Condominio

Non si prescrive l’azione di rimozione di opere sulle parti comuni

di Valeria Sibilio

Ha natura reale l'azione con la quale il condominio chiede la rimozione di opere che un condòmino abbia effettuato sulla cosa comune, oppure nella propria unità immobiliare, con danno alle parti comuni; quindi non si prescrive se non dopo vent’anni con la dichiarazione di usucapione del bene. Un principio sancito dall'ordinanza 14622 (relatore Antonio Scarpa) del 2018 con la quale la Cassazione ha trattato un caso nel quale le opere di rimozione del tetto, operate dalla condòmina ricorrente avevano danneggiato l'appartamento di una seconda condòmina , intimata nella causa in questione. Causa originata da quest'ultima, che aveva convenuto davanti al Tribunale di Primo Grado il proprio condominio e la seconda attuale intimata per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti dalla propria unità immobiliare, con chiamata in garanzia operata dal condominio nei confronti della attuale ricorrente, in forza di clausola di manleva contenuta nella scrittura del 14 ottobre 1986.
In tale scrittura quest'ultima, la quale aveva eseguito opere di rimozione del tetto, si prendeva carico di tutte le riparazioni dovute al piano sottostante per eventuali cause di infiltrazioni. Il Tribunale, con sentenza n. 25334/2009, preso atto che erano state eseguite in corso di causa le opere necessarie a far cessare le infiltrazioni, dichiarò cessata la materia del contendere tra le attrici attualmente intimate ed il Condominio, mentre rigettava le domande di manleva proposta dal Condominio nei confronti della attuale ricorrente. In Secondo Grado, la Corte con sentenza n. 4197/2016, accoglieva la domanda di manleva avanzata dal Condominio appellante nei confronti delle appellate, oggi ricorrente ed intimata, condannando le stesse a tenere indenne il medesimo Condominio di quanto da esso corrisposto a titolo risarcitorio all'attrice intimata, precedentemente ricorrente Contro tale sentenza, l'attuale ricorrente proponeva ricorso per Cassazione. Il condominio, a sua volta, presentava controricorso nonché ricorso incidentale in due motivi, dal quale l'attuale ricorrente si difendeva con controricorso.
Nel primo motivo del ricorso si deduce che la mancata impugnazione della statuizione di cessazione della materia del contendere resa dal Tribunale tra le attrici ed il Condominio avrebbe comportato l'inammissibilità di una pronuncia in appello sulla domanda di garanzia proposta dal condominio nei confronti delle due attrici. Motivo giudicato infondato in quanto la pronunzia del Tribunale affermava che fosse venuto meno il dovere del giudice di pronunziare sul merito della domanda risarcitoria della precedentemente ricorrente verso il condominio e una delle attuali intimate, essendo svanito, per effetto dell'intervento di ripristino attuato in corso di giudizio, l'interesse delle parti alla decisione, con conseguente sentenza finale di rito.
Di tale sentenza le parti potevano dolersi nel merito in sede di impugnazione solo contestando l'esistenza del presupposto per emetterla, risultando invece precluso per difetto di interesse ogni altro motivo di censura sulla vicenda sostanziale, atteso che è comunque onere della parte, che contesti, appunto, la decisione per questioni di merito, impugnare preliminarmente la declaratoria di cessazione della materia del contendere. Tale pronuncia di cessazione della materia del contendere va tuttavia circoscritta all'azione di risarcimento dell'attrice precedentemente ricorrente per i danni subiti in conseguenza dell'omessa manutenzione del lastrico solare di proprietà in parte condominiale ed in parte esclusiva, ma non investe l'azione di garanzia per evizione parziale, assumendo al riguardo rilievo il diverso obbligo derivante dalla clausola di manleva contenuta nella scrittura del 14 ottobre 1986, con cui l'attuale ricorrente, esecutrice delle opere di rimozione del tetto, si accollava nei confronti del Condominio i costi delle riparazioni dovute al piano sottostante per eventuali cause di infiltrazione.
Il mancato accoglimento della domanda principale di accertamento della responsabilità del convenuto, quale conseguenza della sopravvenuta carenza di interesse dell'attore per effetto dell'adempimento dell'obbligo risarcitorio, non elimina l'interesse alla pronuncia sulla domanda di manleva proposta dal convenuto medesimo nei confronti del terzo, chiamato in causa proprio per tenerlo indenne dagli effetti di quella condanna, trattandosi di domanda del tutto distinta.
