Condominio

Pilastri e pannelli di riempimento sono parti comuni

di Anna Nicola

L’articolo 1117 c.c. non conteneva e tuttora non contiene una elencazione tassativa delle cose comuni, ma solamente esemplificativa, non esaustiva, di parti, servizi ed impianti che debbano essere considerati tali, salvo diversa indicazione del titolo.
Come ha specificato la giurisprudenza, <<può sussistere, oltre che il suddetto collegamento funzionale, anche un legame materiale di incorporazione che rende le prime indissolubilmente legate alle seconde ed essenziali per la stessa esistenza o per l'uso di queste, dalle quali i beni comuni (muri, pilastri, travi portanti, tetti, fondazioni, facciate ecc.) non possono essere separati. Il collegamento, dunque, comporta un legame di diversa resistenza a seconda che le parti comuni siano essenziali per il godimento ovvero per l'esistenza delle unità singole, nel qual caso il vincolo di destinazione è caratterizzato dalla indivisibilità” (Cass. 27145/ 2007).
Non solo i pilastri devono essere considerati parti comuni ma anche anche i cd. pannelli di riempimento, cioè i muri esistenti tra un pilastro e l'altro.
La Corte di Cassazione nella decisione 776/1982 afferma che <<in tema di parti comuni dell'edificio condominiale, nella nozione di muri maestri, di cui all'art. 1117 c.c., rientrano i pannelli esterni di riempimento fra pilastri in cemento armato, i quali ancorché la funzione portante sia assolta principalmente da pilastri ed architravi - sono anch'essi eretti a difesa degli agenti atmosferici e fanno parte della struttura e della linea architettonica dell'edificio, né siffatta condominialità viene esclusa dall'essere addossato ad essi il muro di altro fabbricato costruito in aderenza, restando ciascuno degli edifici delimitato, difeso e strutturalmente delineato dal proprio muro, con la conseguente autonomia giuridica della disponibilità che su ciascuno hanno i diversi nuclei di condomini, senza alcuna ingerenza dell'uno sul muro dell'altro>>
La legge di riforma del condominio indica specificamente i pilastri e le travi portanti tra i beni che devono essere considerati di proprietà comune.
Il legislatore della riforma ha inteso esplicitare questi due elementi con il chiaro intento di fornire una tutela diretta di tali beni mirando a farne rispettare la destinazione da tutti i condomini impedendone un uso illegittimo. Simile fattispecie risulta oramai consolidata in ragione della giurisprudenza che da tempo ha fatto propria la funzione portante di queste strutture, affiancandola concettualmente ai muri in mattoni, per cui l'espressione muro maestro va estesa sia “all'intelaiatura di pilastri e di architravi” (Cass. 1186/1971) che ai muri perimetrali che li delimitano, senza i quali l'immobile “sarebbe uno scheletro vuoto privo di qualsiasi utilità” (Cass. 962/2005).
Essendo i pilastri sono beni comuni, è giocoforza che tutti i condomini devono partecipare alle spese per la loro manutenzione e conservazione. Unica deroga è data dal terzo comma dell'art. 1123 c.c. sulla cui base <<qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condòmini che ne trae utilità>>
Si tratta della norma da cui prende si spunto per la configurazione del così detto condominio parziale: il condominio diviso in più scale vede una partecipazione dei condomini alle spese dei muri solo in ragione della rispettiva proprietà immobiliare. Il condomino che abita la scala A non risponde delle spese dei muri per la scala B.
Al pari, se un condomino è proprietario solamente di un box esterno all'edificio, egli non dovrà partecipare alle spese di conservazione dei pilastri in quanto non potrà essere considerato comproprietario degli stessi.

