Condominio

Il rumore è reato di «disturbo» quando coinvolge più persone

di Valeria Sibilio

Per risolvere un contenzioso legato ai rumori molesti in condominio non è sufficiente manifestare un disagio individuale ma occorre che essi ledano, per essere ritenuti tali, un gruppo di persone, con una intensità tale da minare la qualità della vita del condominio. La Cassazione, nella sentenza 37085 del 2018, ha confermato questo principio , esaminando il ricorso presentato da un condòmino ritenuto responsabile, dal Tribunale, di aver arrecato, durante la costruzione di manufatti abusivi realizzati su commissione dei proprietari del terreno, con l'utilizzo di mezzi pesanti gommati e cingolati, disturbo alle occupazioni e al riposo delle persone e di aver omesso di richiedere il certificato di prevenzione incendi per due serbatoi contenenti carburante per autotrazione, ricevendo dallo stesso Tribunale la condanna alla pena di euro 200 di ammenda per il primo reato e di euro 300 per il secondo.
Contro questi provvedimenti, l'imputato proponeva ricorso per cassazione, articolando due motivi. Nel primo deduceva che nessuna valutazione era stata compiuta in ordine al superamento dei limiti di normale tollerabilità e di un concreto pericolo alla quiete pubblica delle emissioni sonore provenienti dai cingolati utilizzati dall'imputato durante l'esecuzione dei lavori edili commissionatigli per la movimentazione del terreno, avendo la sentenza basato la sua colpevolezza sulle sole dichiarazioni accusatorie rese dal vicino. La circostanza che solo quest'ultimo, unico firmatario dell'esposto nei sui confronti, senza che nulla di anormale fosse stato mai segnalato dagli abitanti della zona alle autorità competenti, avesse lamentato di non poter sentire la televisione né parlare con la moglie, non poteva valere ad integrare la potenzialità diffusiva dei rumori, né a configurare il reato contestatogli, dovendo per contro sussistere o una violazione delle prescrizioni che regolano i mestieri rumorosi o il superamento delle normali modalità di esercizio dell'attività.
Nel secondo motivo, l'imputato deduceva il travisamento della prova riferito al reato afferente alla certificazione della prevenzione incendi, avendo l'imputato espressamente dichiarato che i due serbatoi erano vuoti al momento del controllo e che erano stati solo temporaneamente collocati presso la sede della sua azienda, senza che il Tribunale avesse in alcun modo valutato le suddette affermazioni.
Per la Cassazione, il primo motivo è risultato fondato in quanto il reato di cui all'art.659, comma 1 cod.pen. si configura di pericolo presunto, occorrendo ai fini del perfezionamento della fattispecie criminosa che le emissioni sonore siano potenzialmente idonee a disturbare le occupazioni o il riposo di un numero indiscriminato di persone secondo il parametro della normale tollerabilità, indipendentemente da quanti se ne possano in concreto lamentare. Essendo l'interesse tutelato dal legislatore quello della pubblica quiete, è necessario che i rumori abbiano una tale diffusione che l'evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito dalla collettività.
Per gli ermellini, il Tribunale prima di giungere alla sentenza, avrebbe dovuto accertare la diffusa capacità offensiva del disturbo in relazione al caso concreto, verificando se il rumore avesse un'attitudine a propagarsi e a turbare un numero indeterminato di persone, a prescindere dal fatto che, in concreto, solo alcune persone siano state effettivamente disturbate. Trattandosi di reato di pericolo presunto, è sufficiente che la condotta dell'agente abbia l'attitudine a ledere la pubblica quiete, ed è indifferente che la lesione del bene si sia in concreto verificata. Ne consegue che la contravvenzione non è configurabile nei casi in cui le emissioni rumorose non superino la normale tollerabilità ed in quelli in cui sia oggettivamente impossibile il disturbo di un numero indeterminato di persone, ma siano offesi solamente i soggetti che si trovano in un luogo contiguo alla sorgente rumorosa: in tale ultima ipotesi il fatto non assume invero rilievo penale, ma deve essere inquadrato nell'ambito dei rapporti di vicinato tra immobili confinanti, disciplinato dal codice civile. Nel caso in questione, la propagazione effettiva dei rumori risultava percepita dal confinante, ma senza specificare se la abitazione di quest'ultimo fosse ubicata nella zona residenziale che la sentenza impugnata si limita a definire posta in prossimità della sede dell'azienda dell'imputato, o comunque alla stessa distanza. Mancando la verifica della potenziale idoneità del rumore ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente a tale capo.
Il secondo motivo, invece, è risultato manifestamente infondato. L'art.20 del d.lgs dell'8.3.2006 n.139 che sanziona «chiunque, in qualità di titolare di una delle attività soggette al rilascio del certificato di prevenzione incendi, ometta di richiedere il rilascio o il rinnovo del certificato medesimo con l'arresto sino ad un anno o con l'ammenda da euro 258 a euro 2.582, quando si tratta di attività che comportano la detenzione e l'impiego di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti, da cui derivano in caso di incendio gravi pericoli per l'incolumità della vita e dei beni”, non consente distinzioni a seconda dell'utilizzo o meno in concreto di beni infiammabili o incendiabili quale risultano qualificabili i due serbatoi di gasolio da parte di chi svolga un'attività ricompresa fra quelle di cui alla norma citata. Dal momento che tale certificato, come chiarisce il precedente art.16, attesta il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione incendi e la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio nei locali, attività, depositi, impianti ed industrie pericolose, individuati, in relazione alla detenzione ed all'impiego di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti, priva di rilevanza è la collocazione temporanea o definitiva dei serbatoi, al pari del loro utilizzo in concreto, essendo sufficiente, trattandosi di reato di pericolo, la loro natura di beni infiammabili, incendiabili ed esplodenti. Immune da censure risulta, pertanto, la risposta del giudice di merito in ordine all'ascrivibilità della contravvenzione in esame al ricorrente
La Cassazione ha, perciò, annullato la sentenza impugnata limitatamente al primo motivo, rinviandola al Tribunale per un nuovo giudizio e rigettato il ricorso nel resto.

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