Il secondo motivo del ricorso denuncia la nullità della sentenza della Corte d'Appello per omessa pronuncia sull'eccezione di prescrizione formulata dai chiamati in garanzia nella comparsa di costituzione risposta depositata in Tribunale all'udienza dei prima comparizione del 21 novembre 2006, ribadita nella memoria ex art. 180 c.p.c. e riproposta nella comparsa di risposta in appello ex art. 346 c.p.c. Un motivo di ricorso giudicato, dagli ermellini, fondato, in quanto non essendo stata l'eccezione di prescrizione dell'azione di garanzia, tempestivamente proposta dai terzi chiamati, respinta in primo grado, in modo espresso, né attraverso un'enunciazione indiretta che ne sottendesse, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, per la devoluzione al giudice d'appello della sua cognizione, da parte dei destinatari dell'azione di garanzia, rimasti comunque vittoriosi quanto all'esito finale della lite, non occorreva la proposizione del gravame incidentale, essendone sufficiente, come avvenuto nella specie, la mera riproposizione. La Corte d'Appello, ritenuto che la domanda di garanzia per le opere eseguite sul lastrico solare di uso esclusivo dell'appartamento di una delle attuali intimate potesse fondarsi sugli accertamenti peritali, che avevano individuato la causa delle infiltrazioni nella inidoneità dell'impermeabilizzazione realizzata all'atto delle modifiche del lastrico apportate dall'attrice attuale ricorrente, nonché sulla dichiarazione di manleva contenuta nella scrittura del 14 ottobre 1986, si è limitata a osservare che «il decorso di vent'anni dalla dichiarazione in esame dimostra l'atteggiamento di tolleranza del Condominio che, evidentemente, ha fatto acquiescenza al mutamento dello stato dei luoghi contro l'assunzione di ogni possibile conseguenza negativa da parte degli esecutori dei lavori», ritenendo assorbito anche l'appello incidentale della attuale intimata.
È evidente che, al fine di escludere il vizio di omessa pronuncia sull'eccezione di prescrizione, neppure può dirsi che ricorresse un assorbimento, in quanto questo suppone, in senso proprio, che la decisione sulla questione assorbita divenga superflua per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale, con la pronuncia sulla questione assorbente, abbia conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, e, in senso improprio, che la decisione assorbente escluda la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporti un implicito rigetto di altre domande.
Nel terzo motivo di ricorso la ricorrente allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in connessione all'art. 111 Cost., per aver la Corte d'Appello fondato la responsabilità dei garanti alla stregua della perizia espletata nel procedimento svoltosi tra la precedentemente ricorrente, una delle attuali intimate ed il Condominio, ed al quale perciò la ricorrente era rimasta estranea. L'accoglimento del secondo motivo priva di rilevanza decisoria questa censura, che rimane perciò assorbita.
Il primo motivo del ricorso incidentale del condominio deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102, 1120 e 1122 c.c., mentre il secondo motivo censurava la motivazione omessa, quanto alla imprescrittibilità della domanda di riduzione in pristino avanzata dal Condominio. I due motivi del ricorso incidentale, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono fondati nei termini di seguito indicati. La Corte d'Appello aveva respinto la domanda di rimessione in pristino osservando che il decorso di vent'anni dalla dichiarazione di manleva dimostrasse «l'atteggiamento di tolleranza del condominio che, evidentemente, ha fatto acquiescenza al mutamento dello stato dei luoghi contro l'assunzione di ogni possibile conseguenza negativa da parte degli esecutori dei lavori. Contravvenendo, quindi, il ragionamento per cui l'azione, con la quale il condominio di un edificio chiede la rimozione di opere che un condòmino abbia effettuato sulla cosa comune, oppure nella propria unità immobiliare, con danno alle parti comuni, in violazione degli artt. 1102, 1120 e 1122 c.c., ha natura reale, e, pertanto, giacché estrinsecazione di facoltà insita nel diritto di proprietà, non è suscettibile di prescrizione. L'imprescrittibilità può essere superata dalla prova della usucapione del diritto a mantenere la situazione lesiva.
La Cassazione ha, perciò, accolto il secondo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale, rigettando il primo motivo, dichiarando assorbito il terzo motivo del ricorso principale e cassando la sentenza impugnata rinviandola ad altra sezione della Corte d'Appello anche per le spese el giudizio di cassazione.

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