Condominio

La «veduta» è tale quando consente una comoda visione vera e propria

di Selene Pascasi


A connotare una veduta è la possibilità di avere una visuale agevole che consenta, senza l'uso di mezzi artificiali, sia di vedere che di affacciarsi, ossia di guardare frontalmente, obliquamente e lateralmente. Lo puntualizza la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 20691 depositata il 9 agosto 2018 (Relatore Milena Falaschi).
Aveva promosso il ricorso la proprietaria di un appartamento che – vistasi respinta l'azione negatoria di servitù di veduta dal Tribunale – chiedeva giustizia in appello per mancata corretta valutazione della questione relativa all'apertura realizzata da una s.a.s su due lati del fabbricato in prossimità dell'angolo del secondo piano del suo appartamento. Altra richiesta, la riduzione a lucernaio dell'allargamento effettuato dell'apertura sul tetto dello stabile. La Corte di secondo grado, però, boccia l'impugnazione: la finestra, precisa, seppur dotata di serramento in alluminio a doppia anta a vetri, con dimensioni comparabili alle altre aperture, era posta ad una quota molto più bassa rispetto al piano di calpestio del locale del sottotetto. In sostanza, trattandosi di apertura raggiungibile solo a carponi, la ditta non aveva arrecato alcun disagio alla comoda prospectio mai esistita.
Quanto, poi, alla ventilata violazione delle distanze con riferimento al confine catastale, a prescindere dalla differenza con il dato risultante dallo stato dei luoghi, il vero confine doveva individuarsi nella struttura esterna della cisterna. E comunque, non era stata proposta domanda di accertamento dell'effettivo confine tra le rispettive proprietà. Infine, circa l'ampliamento del lucernaio, veniva semplicemente lamentata l'esclusione della violazione dell'articolo 1102 del Codice civile, per essere l'apertura sul tetto comune. L'allargamento, inoltre, non metteva in alcun collegamento il sottotetto con la proprietà della società (estranea al condominio) e le maggiori dimensioni della veduta non pregiudicavano la funzione di copertura del tetto. La donna, tuttavia, decide di ricorrere per Cassazione insistendo, innanzitutto, perché la contestata apertura fosse ritenuta una veduta. Motivo respinto. A connotare una veduta, spiegano a Piazza Cavour, è la possibilità di avere una visuale agevole e senza utilizzo di mezzi artificiali.
Ma oltre al requisito della inspectio, occorrerà anche la prospectio nel fondo del vicino, dovendo detta apertura non solo consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche «di affacciarsi, vale a dire di guardare non di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, in modo che il fondo alieno risulti soggetto ad una visione mobile e globale» (non è veduta, ad esempio, una struttura metallica incorporata nel muro di confine: Cassazione 22844/2006). E l'accertamento di tali connotati, per pensiero consolidato, è rimesso all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito tenuto a verificare in concreto se l'opera, viste le caratteristiche strutturali e la posizione degli immobili interessati «permetta a una persona di media altezza l'affaccio sul rondo del vicino o il semplice prospetto» (Cassazione 5421/2011) così da potersi affacciare e «guardare di fronte, obliquamente o lateralmente» in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza (Cassazione 7267/2003). Ebbene, nella vicenda, la Corte d'appello, peraltro motivando adeguatamente, aveva già escluso la comodità di uso trattandosi di azione (messa a carponi) inusuale e non riconducibile all'esercizio di un'agevole servitù di veduta. In ultimo, per quanto concerne la mancata proposizione di un'azione di regolamento dei confini, andava osservato che la s.a.s. non aveva sollevato alcuna lamentela sull'esistenza della linea di confine con riferimento al reale stato dei luoghi perché non era stata mai dibattuta la circostanza che il confine tra la veduta e il terreno della signora fosse quello risultante dai luoghi. Anzi, aveva avanzato la pretesa che la veduta vi fosse sempre stata, per essere stata solo ripristinata. Fondate, invece, le censure sulla necessità di una domanda apposita per definire il confine. Azione che, ricorda la Cassazione, si configura come una vindicatio duplex incertae partis nel senso che, ai fini dell'incidenza probatoria «la posizione dell'attore e quella del convenuto sono sostanzialmente eguali, incombendo a ciascuno di essi di allegare e fornire qualsiasi mezzo di prova idoneo all'individuazione dell'esatta linea di confine, mentre il giudice svincolato dal principio actore non probante reus absolvitur ha un amplissimo potere di scelta e valutazione dei mezzi probatori acquisiti ai processo». Ciò, salvo il ricorso alle indicazioni delle mappe catastali cui avvalersi, in via solo sussidiaria, nell'ipotesi di mancanza di prove o di inidoneità di quelle disponibili (Cassazione 28103/2009). Soluzione applicabile, sia chiaro, anche nel caso in cui all'accertamento del confine si proceda in via incidentale (Cassazione 9652/2013). Ed era sul punto che il collegio di appello aveva mancato di applicare i principi descritti laddove, pur riscontrando una differenza tra il confine catastale e quello risultante dallo stato dei luoghi, non ne aveva tenuto conto alla luce della mancata proposizione dell'azione di regolamento dei confini, investendo di erroneità l'esito della lite. Ricorso accolto in parte, allora, ma con rinvio ad altra sezione della Corte genovese, chiamata ad attenersi ai criteri indicati.
