Condominio

Terreno comune, niente divieti all’uso e al passaggio anche dopo 30 anni

di Valeria Sibilio

Nell'utilizzo delle cose comuni non si devono porre in essere atti tali da modificare la funzione a cui il bene è stato in origine destinato e, conseguentemente, impedire agli altri condòmini di farne altrettanto uso nei limiti del loro diritto. Come dimostra la sentenza n°16282 del 2018, nella quale la Cassazione ha esaminato un caso in cui il proprietario possessore della porzione di un vecchio fabbricato conveniva in Tribunale la proprietaria dell'immobile contiguo ed in comunione al suo.
L'attore lamentava che la convenuta aveva alterato la destinazione della cosa comune apponendo paletti di ferro lungo la stradella di accesso alla corte comune, riducendone l'ampiezza così da impedire il passaggio con mezzi meccanici nonché nell'area adiacente il fabbricato. Deduceva che era sua intenzione costruire un piccolo gabinetto con relativo pozzo nero sulla porzione di fondo di proprietà della convenuta, come da divisione notarile, ripristinando i servizi preesistenti nel vano cucina ed ottenendo il passaggio dell'acquedotto e dello scarico coattivo sul fondo della suddetta convenuta. Chiedeva, inoltre, l'accertamento dell'abuso della cosa comune, con condanna della convenuta alla rimozione di quanto apposto ed ai danni con declaratoria del suo diritto a costruire il gabinetto, il pozzo nero e la costituzione di servitù coattiva di acquedotto e di scarico e di passaggio di un tubo per convogliare l'acqua del pozzo comune alla porzione del suo fabbricato sulla sezione di terreno della convenuta che intercludeva il pozzo, previa determinazione dell'indennità.
La convenuta contestava la domanda, eccependo la prescrizione delle previsioni di cui all'atto di divisione, essendo decorsi oltre trenta anni. Il Tribunale accoglieva la domanda, dichiarando l'illegittimità della apposizione dei paletti e della rete metallica, con ordine di rimozione. Rigettava la domanda di danni, accertava l'interclusione e costituiva la servitù di acquedotto e di scarico dietro pagamento di indennità. Successivamente, la Corte di appello, dichiarando la nullità della sentenza di primo grado e disponendo la rinnovazione della perizia, rigettava l'appello della proprietaria precedentemente convenuta, accertando la comunione, dichiarando costituite le servitù di acquedotto e di scarico, con pagamento dell'indennità e condanna dell'appellante alle spese. Per la Corte territoriale, la attuale ricorrente aveva inglobato all'interno della propria esclusiva proprietà, porzioni che costituivano corte comune e sussisteva anche l'interclusione che giustificava la costituzione delle servitù coattive.
Ricorrendo in Cassazione, l'erede della proprietaria affermava, nel primo motivo, che, a seguito del deposito della perizia in appello, era stato presentato un articolato foglio di deduzioni a verbale, il cui contenuto doveva intendersi ripetuto e trascritto. Trattasi di doglianza generica, tenuto conto che la Corte di appello aveva rinnovato la perizia, quest'ultima l'ha recepita non acriticamente ma con richiami specifici anche alle clausole contrattuali. Non indicando la norma violata e trascurando che il Giudice non ha l'obbligo di replicare ad ogni deduzione.
Nel secondo motivo, non veniva dimostrato l'interesse alla doglianza rispetto alla perizia di primo grado, stante l'accoglimento dell'eccezione preliminare dell'appellante con declaratoria di nullità della sentenza di primo grado e rinnovo della CTU. Occorreva specificare le doglianze in relazione all'uso della perizia fatto dalla Corte.
Il terzo ed il quarto motivo hanno riproposto motivi di appello sui quali la sentenza ha risposto e manifestano dissenso invocando un terzo grado di merito. Premesso che, in via generale, alla cassazione di una sentenza si può giungere solo quando la motivazione sia incompleta, incoerente ed illogica e non quando il giudice del merito abbia valutato i fatti in modo difforme dalle aspettative di parte, le censure della ricorrente tendono ad una rilettura degli atti non consentita in Cassazione e non modificano il quadro probatorio delineato in sentenza. È inammissibile il motivo di ricorso per l'omesso esame di elementi istruttori ove il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione. In particolare, sul terzo motivo non si considera che l'opera dell'interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d'ermeneutica contrattuale oltre che per vizi di motivazione nell'applicazione di essi. Pertanto, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d'interpretazione mediante specifica indicazione delle norme violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali violati.
Di conseguenza, ai fini dell'ammissibilità del motivo di ricorso, non può essere considerata idonea la critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata mediante la contrapposizione d'una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d'argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità.
La Cassazione ha, perciò, dichiarato inammissibile il ricorso, condannando la ricorrente alle spese liquidate in euro 2700,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese forfettarie nel 15%.

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