a Corte di Cassazione 15929/2015 aveva fissato un principio importante in tema di diritto condominiale specificando che il condominio può provare l'appartenenza di beni ai sensi dell'articolo 1117 del Codice Civile facendo anche solo ricorso a presunzioni, non dovendo tassativamente fornire una piena prova. Il Supremo Collegio affermava questo principio rilevando la sostanziale disparità di trattamento tra condominio e privati in tema di prova della proprietà a vantaggio dei diritti della generalità dei condòmini.
Nel caso in esame, alcuni condòmini avevano citato in giudizio un'altra comproprietaria che si era appropriata illegittimamente di alcuni spazi nel sottotetto dell'edificio– in particolare un corridoio e un bagno – in precedenza al servizio della portineria.
La convenuta si era da anni impossessata di questi locali, impedendo l'accesso a tutti gli altri condòmini.
Costituendosi in giudizio la signora aveva sollevato un'eccezione di usucapione, osservando di avere, con il possesso prolungato nel tempo, acquisito legittimamente la proprietà dei localiv oggetto di discussione.
Il Tribunale e la Corte di Appello avevano dato torto alla condomina
Gli eredi della condomina hanno depositato un ricorso in Corte di Cassazione nel quale avevano contestato le risultanze dei precedenti gradi di giudizio.
In particolare i ricorrenti avevano domandato la revisione della sentenza di appello per la mancata prova della natura condominiale dei beni in oggetto -che a detta dei ricorrenti doveva essere fornita nel processo- e per la mancata integrazione del contraddittorio con gli altri consociati nel secondo grado di giudizio. Nella propria decisione la Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso degli eredi della condomina.
In merito alla questione della necessità di integrazione del contraddittorio, i giudici affermano come nel caso in questione la domanda di usucapione fosse stata presentata come eccezione, e non come domanda in via principale. La pronuncia in sentenza avrebbe avuto effetti solo tra le parti, non rendendo necessario chiamare in causa anche tutti gli altri condòmini. Afferma la Corte la necessità di integrazione del contraddittorio solamente <<nel caso in cui il convenuto proponga una vera e propria domanda riconvenzionale di accertamento della proprietà esclusiva>> e non solo una eccezione processuale.
In merito alla questione della prova della proprietà comune dei beni condominiali, la Suprema Corte stabiliva un importante principio di diritto.
Secondo i giudici, infatti, il condominio non deve dare piena prova della proprietà di un bene ex articolo 1117 del Codice Civile in quanto è sufficiente per presumerne la natura condominiale <<che esso abbia l'attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini in rapporto con queste da accessorio a principale>>.
Sempre per questa presunzione di appartenenza comune dei beni ex art. 1117 c.c., la Corte afferma la non necessità di includere tali beni in un elenco tassativo nel regolamento condominiale dato che la prova della proprietà comune degli stessi può essere validamente fornita con altri argomenti (come le predette presunzioni, prove testimoniali o documentali ulteriori rispetto al regolamento condominiale).
L'importante novità sancita dalla decisione in commento è la presunzione di appartenenza al condominio, fino a prova contraria, dei beni strumentali come ad esempio corridoi, spazi comuni e scale.
Si può affermare che la loro particolare natura, utilizzo e asservimento alle proprietà private vale da sola come prova sostanziale della loro natura di bene comune. Inoltre, qualora questi beni siano stati illegittimamente venduti come parte di un appartamento privato, sarà possibile per lo stabile ottenere la rivendica della proprietà dei beni anche solo sulla base della predetta presunzione (salvo gli effetti dell'usucapione).
Fino a prova contraria, quindi, i beni asserviti alle esigenze della generalità dei condomini sono da ritenere comuni; solo con prove particolarmente evidenti il singolo condomino potrà ottenere la proprietà degli stessi per usucapione.
La natura condominiale dei beni può essere dedotta anche in caso di mancata menzione dei locali stessi nel regolamento di condominio: il condominio non deve dare piena prova della proprietà comune di un bene; è sufficiente, per presumerne la natura condominiale, cioè che esso abbia l'attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo e sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini in rapporto con queste da accessorio a principale.
Non è necessario includere tali beni in un elenco tassativo nel regolamento condominiale: la prova della proprietà comune degli stessi può essere fornita anche con altre prove (come le predette presunzioni, prove testimoniali o documentali ulteriori rispetto al regolamento condominiale).

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