Condominio

L’intervista all’esperto: Pierantonio Lisi

di Francesco Schena


L'istituto del supercondominio è stato definitivamente “sdoganato”, per i più, con l'entrata in vigore della legge n. 220 del 2012 che ha introdotto il nuovo art. 1117-bis anche se, già in precedenza, il suo riconoscimento giurisprudenziale costituiva comunque un elemento fermo e consolidato.
Nonostante siano trascorsi cinque anni dalla riforma del condominio, il tema del supercondominio tende ad affermarsi ancora con molta fatica: sono tanti i casi in cui si gestisce un supercondominio che non c'è solo per aderire a convenienti frammentazioni amministrative dell'edificio e sono altrettanto numerosi i casi di un effettivo supercondominio gestito, però, come se fosse un unico e singolo condominio autonomo.
Di alcuni aspetti rilevanti di questo argomento ne parliamo oggi con l'Avvocato Pierantonio Lisi, Professore aggregato presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università di Bari, coordinatore del corso di perfezionamento per Amministratori di condominio A.A. 2018/2019, tenuto dallo stesso Ateneo, esperto e collaboratore de Il Sole 24 Ore.
Prof. Lisi, alla luce della sua esperienza, il concetto di supercondominio vede ad oggi una piena e consapevole applicazione anche da parte degli addetti ai lavori?
Purtroppo no. Talvolta risultano ignorate anche le poche certezze acquisite. È bene ricordare, allora, che il Codice civile contiene una disciplina dettata per il condominio “negli edifici”. Esiste, poi, una norma che dichiara applicabile quella disciplina, in quanto compatibile, a tutti i casi in cui più unità immobiliari presentino parti comuni. Anche quando, quindi, non risultino comprese nello stesso edificio. Potremmo parlare, in questi casi, di condominii atipici. Quando alcune di queste unità immobiliari sono già coinvolte in un condominio tra un più ristretto numero di partecipanti, allora chiamiamo super il condominio che comprende la più ampia cerchia di soggetti.
Ciascuna organizzazione dovrà e potrà occuparsi di determinate parti comuni e solo di quelle. Qualsiasi atto di gestione posto in essere da una delle organizzazioni concorrenti su parti comuni di competenza dell'altra è da considerare radicalmente nullo e, pertanto, non vincolate per i condomini, i quali potrebbero – per esempio – rifiutarsi di partecipare alle relative spese o richiedere la restituzione di quanto versato.
Benché quanto detto sia del tutto pacifico, non di rado accade che i condòmini si affidino all'amministratore del proprio condominio anche per la gestione delle parti comuni a unità immobiliari estranee al proprio edificio o pretendano di discutere della gestione di dette parti comuni nelle assemblee dei singoli condominii.
Ritiene che sul piano squisitamente giuridico-scientifico la condizione di supercondominialità di un complesso immobiliare sia a volte di difficile individuazione e interpretazione, soprattutto a causa di architetture complesse che a fatica delimitano i confini fisici e funzionali dei singoli condomini autonomi?
La conformazione architettonica di un complesso immobiliare può generare incertezze in ordine alla composizione dei distinti gruppi di condomini chiamati a partecipare alle coesistenti organizzazioni.
Anche il più complesso degli organismi edilizi, composto da decine di edifici, potrebbe essere gestito come un unico condominio. In tal caso, però, la gran parte dell'attività di gestione avverrebbe in situazione di condominio parziale. Coinvolgerebbe, cioè, solo gruppi di condomini che, nella gran parte dei casi, sarebbero composti dai proprietari delle unità immobiliari comprese in ciascun edificio.
Non vi sarebbe ragione, tuttavia, di impedire a costoro, per esempio, di scegliere un proprio amministratore di fiducia per gli affari che riguardano solo loro. Non vi sarebbe ragione, insomma, per negare loro una autonoma organizzazione condominiale coesistente con quella più ampia.
La legge, sul punto, non fornisce una risposta univoca. Ammette, cioè, che a un edificio o a un gruppo di edifici possa far fronte una organizzazione unitaria o una pluralità di organizzazioni, purché le organizzazioni meno ampie siano chiamate a occuparsi di entità edilizie “che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi”. Non è ammissibile, cioè, ipotizzare una distinta organizzazione condominiale per ogni parte o servizio comune (come di recente ribadito dalla Cassazione, 21 giugno 2018, n. 16385).
Quello sforzo giuridico-scientifico richiamato nella domanda, tuttavia, dovrebbe consentire di non intendere in modo così rigido il riferimento all'edificio nella sua fisicità, lasciando aperta la porta a organizzazioni condominiali che abbiano una ragione di esistenza autonoma in virtù dei collegamenti funzionali tra unità immobiliari generati da tipologie edilizie non considerate nelle norme vigenti.
Il nuovo articolo 67 d.a.c.c. prevede la nomina dei rappresentanti da parte dei singoli condominii per la loro partecipazione alle assemblee del supercondominio che riguardano la gestione ordinaria delle parti comuni e la nomina dell'amministratore. Tuttavia, spesso uno o più condomini non provvedono in tal senso e il supercondominio può ritrovarsi nella condizione di dover convocare l'assemblea per l'approvazione del rendiconto entro i 180 giorni dalla chiusura dell'esercizio finanziario. Quale consiglio operativo suggerisce di seguire nelle more di una nomina giudiziale del rappresentante?
Purtroppo la disposizione di legge richiamata, se ha il merito di aver distinto con chiarezza la figura del rappresentante da quella dell'amministratore del singolo condominio, presenta diverse criticità. Prima tra tutte lo sdoppiamento dell'organo decisorio in assemblea di tutti i partecipanti, per la gestione straordinaria, e assemblea dei rappresentanti, per la gestione ordinaria. Poi, la composizione di quest'ultima, da cui scaturisce il problema segnalato nella domanda, che può verificarsi in tutti i casi in cui, per una qualsiasi ragione, non sia stato nominato o venga meno uno dei rappresentanti dei singoli condominii. In tal caso, l'amministratore del supercondominio – il quale, peraltro, non è legittimato a provocare la nomina giudiziale del rappresentante mancante – non può che convocare tutti i partecipanti al condominio privo di rappresentante per l'approvazione del rendiconto. Del resto, non è possibile condannare all'inattività l'organizzazione supercondominiale e la conclusione prospettata mi pare l'unica percorribile. D'altra parte potrebbero dolersi di questa soluzione solo soggetti pienamente legittimati a presentare ricorso per la nomina giudiziale del rappresentante mancante, i quali dovranno imputare alla propria inerzia la situazione di incompletezza dell'organo decisorio. L'amministratore del supercondominio diligente, poi, comunicherà tempestivamente a tutti i condomini e ai rappresentanti nominati, anche per via informale, la necessità di nominare un rappresentante.
Vorrei anche ribadire che la riforma del 2012 ha espressamente esteso il campo di applicazione della disciplina del condominio a tutti i casi in cui più unità immobiliari presentano parti comuni e, tra questi, al supercondominio. Dovrebbe, quindi, risultare ormai evidente che la proprietà condominiale, con il suo singolare concorso di diritti individuali e prerogative del gruppo, costituisce un istituto giuridico di carattere generale, centrale nella disciplina dei beni e della proprietà.

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