Condominio

Sanzioni a chi viola il decoro architettonico, il regolamento le può prevedere

di Valeria Sibilio

Il regolamento di condominio può contenere norme intese a tutelare il decoro architettonico dell'edificio condominiale suscettibili di incidere anche sulla sfera del dominio personale esclusivo dei singoli partecipanti, se ciò si rivela necessario in funzione della salvaguardia del bene comune protetto. Rientra, dunque, nel potere dell'assemblea, la possibilità di prevedere sanzioni per le infrazioni al regolamento di condominio e decidere le questioni connesse con la maggioranza di cui all'art. 1138 c.c. e non con l'unanimità, salvo che si determini una limitazione di diritti dei condòmini sulle proprietà esclusive o comuni o si attribuisca ad alcuni di essi maggiori diritti rispetto ad altri. Lo ha stabilito il Tribunale di Cassino nella sentenza 467 del 2018 , relativa ad un caso originato dal ricorso di una condòmina che impugnava la deliberazione adottata dal Condominio avente oggetto “determinazioni in merito all'art. 38 del Reg. di condominio”. In particolare, ne chiedeva l'annullamento per incompletezza ed illegittimità dell'ordine del giorno di cui all'avviso di convocazione della assemblea, in quanto non veniva riportato, tra i punti, quello recante la discussione sul procedimento per la comminazione della sanzione al condominio colpevole di violazione del regolamento, poi risultante nel verbale di assemblea. Il procedimento di convocazione era irregolare, l'avviso di convocazione inesistente e non legittimato, non essendo identificati i soggetti che avevano proceduto alla convocazione, risultando come amministratore, uno studio associato privo di personalità giuridica.
Inoltre, le deliberazioni dell'assemblea del 8/11/2013 erano state adottate in seconda convocazione senza verificazione e acquisizione di informativa circa i motivi per cui la prima non aveva potuto deliberare. Per l'attrice, l'oggetto, oltre ad essere impossibile - non rientrando tra le attribuzioni dell'assemblea la materia in questione - risultava illecito, per indebita incidenza su diritti individuali. L'attrice lamentava l'inopponibilità dell'art. 38 del Regolamento di Condominio, poiché quest'ultimo non era allegato al contratto di acquisto della propria unità immobiliare, né sottoscritto e approvato dalla ricorrente e non trascritto nei registri immobiliari. Rilevando l'inapplicabilità dell'art. 38, in quanto in contrasto con l'art. 70 e poiché il regolamento non era sottoscritto da tutti i condomini, chiedeva la nullità del deliberato successivo.
Il condominio si costituiva in giudizio, eccependo in via preliminare nel rito la nullità della domanda per violazione dell'art. 163, comma 1, c.p.c., in quanto formulata con ricorso anziché atto di citazione e per mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatorio. Nel merito, deduceva che la deliberazione sulle modalità di applicazione delle sanzioni rientrava tra i punti indicati nell'ordine del giorno, essendo corollario di quanto oggetto delle statuizioni che si andavano ad assumere. Il procedimento di convocazione era regolare, in quanto le assemblee precedenti erano sempre state convocate dallo studio a cui l'attrice aveva in passato versato la sua quota parte degli oneri condominiali. Tenuto conto che il ruolo di amministratore poteva essere ricoperto da uno studio associato, nell'assemblea del 14/02/06, l'amministratrice aveva portato a conoscenza i condòmini del cambio di denominazione del proprio studio. Il presidente, dando atto che la prima convocazione era andata deserta, con la presenza di cinque condòmini su sette, dichiarava l'assemblea validamente costituita in seconda convocazione. La delibera impugnata non aveva introdotto alcunché, essendosi limitata ad aggiornare importi economici di sanzioni già previste all'art. 38 del regolamento condominiale sin dalla prima approvazione, in attuazione della riforma della disciplina del condominio introdotta con legge n. 220 del 2012. Il regolamento condominiale era stato consegnato alla ricorrente nell'assemblea del 14/02/2006, senza ricevere alcuna contestazione, ed affisso, dal 2001, nell'atrio del portone. Tale regolamento era stato impugnato nell'aprile 2001, congiuntamente alla delibera dell'assemblea del 30/03/2001, dichiarata valida dal Tribunale congiuntamente a quella del regolamento e dell'art. 38, annullando la sola maggiorazione della sanzione.
Il Condominio, riunitosi in assemblea straordinaria del 08/11/2013, revocava parzialmente la deliberazione del 28/08/2013, in relazione al procedimento di applicazione della sanzione, confermando le decisioni assunte.
