Condominio

Se il bene è comune, il condominio è sempre responsabile per i danni

di Anna Nicola

I beni indicati dall'art. 1117 c.c. possono essere sottratti alla comproprietà degli abitanti dell'edificio se vi è un titolo che dispone diversamente. Questo titolo può essere l'atto costitutivo del condominio, cioè il primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dall'originario unico proprietario ad altro soggetto. Può trattarsi di compravendita ma anche di qualsiasi atto idoneo a trasferire il diritto di proprietà in capo ad una persona diversa dall'originario proprietario o costruttore, come potrebbe essere una donazione o una successione testamentaria. Ad esempio il costruttore, che è proprietario di un edificio, decide di creare vari appartamenti all'interno dello stabile per poterli vendere a terzi. Il primo atto di vendita (o donazione) comporta la nascita di fatto del condominio. In questa sede il costruttore può riservare a sé la proprietà di una certa parte del condominio, prevedendo espressamente la clausola di riserva di proprietà a suo favore nel contratto di compravendita dell'appartamento.
Anche il regolamento condominiale contrattuale può escludere la comunione di un bene che, per destinazione, sarebbe al servizio dell'intero edificio, in ragione della decisione all'unanimità dei condomini. Poiché tutti i condomini sono d'accordo, si può costituire stabilire che un certo bene è di proprietà esclusiva di un singolo condomino. Così può essere costituito un certo diritto reale, ad esempio una servitù a favore dell'unità immobiliare di un solo abitante dello stabile e a carico della collettività del condominio. In realtà è più corretto parlare (non di regolamento ma) di clausole del regolamento aventi natura contrattuale in ragione del loro rispettivo contenuto. Poiché vi è la rinunzia del bene da parte dei singoli condòmini a favore di uno solo di essi, occorre la manifestazione del consenso da parte di tutti gli abitanti dell'edificio. Questa è la ragione per cui ci si esprime in termini di contenuto contrattuale del regolamento, onde distinguerlo da quello assembleare che, come tale, non deroga e non può derogare ai principi sanciti dal codice civile. Poiché la decisione è assunta a maggioranza e non all'unanimità, non può essere validamente costituito alcun diritto reale, a partire dalla proprietà a finire all'uso, mancando il consenso totalitario degli aventi diritto.
Ritornando alla presunzione di comunione sancita dall'art. 1117 c.c., essa può altresì essere superata dalla obiettiva ed effettiva destinazione del bene a servizio e/o godimento di un singolo alloggio. L'esempio classico sino alla nuova formulazione dell'art. 1117 c.c. era – e attualmente è - in tema di sottotetto: come visto, le sue dimensioni e quindi la sua conseguente destinazione fa propendere per la presunzione di comunione, ove sia di certe dimensioni; viene invece , ritenuta di proprietà solitaria, se le dimensioni sono ridotte e quindi la sua funzione è solo quella di protezione dell'alloggio sottostante (c.d. camera d'aria). (Cass. 12046/2013; Cass. 64/2013; Cass. 4340/2013; Cass11820/2011; Cass. 12840/2012)
In assenza di titolo contrario, tutti i condomini hanno il pari diritto di usare del bene, salvo che la sua destinazione sia tale da permettere un uso diversificato in capo ai singoli e semprechè non vi sia una clausola del regolamento di condominio che ne sancisca un certouso specifico.
Se ad esempio nel cortile condominiale vi è un rubinetto dell'acqua condominiale, i singoli condomini possono utilizzare –salvo diversa previsione del regolamento dell'edificio- l'acqua per lavare la propria automobile, il proprio scooter e così via mentre il portiere la usa per bagnare le piante che ci sono nel cortile. Al pari, la scala condominiale è comune anche quando il piano è di proprietà di un solo condomino e gli altri non la utilizzino. Il condòmino non può chiudere l'accesso, in quanto così facendo ostacola il diritto di proprietà del bene comune sussistente in capo agli altri abitanti dell'edificio.
Lo stesso dicasi per la responsabilità derivante da danni cagionati da una parte comune dell'edificio: tutti i suoi abitanti sono obbligati a rispondere dei danni causati anche eventualmente alle individuali proprietà dei singoli condomini. Il condominio è custode dei beni e servizi della proprietà collettiva ex art. 2051 c.c. e è obbligato a adottare tutte le misure necessarie onde evitare qualsivoglia pregiudizio. (Cass., 2840/2013; Cass. 4419/2013; Cass., 10195/2013; Cass., 7103/2013).
