Condominio

Niente vedute sullo spazio compreso tra due proprietà se le distanze sono violate

di Valeria Sibilio

In una ristretta comunità come quella che si costituisce nell'ambito condominiale, il rispetto delle distanze si riconduce al rischio di interferenze reciproche ed al rispetto della persona e dei beni altrui. Da qui, l'esigenza di regolamentare giuridicamente questi comportamenti, come dimostrato dalla Cassazione nella sentenza 17480 del 2018, depositata ieri. All'origine del caso la citazione notificata presso il Tribunale dalla proprietaria di un «casupolo-deposito», adiacente alla propria abitazione, nei confronti dei proprietari di un fabbricato confinante con il suo.
I convenuti, nel procedere alla soprelevazione del proprio immobile, avevano praticato un'apertura al secondo piano, costituente una illecita veduta sul casupolo e sul tetto dell'abitazione di proprietà dell'attrice, la quale chiedeva l'immediata chiusura della veduta e la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni.
Questi ultimi, nel costituirsi, deducevano l'infondatezza della domanda, chiedendone la reiezione e proponendo di accertare il diritto di comproprietà con l'attrice dello spazio compreso tra le due proprietà.
Il Tribunale, in accoglimento della domanda, ordinava l'eliminazione della violazione edilizia denunciata dall'attrice e condannava i convenuti al risarcimento dei danni, determinati in euro 1.000,00. La Corte d'Appello confermava integralmente la sentenza di primo grado, anche per l'ammontare del risarcimento, in quanto la veduta dell'apertura in causa, era eretta a distanza inferiore ad 1,5 mt. dalla verticale del muro di proprietà attrice e dunque in violazione dell'art. 905 c.c. La Corte rilevava, inoltre, che la domanda riconvenzionale, diretta ad affermare la comproprietà dello spazio comune e quindi del casupolo ivi ubicato, non era stata provata ed il documento esibito non dimostrava tale situazione ritenuta, in ogni caso, irrilevante, rilevando che le prescrizioni contenute nell'art.905 c.c. si applicano anche quando lo spazio su cui si apre la veduta sia comune, poiché la natura del bene su cui ricade la veduta non esclude il rispetto delle distanze ivi stabilite.
In Cassazion, i proprietari del fabbricato, nella persona del loro erede, proponevano sei motivi di ricorso, ai quali resisteva l'attrice con controricorso.
Con il primo motivo il ricorrente lamentava che la Corte territoriale avesse omesso di pronunciarsi sul motivo di impugnazione con cui era stata dedotta la nullità della sentenza di primo grado, in quanto il Tribunale avrebbe affermato la proprietà esclusiva dell'attrice sul casupolo, in assenza di alcuna domanda al riguardo. Motivo giudicato infondato. La Corte territoriale aveva escluso il vizio di ultra-petizione della sentenza di primo grado, rigettando nel merito l'impugnazione dei ricorrenti e confermando l'accoglimento della domanda proposta dall'attrice che aveva dimostrato di possedere il fondo in base ad un valido titolo di acquisto (Cass. 25342/2016).
Il secondo motivo di ricorso denunciava la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e l'omessa , insufficiente e contraddittoria motivazione nella parte in cui la sentenza impugnata aveva ritenuto che non fosse provata la comunione sulla porzione di terreno interposta e del casupolo eretto su tale spazio. Motivo anch'esso giudicato inammissibile in quanto prospetta cumulativamente il vizio di violazione di legge e di carenza motivazionale, facendo valere nel medesimo contesto questioni concernenti l'apprezzamento delle risultanze acquisite al processo ed il merito della causa ed attribuendo inammissibilmente al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle doglianze del ricorrente, al fine di decidere su di esse. Inoltre, il motivo tendeva a sollecitare un nuovo apprezzamento, nel merito, delle risultanze istruttorie, estraneo al giudizio di legittimità, a fronte dell'accertamento di fatto della Corte territoriale secondo cui gli odierni ricorrenti non avevano provato la proprietà indivisa dell'appezzamento comune.
Con il terzo motivo il ricorrente censurava la statuizione della sentenza impugnata che ha qualificato l'apertura praticata quale “veduta”. Anche in questo caso il motivo è inammissibile, poiché sovrappone mezzi di impugnazione diversi ed eterogenei, ed in quanto tende a contestare l'accertamento di fatto circa le caratteristiche dell'apertura praticata da essi ricorrenti, qualificata come veduta. Apprezzamento, questo, non sindacabile nel giudizio.
Nel quarto motivo, il ricorrente lamentava il fatto che la Corte avesse erroneamente ritenuto che l'apertura in oggetto consentisse una veduta ed avesse omesso di rilevare la natura di area comune del casupolo, denunciando, inoltre, la mancanza di un accertamento dello stato dei luoghi. Motivo, per gli ermellini, inammissibile in quanto la possibilità di affaccio sul fondo vicino era stata accertata basandosi sulle dimensioni e sulle caratteristiche strutturali dell'apertura, quali desumibili dalla riproduzioni fotografiche. Pure inammissibile, per carenza di decisività, la doglianza con cui si deduce la mancata applicabilità dell'art. 905 c.c. in conseguenza della natura di “bene comune” del cortile. La Corte territoriale aveva escluso la natura di area comune dello spazio su cui insisteva la veduta comunque illegittima, in quanto posta a distanza inferiore all'abitazione dell'attrice. In tema di rispetto delle distanze legali per l'apertura di luci e vedute, le prescrizioni contenute nell'art. 905 cod. civ. si applicano anche quando lo spazio su cui si apre la veduta sia comune, in quanto in comproprietà tra le parti in causa, poiché la qualità comune del bene su cui ricade la veduta non esclude il rispetto delle distanze predette (Cass. 12989/2008). Questa c0nsiderazione della II sezione sembra essere in contraddizione con quanto deciso pochi giorni fa dalla stessa sezione (ordinanza 17002/2018)
Nel quinto motivo, il ricorrente lamentava la mancata indicazione dei criteri di determinazione in concreto dell'ammontare liquidato a titolo di risarcimento del danno. Motivo infondato, in quanto la giurisprudenza, al fine di salvaguardare i fondi dalle indiscrezioni dipendenti dall'apertura di vedute negli edifici vicini, impone un divieto di carattere assoluto, da rispettarsi prescindendo dal danno in concreto verificatosi in conseguenza alla violazione delle norme in materia di distanze nella realizzazione di opere. I l soggetto leso non è pertanto tenuto a fornire alcuna prova del danno subito, identificatosi quest'ultimo nella violazione stessa, che dà luogo ad un asservimento di fatto del fondo altrui. Nella determinazione del danno, è a cura del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa e non suscettibile di sindacato in sede di legittimità.
Anche l'ultimo motivo di ricorso nel quale si lamenta l'omessa o errata valutazione delle risultanze processuali è stato giudicato inammissibile per la sovrapposizione di vizi diversi ed eterogeni e per la sua assoluta genericità, risolvendosi nella sollecitazione a formulare un sindacato sulla complessiva valutazione delle risultanze di causa. Tale valutazione è infatti demandata, in via esclusiva, al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione delle altre, non incontra altro limite se non quello di precisare l'iter logico della decisione, spettando solo a detto giudice di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove e scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando il ricorrente alla refusione delle spese liquidate in euro 4.200,00, di cui euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge.

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