Il Tribunale ha ritenuto il ricorso infondato. Quanto all'entità della sanzione, la dichiarazione di nullità deve essere interpretata come parziale. Tale sentenza richiama Cass. 984/1995, richiamata a sua volta anche dalla Cass. 10329/2008 nella quale si osserva che «l'applicazione di una sanzione di gran lunga superiore alla misura massima inderogabilmente stabilita dal richiamato disposto legislativo, è nulla in quanto “contra legem”». La statuizione conclusiva adottata è quella di «inderogabilità della sanzione prevista dall'art. 70 disp. att. c.c..». Pertanto, il reale contenuto della dichiarazione di nullità de qua é l'inderogabilità della relativa sanzione. Con la deliberazione impugnata, il condominio convenuto aveva manifestato la volontà di ripristinare l'operatività dell'art. 38 del regolamento.
La deliberazione dell'assemblea è valida rientrando nei suoi poteri sia l'approvazione del regolamento di condominio, ai sensi dell'art. 1138 c.c., sia le connesse sanzioni di cui all'art. 70 disp. att. c.p.c. Le clausole dei regolamenti condominiali, predisposti dall'originario proprietario dell'edificio condominiale ed allegati ai contratti di acquisto delle singole unità immobiliari, nonché quelle dei regolamenti condominiali formati con il consenso unanime di tutti i condòmini, hanno natura contrattuale soltanto qualora si tratti di clausole limitatrici dei diritti dei condòmini sulle proprietà esclusive o comuni ovvero atribuendo ad alcuni di essi maggiori diritti rispetto agli altri, mentre, qualora si limitino a disciplinare l'uso dei beni comuni, hanno natura regolamentare. Ne consegue che, mentre le clausole di natura contrattuale possono essere modificate soltanto dall'unanimità dei condòmini e non da una deliberazione assembleare maggioritaria, avendo la modificazione la medesima natura contrattuale, quelle di natura regolamentare sono modificabili anche da una deliberazione adottata con la maggioranza prescritta dall'art. 1136 c.c., comma 2.
Il Tribunale ha, inoltre, osservato che il regolamento condominiale, quali che ne siano l'origine ed il procedimento di formazione e, quindi, anche quando non abbia natura contrattuale, può contenere norme intese a tutelare il decoro architettonico dell'edificio condominiale che, a tale fine, siano suscettibili di incidere anche sulla sfera del dominio personale esclusivo dei singoli partecipanti, nei limiti in cui ciò si riveli necessario in funzione della salvaguardia del bene comune protetto . L'assemblea, dunque, ha il potere di prevedere sanzioni per le infrazioni al regolamento di condominio e decidere le questioni connesse con la maggioranza di cui all'art. 1138 c.c. e non con l'unanimità, salvo che si determini una limitazione di diritti dei condòmini sulle proprietà esclusive o comuni o si attribuisca ad alcuni di essi maggiori diritti rispetto ad altri. Nella specie, la ricorrente non lamentava una limitazione dei propri diritti esclusivi dominicali, per cui l'inopponibilità di cui ella si duole non assume rilevanza, in quanto la trascrizione del regolamento riguarda sempre e solo l'opponibilità delle limitazioni dei diritti dominicali individuali (Cass. 21024/2016). La previsione, contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, incidendo non sull'estensione ma sull'esercizio del diritto di ciascun condòmino, va ricondotta alla categoria delle servitù atipiche e non delle obbligazioni “propter rem”, difettando il presupposto dell'”agere necesse” nel soddisfacimento d'un corrispondente interesse creditorio. Ne consegue che l'opponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti va regolata secondo le norme proprie delle servitù ed avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, mediante l'indicazione, nella nota di trascrizione, delle specifiche clausole limitative, non essendo invece sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale. Infondati anche il motivo concernente l'inesistenza dell'avviso di convocazione e la provenienza da soggetto non legittimato - essendo indifferente l'intestazione della missiva risultando chiara nel suo contenuto e nella provenienza, in quanto sottoscritta da “L'amministratore” - e quello concernente la mancata verificazione della legittimità della seconda convocazione, avendo il Presidente dato atto della diserzione della prima convocazione.
Il Tribunale ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento, in favore del resistente, delle spese di lite, liquidate in euro 420,00 per competenze oltre spese generali nella misura del 15%.

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