Condominio

Canna fumaria illecita se lede il decoro ma lo smantellamento non va accollato al proprietario

di Selene Pascasi

Il divieto di occupare parti comuni, in modo permanente o temporaneo, non riguarda solo le costruzioni vere e proprie ma anche le semplici installazioni quali le canne fumarie che, seppur collocate in angoli poco visibili, pregiudicano l'armonia e il decoro della facciata. L'illegittima installazione dell'oggetto, tuttavia, non autorizza l'assemblea a deliberarne lo smantellamento a spese del proprietario, né a fissare un termine per la rimozione, visto il diritto del singolo sui servizi e sulle cose comuni. Lo annota il Tribunale di Udine, con sentenza n. 249 del 17 febbraio 2018 (Giudice Onorario Avv. Fabio Fuser).
A impugnare la decisione assembleare, con atto di citazione, è una condomina “condannata” dal condominio a rimuovere, entro una certa data, la canna fumaria a servizio del suo alloggio. In realtà, chiarisce la donna, quella canna, realizzata circa un ventennio prima dal costruttore – inizialmente unico proprietario dello stabile – era collocata in quel punto fin dall'acquisto del bene. Gli altri condòmini, quindi, comprando casa, avevano implicitamente accettato la situazione e lei, nel contempo, aveva usucapito il diritto di mantenerla nel sito dove era stata originariamente montata. Del resto, come titolare di una singola unità, le era consentito posare l'opera su un'area scoperta del cortile che, peraltro, era di uso esclusivo come stabilito dal contratto di compravendita dell'appartamento.
E comunque, conclude, l'assemblea non aveva il potere di sostituirsi al giudice nell'ordinare la rimozione della canna. Il condominio, però, contesta la sua ricostruzione: l'articolo 1102 del Codice civile, marca, vieta di usare le parti in comunione ove si alteri la destinazione della cosa comune, se ne impedisca il pari utilizzo agli altri, si pregiudichi la stabilità e la sicurezza dell'edificio o si leda il decoro architettonico. La delibera impugnata, allora, era valida in quanto emessa per tutelare la stabilità e la sicurezza del fabbricato nonché l'incolumità dei condòmini.
Il Giudice udinese concorda a metà: l'apposizione della canna era illegittima ma il condominio non era autorizzato a disporne la rimozione a spese della signora. Intanto, premette, l'attrice – non avendo offerto alcuna prova certa della preesistenza della canna a ridosso del muro comune – non poteva vantare di aver usucapito il diritto di mantenerla dov'era. Ad ogni modo, come osservato da Cassazione 4936/2014, se spetta al giudice valutare la liceità dell'opera alla luce dei divieti imposti dal Codice civile, tali preclusioni (derogabili e suscettibili di essere disciplinate, per regolamento o volontà assembleare, in modo più rigoroso: Cassazione 27233/2013) dovranno leggersi alla luce delle norme condominiali che, nella vicenda, vietavano di occupare gli spazi comuni, incluse le pareti, in «modo permanente o temporaneo con costruzioni e con qualunque altro oggetto», quindi, anche con canne fumarie. Evidente, poi, il danno estetico procurato. Tuttavia, chiude il Tribunale di Udine, la delibera impugnata era nulla: l'assemblea – impartendo l'ordine di rimozione – aveva palesemente “sforato” i propri poteri e le proprie competenze, risolvendo arbitrariamente una problematica che andava devoluta all'autorità giudiziaria. Tesi avvalorata persino dalle Sezioni Unite di Cassazione intervenute, con pronuncia n. 4086/2005, ad affermare la nullità delle delibere prive degli elementi essenziali, aventi oggetto impossibile o illecito per contrarietà all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume, esulanti dalla competenza (dai poteri) dell'assemblea o (per il Tribunale di Bari n. 2638/2012) incisive dei diritti individuali su cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva del condomino. Ed imporre lo smantellamento della canna fumaria violava, a prescindere dalla sua illegittimità, il diritto del singolo sulle cose comuni. Al più, l'assemblea avrebbe potuto deliberare richiesta di rimozione con messa in mora sull'avvio, in caso d'inerzia, di un'azione giudiziaria. Scelta misurata, questa, che non sarebbe costa al condominio la refusione delle spese di lite.

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