Condominio

Il disturbo «diffuso» del cane va provato

di Paolo Accoti

Non commette il reato di cui all’articolo 659 del Codice penale il proprietario di un cane che abbaia di notte sul balcone ma disturba effettivamente solo uno dei vicini.

La norma, infatti, è posta a tutela della tranquillità della collettività, nel caso concreto, degli abitanti del condominio e non del singolo. Per costante giurisprudenza le immissioni rumorose devono essere tali da disturbare non solo la quiete degli occupanti gli appartamenti limitrofi, superiori o inferiori, ma è necessario che tali rumori interessino una parte più consistente degli abitanti l’edificio in condominio.

E qualora il giudice non possa avvalersi degli accertamenti strumentali, in ipotesi di testimonianze contradditorie, ha il dovere di darne atto nella motivazione della sentenza del perché una testimonianza risulta più attendibile dell’altra.

Questi i principi ribaditi dalla Corte di cassazione nella sentenza 30643/2018, depositata il 6 luglio , con la quale ha annullato la sentenza del Tribunale di Brindisi che aveva condannato due condòmini alla pena di euro 500 di ammenda cadauno, avendo creato disturbo ai residenti del piano superiore alla loro abitazione, per aver lasciato il loro cane, di media taglia, sul balcone ad abbaiare per tutta la notte.

La Suprema Corte ha dato ragione ai due proprietari perché «Anche relativamente all’accertamento di responsabilità deve rilevarsi la sussistenza di una motivazione mancante, e contraddittoria, relativamente alla valutazione delle testimonianze dei condòmini».

«In assenza di accertamenti strumentali oggettivi il giudice di merito ha il dovere di dare conto nella motivazione, nelle ipotesi di testimonianze non uniformi sulla natura e sull’entità dei rumori – come nel caso di specie -, sia delle contraddizioni tra le testimonianze e sia del perché una linea testimoniale è risultata più attendibile di un’altra, pure presente nel materiale probatorio raccolto».

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