Condominio

Da giardino a parcheggio: con pochi alberi non è innovazione

di Giulia Bovenzi

La Suprema Corte di cassazione, con l'ordinanza del 29 agosto 2018 n. 21342 (Presidente Oricchio e Relatore Picaroni) , ha accolto il ricorso proposto da un condominio avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma, la quale, in riforma alla pronuncia di primo grado, aveva annullato una delibera condominiale con cui era stato deciso di adibire a parcheggio l'area condominiale circostante, eliminando gli alberi da frutto e del vialetto che separavano il frutteto dall'edificio, nonché allocando il parcheggio proprio al di sotto del terrazzo del condòmino, attore in primo grado.
In particolare, la Corte Territoriale osservava che la destinazione a verde di una parte delle aree comuni, prevista in un precedente contratto di cessione del '57 concluso tra un ente cedente e una società cooperativa cessionaria, configurava un obbligo intercorrente tra le medesime parti, dal quale sarebbe derivato a sua volta un diritto soggettivo del singolo assegnatario di unità immobiliare al mantenimento della destinazione dell'area; che, con riferimento all'insieme del complesso condominiale, la rimozione di un'area a verde e la sua sostituzione con una adibita a parcheggio alterava il decoro dello stesso; che, infine, era evidente la violazione del diritto del condòmino non consenziente alla fruizione dell'area comune secondo l'originaria destinazione.
I giudici di legittimità, di contro, hanno ribadito che la delibera condominiale in oggetto non dà luogo ad una innovazione vietata dall'art. 1120 cod. civ., essendo la predetta area di giardino condominiale interessata solo in piccola parte da alberi di alto fusto e di ridotta estensione rispetto alla superficie complessiva; di conseguenza, la sua destinazione a parcheggio non comporta alcun apprezzabile deterioramento del relativo decoro architettonico, né menomazione del godimento e dell'uso del bene comune. Rispetto a questo ultimo profilo, la Suprema Corte ha chiarito che il limite fissato dall'art. 1120 cod. civ. non si identifica nel semplice disagio o nel minor godimento che l'innovazione procuri al singolo condòmino rispetto a quella che, sino a quel momento, è stata la sua fruizione della cosa comune; la norma richiama il concetto di inservibilità, intesa quale concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità. Allo stesso modo, l'ordinanza ha escluso che dal contratto di cessione su menzionato possano discendere limiti restrittivi alla destinazione funzionale del cortile.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©