Condominio

Chi gestisce la piscina condominiale non sempre risponde della caduta del bagnante

di Giulio Benedetti

Il gestore della piscina non risponde sempre per la caduta in piscina del bagnante.
Il fondamento della responsabilità extracontrattuale è quello dell'articolo 2043 del codice civile il quale , in ossequio ad una tradizione giuridica trimillenaria , stabilisce la responsabilità civilistica e l'obbligo di risarcire il danno per colui che ha cagionato con dolo o colpa ad altri un danno ingiusto. Tale regime , sia pur rispondente ad un alto principio di civiltà ovvero quello della responsabilità individuale , espone il danneggiato ad una serie di oneri probatori spesso di difficile attuazione: vale a dire che , al fine di vedersi riconoscere il diritto al risarcimento del danno , deve provare:
* il danno ;
* il nesso di causalità tra il danno e l'operato dell'agente ;
* l'ingiustizia del danno ;
* la sussistenza dell'elemento soggettivo doloso o colposo nella condotta dell'agente.
Il legislatore , nelle ipotesi di responsabilità aggravata, per avvantaggiare la persona danneggiata , disciplina in maniera diversa e più grave per i soggetti che creano dei rischi , la problematica inerente l'individuazione del responsabile del danno. Nel caso di danno di cose in custodia , particolarmente ricorrente nei casi giurisprudenziali avvenuti all'interno del condominio, l'articolo 2051 del codice civile stabilisce che ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia , salvo che provi il caso fortuito. In tali casi il legislatore presume che se fossero state adottate tutte le precauzioni , previste in particolare dalla normativa specialistica di sicurezza nei luoghi di vita e di lavoro , idonee ad evitare il danno, quest'ultimo non si sarebbe verificato. Pertanto è ritenuto responsabile chi aveva in custodia la cosa che ha provocato il danno , a meno che non venga provato il fatto di un terzo o uno specifico evento imprevedibile e inevitabile , estraneo alla cosa o al custode.
La giurisprudenza ha così ridotto il margine della prova liberatoria per il danneggiante al punto di consentire l'affermazione per cui alcuni interpreti affermano che vige un regime di responsabilità oggettiva.
L'esercizio di una piscina da un lato si inquadra giuridicamente nell'articolo 2051 c.p. e delle normative regionali di riferimento e dall'altro può comportare la responsabilità penale dell'esercente , secondo il principio generale di garanzia stabilito dall'art. 40, secondo comma, c.p. per gli infortuni colposamente cagionati ai frequentatori. Inoltre le fonti giuridiche possono comprendere anche quelle della responsabilità aggravata prevista dall'articolo 2050 c.c. per il quale : “ chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa , per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati , è tenuto al risarcimento , se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.”
Tuttavia ricorre il caso in cui la prova liberatoria del gestore dell'impianto esclude la sua responsabilità in ordine alla caduta di un bagnante dal bordo della piscina. La Corte di Cassazione (ord. n. 16809/2018) ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso una sentenza della Corte di Appello la quale , confermando la pronuncia del Tribunale, aveva respinto la domanda rivolta ad ottenere il risarcimento del danno subito a seguito della caduta di una bagnante a bordo della piscina ed avvenuta presso un parco acquatico. La ricorrente affermava l'insidiosità del bordo interno della piscina su cui era transitata , con la conseguente responsabilità del gestore dell'impianto ai sensi degli artt. 20151 e 2043 c.c.. In particolare la ricorrente affermava che la Corte di Appello aveva erroneamente ricostruito la responsabilità confondendo l'occasione dell'evento con il nesso causale ed omettendo di considerare che nonostante la staticità del bene non poteva essere esclusa una situazione di pericolo. Aggiungeva che la Corte di Appello aveva posto la responsabilità del sinistro a suo carico , affermando che aveva camminato in un punto pendente per lo scolo delle acque e dotato, comunque, di pavimentazione antiscivolo . Pertanto per la ricorrente avevano errato i giudici di Appello poiché avevano invertito l'onere della prova in relazione al caso fortuito, ritenendo dimostrata la presenza a bordo piscina di materiale idoneo a prevenire le cadute , senza che ciò fosse effettivamente dimostrato ed essendo , anzi contraddetto dallo stesso oggetto della controversia. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso poiché in sede di legittimità è precluso l'esame del merito della controversia . Invero la Corte di Cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa . Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata , contrapponendovi la propria diversa interpretazione , al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti (C.Cass. n. 25332/2014) , ma deve individuare con esattezza i profili di cui chiede la cassazione , collegandoli specificamente ai vizi rubricati.

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