Condominio

Un’apertura è «veduta» e non «luce» anche se la visione è laterale od obliqua

di Valeria Sibilio

Responsabilità progettuali e contestazioni condominiali, legate all'esecuzione di opere edilizie, sono il fulcro dell'ordinanza 8222 del 2018, esaminata dalla Cassazione , originata dall'esposto del titolare di una concessione edilizia comunale per l'edificazione di un fabbricato, previa demolizione di uno vecchio. L'attore lamentava la sospensione dei lavori per esposto di un confinante, relativo alla violazione di una servitù di veduta, posta a carico del fondo e non rappresentata nel progetto. L'apertura, munita di grata e abusivamente trasformata in porta sinistra, doveva considerarsi «luce» e non finestra ai sensi dell'art. 901 cod. civ, in quanto non consentiva né l'inspectio – la vista frontale - né la prospectio – la vista laterale e obliqua - necessarie per una visione mobile e completa, e pertanto, era sua facoltà chiuderla ai sensi dell'art. 904 del Codice civile
L'attore, cioè il costruttore, chiedeva al Tribunale la condanna della confinante a regolarizzare l’apertura secondo i criteri codicistici nonché ad eliminare la grata sporgente nella proprietà, oltre all'accertamento della responsabilità dei tecnici che avevano redatto il progetto, per non aver tenuto conto della normativa in materia di distanze legali tra costruzioni. I progettisti dichiaravano di aver redatto il progetto conformemente alle disposizioni impartire dal committente, asserendo di aver effettuato un controllo sulla natura di luce dell'apertura. Il Tribunale accoglieva la domanda dell'attore, condannando la confinante a regolarizzare l'apertura, ai sensi delle disposizioni codicistiche.
Nel ricorso in secondo grado, la Corte d’appelloaccoglieva l'appello della confinante e in riforma della sentenza impugnata rigettava la domanda proposta dall'attore precedentemente ricorrente e l'appello incidentale proposti dal progettista, confermando la sentenza nella parte in cui aveva rigettato le domande riconvenzionali della confinante. Secondo la Corte d’appello, le caratteristiche dell'apertura avrebbero consentito di qualificarla univocamente come veduta, ai sensi dell'art. 900 del Codice civile, restando perciò superfluo l'esame degli elementi di valutazione che, secondo l'appellante, si sarebbero potuti trarre dai documenti esaminati.
Nella cassazione della sentenza, chiesta dall'attore (il costruttore) si fa presente che la Corte distrettuale non avrebbe considerato che nel caso in esame sussisteva il dato della prospectio, ma non quello dell'inspectio, in quanto dalle foto allegate alla perizia espletata, si dimostrerebbe che la finestra consentirebbe una visione frontale laterale ed obliqua sul fondo del ricorrente e, dunque, l'esistenza del semplice prospetto, ma non anche l'affaccio sul fondo confinante. Motivo, per la Cassazione, infondato, in quanto l'art. 900 individua le vedute in relazione alla loro funzione di consentire la inspectio e la prospectio in alienum (cioè sul fondo altrui), a prescindere dalle caratteristiche costruttive dell'apertura. Affinché sussista una veduta a norma è necessario, avere la possibilità di esercitare una visione mobile e globale sul fondo del vicino, attraverso la visione non solo frontale, ma anche laterale ed obliqua. Tale visione mobile e globale sarebbe impedita, ad esempio, da una apertura il cui limite inferiore sia collocato ad una distanza tale dal piano di calpestio da non consentire un'agevole visione obliqua e laterale oppure ad esempio dalla circostanza che l'apertura stessa sia larga solo pochi centimetri. Nel caso in esame, si trattava di un'apertura ampia il cui limite inferiore era collocato a solo 47 cm. dal piano di calpestio.
Per il ricorrente, la Corte distrettuale, nel condannarlo al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio in favore della confinante, non avrebbe tenuto conto che il primo ed il terzo motivo dell'appello principale erano stati rigettati e pertanto si era verificata un'ipotesi di soccombenza reciproca. Motivo anche questo infondato, in quanto la Corte distrettuale, nel governare le spese processuali, ha tenuto conto della soccombenza prevalente, in considerazione delle pretese accolte e degli interessi sottesi.
Motivo infondato anche quello nel quale, per il ricorrente, la sentenza impugnata andrebbe cassata in quanto, nello statuire il rigetto dell'appello incidentale, non avrebbe fornito alcuna esposizione, seppure concisa delle ragioni di fatto e di diritto del predetto rigetto. Per gli ermellini, la Corte distrettuale non solo non ha tenuto conto dell'accoglimento del ricorso principale ma ha fatto espresso riferimento all'esito della lite intercorrente tra i predetti soggetti, alla particolarità della fattispecie e all'analisi dei comportamenti processuali tenuti dalle parti, fornendo un'adeguata motivazione in ordine alla statuizione del rigetto del predetto appello incidentale.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando il ricorrente a rimborsare a parte controricorrente le spese del giudizio, liquidate in euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre le spese generali pari al 15% dei compensi ed accessori come per legge.

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