Condominio

Difficile stabilire la natura della tettoia

di Donato Palombella


Il caso in esame, semplice a prima vista, si rivera come un vero e proprio "giallo" ricco di colpi di scena. Tutto trae origine da una DIA relativa alla realizzazione di una tettoia. Il problema consiste nello stabilire la natura delle opere: si tratta di edilizia libera, occorre il permesso di costruire o è sufficiente la DIA? Il caso vuole che la tettoia copra una preesistente veranda, il che accende una ulteriore discussione: la tettoia fa volume? Persino i dati oggettivi sono di difficile interpretazione: la veranda è aperta su un solo lato o su tre? E non finisce qui! Si scopre che la DIA è stata presentata in assenza della preventiva autorizzazione paesaggistica per cui le opere sarebbero comunque illegittime. Ci si può salvare con l'accertamento di conformità?

L'antefatto
Il proprietario di un immobile presenta una DIA per lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, ai sensi dell'articolo 22 del Dpr 380/2001, avente ad oggetto la realizzazione di opere interne di manutenzione straordinaria che includevano anche il rifacimento della preesistente veranda e la realizzazione di una sovrastante tettoia con struttura in legno di circa mq 35. Il "solito" vicino ritiene che i lavori siano illegittimi e presenta una denuncia; di conseguenza la Procura della Repubblica chiede il sequestro dell'immobile, ma la richiesta viene respinta dal GIP in quanto la veranda risultava essere esistente fin dal 1959. Ciò non impedisce al Comune di emettere una ordinanza di demolizione della tettoia e, al di sotto di essa, di un manufatto in ampliamento dell'appartamento in alluminio e vetri di metri 14 per 2,60 di altezza. Il proprietario impugna il provvedimento dinanzi al TAR che rigetta il ricorso.

La ragioni del proprietario: la tettoia è aperta su tre lati
Il proprietario ritiene che il Comune (e il TAR) siano caduto in una serie di errori: secondo l'amministrazione, si tratterebbe di una tettoia chiusa su tre lati e, come tale, di un "volume" la cui realizzazione avrebbe richiesto il preventivo rilascio di un permesso di costruire (e non di una semplice DIA).
In realtà, la tettoia sarebbe aperta su tre lati e, come tale, non avrebbe richiesto il preventivo rilascio del permesso di costruire per due motivi:
a. perché non avrebbe comportato un'apprezzabile mutamento del territorio (articolo 10, comma 1, del T.U. edilizia);
b. in quanto si tratterebbe di un opera pertinenziale (articolo 6, comma 1, T.U. edilizia).
A sostegno della propria tesi, il proprietario deposita una serie di documenti: la perizia tecnica allegata alla DIA con i relativi allegati, nonché la documentazione fotografica dello stato dei luoghi.

I tempi per respingere la DIA sono decorsi
Il proprietario evidenzia un altro punto a suo favore: i tempi assegnati al Comune per impugnare la DIA sarebbero ampiamente decorsi per cui le opere dovevano ritenersi assentite. Di conseguenza, il Comune, prima di adottare l'ordine di demolizione, avrebbe dovuto annullare la autotutela in autotutela, previo avviso di avvio del procedimento, dimostrando l'esistenza di un interesse pubblico prevalente rispetto agli interessi del privato, "superando" il legittimo affidamento del proprietario.

Perché viene respinto l'accertamento di conformità?

Il proprietario cerca di uscire dal tunnel presentando una domanda di accertamento di conformità ex articolo 36 del Dpr 380/2001 che, però, viene respinta dall'amministrazione.

Il parere del Consiglio di Stato: non si tratta di edilizia libera
Il giudice d'appello ritiene che la tettoia di copertura di un terrazzo, realizzata con struttura in materiale ligneo e copertura in tegole, non possa rientrare nell'ambito di applicazione dell'articolo 6, comma 1, del Dpr 380/2001, disciplinante la cd. attività edilizia libera". La sua realizzazione non rientrerebbe neanche negli interventi di manutenzione straordinaria in quanto si tratterebbe di un manufatto nuovo.

...non si tratta di un elemento d'arredo
La tettoia non sarebbe neanche paragonabile ad un "elementi di arredo delle aree pertinenziali dell'edificio" (articolo 6, comma 2, lett. e). La nozione di "elemento di arredo", sottolinea il Consiglio di Stato, è riferita ad interventi minimi, finalizzati all'abbellimento di una struttura preesistente e, dunque, non appare riferibile, ad una nuova struttura di ben 35 mq.

… né di un intervento di trasformazione edilizia
Il giudice d'appello esclude che la tettoia possa essere considerata come un "intervento di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio" che richiede il preventivo rilascio del permesso di costruire. In sostanza, la realizzazione della tettoia non sarebbe subordinata la preventivo rilascio del permesso di costruire, in quanto non potrebbe essere qualificata come un "intervento di nuova costruzione" (comma 1, lett. a) e art. 3 , lett. e) del T.U.), né, tanto meno, potrebbe essere considerata come un intervento di "ristrutturazione edilizia" assoggettato a permesso di costruire ( articolo 10, comma 1, lett. c) in quanto la struttura realizzata non porta ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal preesistente, si trova in zona B e non modifica la sagoma di un immobile vincolato.

