Condominio

Quando le verifiche catastali sulle parti comuni bloccano la compravendita di una casa

di Matteo Rezzonico

Un problema che può bloccare la compravendita di un immobile è l’emersione, previa verifica delle parti comuni del condominio, di una non conformità catastale. Per esempio, può accadere che tra i beni comuni citati nel regolamento condominiale e nei singoli atti di acquisto degli appartamenti dei condomini sia citato il locale guardiola e l'annesso appartamento del custode. Ma, da una visura catastale effettuata sull'immobile dal notaio, può risultare non come bene comune ma come proprietà della società che in origine ha venduto i singoli appartamenti. Nonostante ciò è il condominio che versa le imposte per l'appartamento. Come risolvere la questione?
La proprietà di un bene immobile deve risultare dagli atti di acquisto (o dai regolamenti di condominio contrattuali), in forma scritta (articolo 1350 del Codice Civile), trascritti in Conservatoria dei Registri Immobiliari. La trascrizione, in particolare, disciplinata dagli articoli 2643 e seguenti del Codice Civile, che rende pubblici gli atti di acquisto e i regolamenti, è indispensabile per rendere opponibili “erga omnes”, gli atti e i regolamenti stessi. Si tenga anche presente, in relazione ai condominii, che il novellato articolo 2659 del Codice Civile – come modificato dall'articolo 17 della Legge 220/2012 – stabilisce ora che chi domanda la trascrizione di un atto tra vivi deve presentare al Conservatore dei registri immobiliari, insieme con la copia del titolo, una nota in doppio originale, nella quale devono essere indicati, relativamente ai condominii, “…l'eventuale denominazione, l'ubicazione e il codice fiscale”. L'intestazione di parti comuni censibili in capo al condominio – anziché pro quota ai singoli condòmini, in base ai millesimi – semplifica gli adempimenti fiscali e rende più semplice la circolazione delle unità immobiliari in proprietà esclusiva, perché sottrae i relativi atti di trasferimento, relativamente alla parte concernente i beni comuni censibili, all'applicazione delle disposizioni sulla conformità delle risultanze dei registri immobiliari con le intestazioni catastali (cfr. articolo 29, comma 1 bis della Legge 27 febbraio 1985, numero 52).
In ogni caso, rispetto agli atti di acquisto e alle risultanze della Conservatoria, la prova della proprietà non può derivare dalle risultanze catastali, posto che il catasto persegue, principalmente finalità erariali e contributive. E ciò ancorchè - per le stesse finalità erariali e contributive - l'articolo 19, comma 1, del Decreto Legge 78 del 2010, abbia stabilito che: «a decorrere dalla data del 1° gennaio 2011 e' attivata l'”Anagrafe Immobiliare Integrata”, costituita e gestita dall'Agenzia del Territorio secondo quanto disposto dall'articolo 64 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 attivando le idonee forme di collaborazione con i comuni in coerenza con gli articoli 2 e 3 del proprio statuto. L'Anagrafe Immobiliare Integrata attesta, ai fini fiscali, lo stato di integrazione delle banche dati disponibili presso l'Agenzia del Territorio per ciascun immobile, individuandone il soggetto titolare di diritti reali».
Certo è che allo stato è tuttora valido l'orientamento giurisprudenziale per il quale gli atti di accatastamento non conformi ai titoli di acquisto originari, con i quali è sorto il condominio, non possono essere utilizzati per dirimere un conflitto tra più compratori, dal momento che i dati catastali non hanno valore di prova, bensì di semplice indizio (cfr. Cassazione 29 gennaio 2014, numero 1947).
Si tenga tra l'altro presente – al di là dei titoli e delle trascrizioni - che il bene immobile è stato comunque posseduto, da oltre venti anni, continuativamente ed ininterrottamente dai condòmini, (per il tramite dell'amministratore), che lo hanno affittato, mantenuto in buono stato ed hanno provveduto a pagare le relative imposte. Anche sotto tale profilo – tenuto conto dell'articolo 1158 del Codice Civile, in materia di usucapione - la titolarità del bene immobile, risultante dagli atti e dal regolamento condominiale contrattuale trascritto, non ci pare possa essere messa in discussione.
Solo ove il venditore si fosse riservata espressamente la proprietà del bene, in sede di frazionamento dell'edificio, potrebbe porsi una questione circa la proprietà del locale cui si riferisce il lettore, fermi gli effetti dell'usucapione.
Si ritiene, dunque, che l'amministratore di condominio possa richiedere una voltura catastale per la corretta intestazione dell'appartamento.

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