Quanto, poi, alla ventilata violazione delle distanze con riferimento al confine catastale, a prescindere dalla differenza con il dato risultante dallo stato dei luoghi, il vero confine doveva individuarsi nella struttura esterna della cisterna. E comunque, non era stata proposta domanda di accertamento dell'effettivo confine tra le rispettive proprietà. Infine, circa l'ampliamento del lucernaio, veniva semplicemente lamentata l'esclusione della violazione dell'articolo 1102 del Codice civile, per essere l'apertura sul tetto comune. L'allargamento, inoltre, non metteva in alcun collegamento il sottotetto con la proprietà della società (estranea al condominio) e le maggiori dimensioni della veduta non pregiudicavano la funzione di copertura del tetto. La donna, tuttavia, decide di ricorrere per Cassazione insistendo, innanzitutto, perché la contestata apertura fosse ritenuta una veduta. Motivo respinto. A connotare una veduta, spiegano a Piazza Cavour, è la possibilità di avere una visuale agevole e senza utilizzo di mezzi artificiali.
Ma oltre al requisito della inspectio, occorrerà anche la prospectio nel fondo del vicino, dovendo detta apertura non solo consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche «di affacciarsi, vale a dire di guardare non di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, in modo che il fondo alieno risulti soggetto ad una visione mobile e globale» (non è veduta, ad esempio, una struttura metallica incorporata nel muro di confine: Cassazione 22844/2006). E l'accertamento di tali connotati, per pensiero consolidato, è rimesso all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito tenuto a verificare in concreto se l'opera, viste le caratteristiche strutturali e la posizione degli immobili interessati «permetta a una persona di media altezza l'affaccio sul rondo del vicino o il semplice prospetto» (Cassazione 5421/2011) così da potersi affacciare e «guardare di fronte, obliquamente o lateralmente» in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza (Cassazione 7267/2003). Ebbene, nella vicenda, la Corte d'appello, peraltro motivando adeguatamente, aveva già escluso la comodità di uso trattandosi di azione (messa a carponi) inusuale e non riconducibile all'esercizio di un'agevole servitù di veduta. In ultimo, per quanto concerne la mancata proposizione di un'azione di regolamento dei confini, andava osservato che la s.a.s. non aveva sollevato alcuna lamentela sull'esistenza della linea di confine con riferimento al reale stato dei luoghi perché non era stata mai dibattuta la circostanza che il confine tra la veduta e il terreno della signora fosse quello risultante dai luoghi. Anzi, aveva avanzato la pretesa che la veduta vi fosse sempre stata, per essere stata solo ripristinata. Fondate, invece, le censure sulla necessità di una domanda apposita per definire il confine. Azione che, ricorda la Cassazione, si configura come una vindicatio duplex incertae partis nel senso che, ai fini dell'incidenza probatoria «la posizione dell'attore e quella del convenuto sono sostanzialmente eguali, incombendo a ciascuno di essi di allegare e fornire qualsiasi mezzo di prova idoneo all'individuazione dell'esatta linea di confine, mentre il giudice svincolato dal principio actore non probante reus absolvitur ha un amplissimo potere di scelta e valutazione dei mezzi probatori acquisiti ai processo». Ciò, salvo il ricorso alle indicazioni delle mappe catastali cui avvalersi, in via solo sussidiaria, nell'ipotesi di mancanza di prove o di inidoneità di quelle disponibili (Cassazione 28103/2009). Soluzione applicabile, sia chiaro, anche nel caso in cui all'accertamento del confine si proceda in via incidentale (Cassazione 9652/2013). Ed era sul punto che il collegio di appello aveva mancato di applicare i principi descritti laddove, pur riscontrando una differenza tra il confine catastale e quello risultante dallo stato dei luoghi, non ne aveva tenuto conto alla luce della mancata proposizione dell'azione di regolamento dei confini, investendo di erroneità l'esito della lite. Ricorso accolto in parte, allora, ma con rinvio ad altra sezione della Corte genovese, chiamata ad attenersi ai criteri indicati.

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