, in fase applicativa, del Dpr 380/2001. In alcune Regioni, nella pratica quotidiana, c’è stata la tendenza ad allargare il perimetro degli interventi che non devono passare dal deposito sismico del progetto: la definizione di legge, infatti, lascia ampio spazio alle interpretazioni. Per limitare queste oscillazioni, i giudici adottano adesso un’impostazione semplice: la comunicazione riguarda «qualsiasi intervento in zona sismica». Peraltro, va sottolineato che in zona sismica c’è oltre il 70% dei Comuni italiani. Chi non adempie a questo onere si espone a un’ammenda: l’omesso preavviso d’inizio attività, in quanto reato istantaneo, si consuma nel momento in cui inizia l’attività e si prescrive in cinque anni.

Questa impostazione, comunque, è allineata al parere della maggioranza dei tecnici: gli interventi sulle parti non strutturali sono comunque ad alto rischio, in zona sismica, e possono incidere sulla stabilità dell’edificio. Vanno, per questo, tenuti sotto stretta osservazione. L’interpretazione più rigorosa, allora, dovrebbe essere la base per la revisione del Testo unico edilizia, al quale lavora ormai da mesi una commissione di esperti: probabile che, in futuro, si vada per legge verso un’applicazione molto più estesa delle pratiche di deposito sismico.

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