La tettoia è una pertinenza
La sesta sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza del 16 aprile 2018, n. 2248, sembra procedere per esclusione. Considerato che, come abbiamo visto, non si tratta di edilizia libera, né di un elemento di arredo, che la sua realizzazione non richiede il preventivo rilascio del permesso di costruire, non rimane che una possibilità: si tratta di una pertinenza! La tettoia, in realtà, racchiude proprio gli elementi della pertinenza essendo finalizzata ad una migliore e più comoda fruizione del terrazzo. Sbaglia sia il Comune che il TAR nel ritenere che la tettoia, aperta su un solo lato, realizzi nuova volumetria e, come tale, debba essere considerata come un intervento di "nuova costruzione" richiedente il previo rilascio del permesso di costruire. La documentazione prodotta dall'interessato mostra chiaramente che la tettoia è aperta su tre lati e, quindi, non costituisce volume e non è soggetta al previo rilascio del permesso di costruire.

La tettoia è diversa dalla veranda
Altro punto a finire sotto la lente è la differenza tra la tettoia (di nuova costruzione) e la veranda (preesistente). In proposito il giudice amministrativo sottolinea che è necessario tenere separata la tettoia (che non fa volume) dalla veranda (che fa volume ma è preesistente). La circostanza che la tettoia copra la veranda non vuol dire che la prima "faccia propria" la volumetria espressa dalla seconda in quanto i due manufatti sono e rimangono distinti e separati.

La tettoia è aperta su un lato o su tre?
Inaspettatamente, uno dei punti più controversi della vicenda riguarda gli elementi costitutivi della tettoia che pure dovrebbe costituire un fatto oggettivo su cui c'è poco da discutere. Perché il Comune e il TAR sono stati tratti in inganno? L'arcano viene risolto dal Consiglio di Stato.
Un lato della tettoia poggia, in parte, sulla parete del fabbricato e, per la restante, su un "armadio in PVC"; trattandosi di opera amovibile, non può essere qualificata come "elemento strutturale di chiusura di un manufatto" (ovvero come una parete). Altri due lati sono occupati da muretti preesistente, alti circa 30-40 cm, con sovrastante ringhiera trasparente su cui è montato un materiale opaco al fine di evitare introspezioni e garantire la privacy; anche in questo caso, non si può parlare di una parete laterale bensì di elementi che assolvono alla funzione di separazione con la proprietà aliena. Di conseguenza, la tettoia è chiusa su un solo lato, ovvero su quello che poggia sulla parete del fabbricato.

Le conclusioni del giudice d'appello
Il Consiglio di Stato giunge alla conclusione che, trattandosi di tettoia aperta su tre lati, la sua realizzazione richieda, quale titolo abilitativo, la DIA (denuncia di inizio di attività) e non il permesso di costruire.

Il proprietario scivola sulla buccia di banana
A questo punto, sarebbe logico dedurre le ragioni del proprietario. Il Consiglio di Stato, invece, conferma il verdetto del giudice di primo grado. Ma per quale ragione? Sta di fatto che, esaminando la DIA, si scopre che questa riguardava la realizzazione di un "gazebo smontabile in legno" di superficie inferiore ai 25 mq., mentre era stata realizzata una tettoia di circa 35 mq.
E i problemi non finiscono qui! Sta di fatto che il fabbricato ricade in area sottoposta a "vincoli paesaggistici" e "vincolo archeologico e vincolo geomorfologico. All'epoca di realizzazione delle opere, l'articolo 22, comma 5 del Dpr 380/2001 (poi abrogato dall'articolo 3, lett. f) n. 4 del Dlgs 222/2016, cosiddetta SCIA2) riteneva necessaria la preventiva acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica. In mancanza, la DIA deve essere considerata inefficace e l'opera deve essere considerata abusiva, sicchè l'ingiunzione di demolizione risulta legittima, in quanto adottata ai sensi dell'articolo 27, comma 2, del citato T.U. Edilizia.

L'accertamento di conformità
Anche l'accertamento di conformità ex art. 36 T.U. rappresenta un problema. In proposito, l'amministrazione respinge la relativa istanza mancando l'accertamento della compatibilità paesaggistica e considerato che essa non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione degli interventi che abbiano comportato un incremento di volume come nel caso in esame. Dal suo canto, il proprietario fa presente che l'esistenza di un vincolo paesaggistico non comporta, di per sé, il divieto di qualsiasi struttura costruttiva, ma affida all'autorità competente il compito di valutare la compatibilità dell'intervento con i beni tutelati. In subordine, offre di trasformare la sanzione demolitoria con quella pecuniaria.
Il Consiglio di Stato ritiene percorribile la via della sanatoria. Per comprendere la posizione del giudice d'appello occorre seguire il percorso logico del giudice. Se la tettoia è aperta su tre lati, vuol dire che il manufatto non fa volume; se il manufatto non produce un aumento di volumetria, vuol dire che la soprintendenza può emettere una autorizzazione postuma, il che rende possibile l'accertamento postumo di compatibilità paesaggistica. Di conseguenza, sbaglia il Comune nel ritenere l'istanza irricevibile e, per questo motivo, l'amministrazione viene condannata ad esaminare la domanda di accertamento di conformità

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©