La responsabilità del condominio è stata di recente affermata dal Supremo Collegio in un caso di caduta di un condòmino per la scala dell'edificio a causa del pavimento scivoloso, per la presenza di materiali di risulta. In linea di principio, si ritiene che vi possa essere il concorso di responsabilità nell'accadimento del fatto: il soggetto danneggiato, essendo condomino, era a conoscenza della pericolosità del pavimento, dovendo perciò percorrerlo con le dovute cautele. Circostanza non verificata tuttavia nel caso di specie.
La responsabilità per i furti che si possono verificare negli alloggi in condominio, mentre vengono eseguiti interventi di manutenzione con ponteggi nelle parti comuni dell'edificio, deve essere accertata in ragione delle circostanze del caso concreto e dello specifico comportamento del soggetto che subisce il furto, sulla base delle risultanze istruttorie. (Cass., 10195/2013; Cass. n. 9140/2013; Cass. 1890/2013)
I beni e servizi di cui all'art. 1117 c.c. sono indicati solo a titolo esemplificativo. Non deve essere esclusa la fattispecie condominiale se vi è un vincolo di accessorietà o di necessità che lega il condominio e/o le unità immobiliari a cose e impianti non contemplati dalla norma. Così è ad esempio per la piscina all'interno di un complesso condominiale, a cui tutti gli abitanti degli edifici possono accedere. (Cass. 9105/2013; Cass. 13883/2010)
La comproprietà del bene comporta l'obbligo di manutenzione da parte di tutti i condomini.
«In tema di condominio, a norma dell'art. 1117 c.c., dal momento che per suolo di un edificio condominiale deve intendersi l'area di terreno sita in profondità su cui posano le fondamenta di un immobile, i condomini saranno comproprietari non della superficie a livello di campagna (che, nel caso di specie, a causa dello sbancamento del terreno e della costruzione del fabbricato, è venuta a mancare), bensì dell'area di terreno sita in profondità - sottostante, cioè, alla superficie alla base del fabbricato - sulla quale posano le fondamenta dell'immobile. Pertanto, nel caso di specie, posto che i condòmini sono tutti comproprietari del bene attoreo, l'obbligo di manutenzione graverà sul condominio che è condannato ad eseguire i lavori necessari sia ad eliminare le cause degli inconvenienti verificatisi, sia a riparare i danni già provocati all'immobile dai difetti del sottosuolo dell'edificio condominiale accertati in corso di causa». (Trib. Catania 01/06/2006).
L'amministratore diligente convoca l'assemblea quando i beni comuni minacciano rovina o pericolo di rovina in quanto il condominio è responsabile, a titolo extracontrattuale nel caso si verifichi un danno a causa della cattiva manutenzione dei beni del condominio. L'art. 2051 c.c. sancisce la c.d. responsabilità oggettiva di chi ha beni in custodia: “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”. Può concorrere anche la responsabilità personale dell'amministratore nel caso in cui non sia intervenuto per mettere in sicurezza il bene pericolante. Sussiste la responsabilità del condominio in ragione del nesso causale tra il bene condominiale ed il danno occorso derivante dalla sua cattiva custodia. Non vi è la necessità che ricorra anche la prova dell'aspetto psicologico del danneggiante - condominio, quale il dolo o la colpa, essendo sufficiente la sola dimostrazione del nesso eziologico. Sebbene alcuni affermino esservi una presunzione iuris tantum della sussistenza della colpa, la Suprema Corte ha evidenziato che la responsabilità in questione è puramente oggettiva, in quanto “la norma di cui l'art.2051 non si fonda su una presunzione di colpa, ma individua un'ipotesi di responsabilita' oggettiva che in concreto ricorre quando sia individuabile un rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo” (Cass. 30 ottobre 2008, n. 26051). Questa può essere vinta solamente dalla prova contraria del caso fortuito, da intendersi quale fatto naturale (cd. forza maggiore), quale fatto del terzo ovvero dello stesso danneggiato. Vi è l'imputabilità dell'accaduto al condominio quando il fatto costituisce un antecedente necessario dell'evento, quando esso non è stato poi neutralizzato, sul piano causale, dalla sopravvenienza di circostanze da sole idonee a determinare l'evento, naturalmente se l'antecedente è un bene o un servizio del condominio. Ad oggi l'orientamento dominante segue la decisione della Suprema Corte da ultimo riportata.
