Condominio

Ascensore, chi paga le spese?

di Giuseppe Màrando

Due le principali tipologie di spese in materia di ascensori, quelle per l'installazione, che non presentano particolari problematicità, e quelle per l'esercizio dell'impianto, che richiedono alcune precisazioni.

Installazione
Per dotare dell'ascensore un condominio che ne sia sprovvisto è necessario che la delibera assembleare venga approvata con la maggioranza di 500 millesimi (oltre s'intende quella dei presenti alla seduta) alla luce del 2° comma dell'art. 1120 cod. civ., nuovo testo, che include nelle cosiddette “innovazioni agevolate” o “sociali” anche gli strumenti per eliminare le barriere architettoniche, di cui l'ascensore è un tipico esempio (giurisprudenza concorde). L'impianto acquista la qualifica di “parte comune” ai sensi dell'art. 1117 cod. civ. (al pari di quello sorto con la costruzione del condominio) e rimane soggetto alle ulteriori norme sulle innovazioni vietate (art. 1120, ultimo comma, cod. civ. relativo ad una serie di possibili pregiudizi) e sulle innovazioni gravose o voluttuarie (art. 1121 cod. civ., che consente l'esonero dalle spese per quei condòmini che non intendono trarne vantaggio, con possibilità tuttavia di partecipare in futuro). Le spese per l'installazione ex novo vanno ripartite secondo la regola generale dell'art. 1123, 1° comma, cod. civ. sulle innovazioni, e quindi interamente con i millesimi di proprietà, e non in base all'art. 1124 cod. civ. che riguarda la “manutenzione” e la “sostituzione” del bene (Cass. ord. 4/9/2017 n. 20713; Cass. 25/03/2004, n. 5975).
Ma il nuovo ascensore può essere impiantato anche a cura e spese soltanto di uno o più condomini (che ne diventeranno gli esclusivi proprietari, creando il tipico “condominio parziale” di cui all'art. 1123, 3° comma, cod. civ.). La previsione normativa di base è quella dell'art. 1102 cod. civ., applicabile anche al condominio per indirizzo consolidato, che consente l'uso della cosa comune (in questo caso i muri, il vano scale, il cortile condominiale, od altro ancora dove possa insistere l'ascensore) con le necessarie modifiche purchè non si alteri la destinazione del bene e non si impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso.

Manutenzione
Le spese di esercizio vengono a gravare, naturalmente, sui condòmini che ne risultano proprietari: la collettività per l'ascensore installato a seguito di delibera assembleare ovvero il gruppo che ha provveduto a proprie spese. Il già citato art. 1124 cod. civ. stabilisce per scale ed ascensori un criterio speciale e binario di ripartizione: metà dell'importo in ragione del valore delle singole unità immobiliari, e quindi con i millesimi di proprietà (c. d. quota valore) e l'altra parte in proporzione all'altezza di ciascun piano dal suolo. La stessa regola si applica alla “sostituzione” di un ascensore. Non tutte le unità immobiliari vengono coinvolte, ma solo – dice la norma- quelle “a cui servono” gli ascensori. Rimane salva, in ogni caso, la possibilità di deroga convenzionale al detto regime con atto negoziale (regolamento contrattuale o atto sottoscritto all'unanimità dai soggetti coinvolti).
Poiché emerge chiaramente dall'art. 1123 cod. civ. che le spese sono rapportate, oltre che principalmente ai millesimi di proprietà, anche al criterio dell'uso (2° comma) o della utilità che se ne trae (3° comma sul “condominio parziale”), mentre l'art. 1124 come già detto, vi aggiunge nello specifico il criterio del rapporto di servizio fra ascensore ed unità immobiliari con l'inciso “a cui servono”, è sorta da tempo una questione controversa che riguarda l'onere di contribuzione per i proprietari dei locali al pianterreno ed in particolare dei negozi con ingresso indipendente sulla strada.
A tal fine bisogna accertare in primo luogo se esista una deroga al regime legale delle spese ad opera di regolamento contrattuale o convenzione o delibera. Non è raro, infatti, che la c.d. “tabella d'uso” (o “di gestione”) allegata al regolamento condominiale, che ripartisce la spesa per gli ascensori, escluda dalla contribuzione i proprietari dei negozi al piano terra.
Qualora manchi detta “convenzione”, la tesi di gran lunga prevalente sostiene che l'obbligo contributivo debba gravare su tutti i soggetti coinvolti nella proprietà comune dell'ascensore (e delle scale), per il solo fatto della condominialità; e questa risulta esclusa solo da un titolo contrario, configurabile anche in un accordo o clausola del regolamento contrattuale che esoneri taluno dalle spese (Cass. n. 14697/2015, Cass. 5975/2004). L'obiezione di un mancato uso da parte dei locali a pianterreno (e scantinati) viene superata sulla base del criterio dell'uso potenziale che possono farne i proprietari con la possibilità di raggiungere più comodamente le parti superiori che sono comuni a tutti (in particolare il tetto o il lastrico): si vedano, ad es., Cass. n. 14697/2015; App. Milano 21/2/2006 n. 76; App. Bologna 1/4/1989, n. 273; Trib. Salerno 3/11/2009; ecc. In senso contrario si sono pronunciate solo alcune datate decisioni di merito e qualche voce in dottrina. Naturalmente fuoriesce da questa prospettiva il caso dell'ascensore impiantato a cura e spese soltanto di alcuni condòmini, che regoleranno i rapporti discrezionalmente.
Fermo quanto sopra, è difficile negare che rimangono dei dubbi per effetto di quei criteri richiamati dalle norme e relativi all'uso, all'utilità, al servizio.
In ogni caso, la spesa a carico dei locali a pianterreno ai sensi dell'art. 1124 cit. si riduce a quella parte commisurata ai millesimi e non pure all'altra relativa “all'altezza di ciascun piano dal suolo”, che per le suddette unità immobiliari equivale a zero. Il criterio di ripartizione della norma, anche con il richiamo al concetto di “servizio”, dimostra che il legislatore ha voluto tener conto della necessità di raggiungere i propri locali posti ad un livello superiore a zero e non anche il tetto dell'edificio (che potrebbe essere impraticabile e quindi non godibile).

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