<<La fattispecie di cui all'art. 2051 c.c., individua un'ipotesi di responsabilità oggettiva e non una presunzione di colpa, essendo sufficiente per l'applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa (e, perciò, anche per le cose inerti) e senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, poiché l'azione di responsabilità per custodia ex art. 2051 c.c., presuppone sul piano eziologico e probatorio accertamenti diversi, e coinvolge distinti temi di indagine rispetto all'azione di responsabilità per danni a norma dell'art. 2043 c.c., dipendente dal comportamento del custode, che; è invece elemento estraneo alla struttura della fattispecie normativa di cui all'art. 2051 c.c., nella quale il fondamento della responsabilità è la custodia, esclusa soltanto nel caso in cui l'evento sia imputabile ad un caso fortuito riconducibile al profilo causale e cioè quando si sia in presenza di un fattore esterno che, interferendo nella situazione in atto, abbia di per sé prodotto l'evento, assumendo il carattere del c.d. fortuito autonomo, ovvero quando si versi nei casi in cui la cosa sia stata resa fattore eziologico dell'evento dannoso da un elemento o fatto estraneo del tutto eccezionale (c.d. fortuito incidentale), e per ciò stesso imprevedibile>> (Cass. 12329/2004, 376/2005, 2563/2007; Cass. 11695/2009).
<<In tema di danno cagionato da cose in custodia è indispensabile, per l'affermazione di responsabilità del custode, che sia accertata la sussistenza di un nesso di causalità tra la cosa ed il danno patito dal terzo, dovendo, a tal fine, ricorrere la duplice condizione che il fatto costituisca un antecedente necessario dell'evento, nel senso che quest'ultimo rientri tra le conseguenze normali ed ordinarie di esso, e che l'antecedente medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano causale, dalla sopravvenienza di circostanze da sole idonee a determinare l'evento. Alla stregua di tale principio generale consegue che l'obbligo del custode di segnalare il pericolo connesso all'uso della cosa si arresta di fronte ad un'ipotesi di utilizzazione impropria la cui pericolosità sia talmente evidente ed immediatamente apprezzabile da chiunque, tale da renderla del tutto imprevedibile, sicché l'imprudenza del danneggiato che abbia riportato un danno a seguito di siffatto uso improprio integra il caso fortuito per gli effetti di cui all'art. 2051 cod. civ. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva escluso il nesso di causalità tra l'eventuale dovere di custodia di un condominio relativo ad un cortile adibito a parcheggio e l'evento di danno occorso al figlio minore di uno dei condomini che, introdottosi in ora serale in tale cortile protetto da apposito cancello e destinandolo a spazio ricreativo per giocarvi a pallone, si era procurato delle lesioni venendo a contatto con i vetri di copertura delle grate di aerazione di un garage, anch'esse appositamente protette, così ponendo in essere il c.d. “fattore esterno”, idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra cosa e danno e a condurre all'esonero da qualsiasi responsabilità del convenuto condominio). (Rigetta, App. Lecce, 12 maggio 2003)>> (Cass. 24804/2008).
Il condominio può liberarsi da questa responsabilità solo fornendo la prova del caso fortuito, che, in quanto tale, spezza il rapporto diretto tra il bene ed il danno.
Il caso fortuito libera il condominio dalla responsabilità ex art. 2051 c.c. Occorre la dimostrazione che il bene da cui è derivato il danno a terzi è stato, ad esempio, posto da estranei o anche da un singolo condomino nel raggio di azione del condominio. Una volta fornita la prova del fortuito, il condominio non può essere condannato a risarcire il danno subito dal terzo a causa della accidentale presenza del bene sul suolo di proprietà comune. Al limite, si può discutere di responsabilità concorrente del condominio, per mancata sorveglianza, con l'autore del fatto.
<<Chi proponga domanda di risarcimento dei danni da cose in custodia, ai sensi dell'art.2051 cod. civ., in relazione alle condizioni di una strada (nella specie, danni conseguenti alla caduta da una motocicletta), ha l'onere di dimostrare le anomale condizioni della sede stradale e la loro oggettiva idoneità a provocare incidenti del genere di quello che si è verificato (nella specie, presenza di pietrisco sul fondo stradale). E' onere del custode convenuto in risarcimento, invece, dimostrare in ipotesi l'inidoneità in concreto della situazione a provocare l'incidente, o la colpa del danneggiato, od altri fatti idonei ad interrompere il nesso causale fra le condizioni del bene ed il danno>> (Cass. 26751/2009)

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