Condominio

La rinuncia alla proprietà è legittima

di Angelo Busani

È ammissibile che, con un atto unilaterale, il proprietario rinunci al diritto di proprietà di un bene immobile (cosiddetta rinuncia abdicativa), con l’effetto che il diritto di proprietà viene acquisito dallo Stato, secondo l’articolo 827 del Codice civile. Questo «effetto giuridico acquisitivo, in capo all’Erario, dell’immobile … si produce automaticamente per effetto della manifestazione di volontà esternata dal privato nell’atto di rinuncia». È, però, inammissibile rinunciare al diritto di proprietà «al solo fine, egoistico, di trasferire in capo all’Erario … - e dunque in capo alla collettività intera – i costi necessari per le opere di consolidamento, di manutenzione o di demolizione dell’immobile»: in tal caso, l’atto di rinuncia è nullo.

Lo afferma l’avvocatura generale dello Stato in un parere di massima indirizzato all’avvocatura distrettuale dello Stato di Genova, protocollato con il n. Al 37243/17; questo parere era stato oggetto di menzione nella nota del 15 marzo 2018 ( si veda «Il Sole 24 Ore» del 26 marzo 2018 ), con la quale il ministero della Giustizia - Ufficio centrale archivi notarili aveva allarmato i notai circa la possibile censura in termini di nullità degli atti di rinuncia abdicativa al diritto di proprietà.

L’avvocatura, riconoscendo dunque che appartiene alle facoltà del proprietario di rinunciare a qualsiasi diritto, e quindi anche al diritto di proprietà, con l’effetto di rendere lo Stato proprietario del bene rinunciato, afferma la nullità dell’atto di rinuncia quando con esso il proprietario, ad esempio, persegua l’intento di liberarsi di:

terreni con evidenti problemi di dissesto idrogeologico (al fine di evitare i costi per «opere di consolidamento, demolizione e manutenzione»);

edifici inutilizzabili e diruti (al fine di evitare i «costi di demolizione»);

terreni inquinati (per gravare sullo Stato le spese di bonifica).

La censura in termini di nullità dell’atto di rinuncia è giustificata dal fatto che, in queste situazioni, la rinuncia sarebbe «non meritevole di tutela» (articolo 1322 Cc) e caratterizzata da «causa illecita» (articolo 1343 del Codice, in correlazione alle istanze solidaristiche immanenti nella funzione sociale della proprietà, come sancita dalla Costituzione) e da «motivo illecito» (articolo 1345); e ciò, sulla base della considerazione che le norme che il codice civile detta in materia di contratti sono applicabili anche agli atti unilaterali, come la rinuncia abdicativa.

L’atto di rinuncia sarebbe inoltre qualificabile in «frode alla legge» (articolo 1344 del Codice civile) perché volto «al conseguimento di un risultato in contrasto» con il dettato costituzionale; e da ritenersi stipulato in spregio al divieto di abuso del diritto, «laddove la rinuncia venga posta in essere al solo fine (utilitaristico ed egoistico) di trasferire in capo alla collettività gli oneri connessi alla titolarità del bene e la relativa responsabilità per gli eventuali futuri danni.

L’avvocatura, d’altro canto, ammette che «la rinuncia immobiliare potrebbe ritenersi ammissibile quando abbia ad oggetto un terreno semplicemente non produttivo e quindi manchi, in concreto, quell’intento elusivo ed egoistico che caratterizza le ipotesi sopra esaminate». È chiaro che se l’atto di rinuncia fosse tacciato di nullità, una qualificazione in tal senso potrebbe derivare solo da un accertamento giudiziale in esito a un giudizio nel quale l’onere della prova della illiceità del negozio di rinuncia – come l’avvocatura riconosce – «grava integralmente … sul Demanio attore».

L’avvocatura ammonisce infine che il rinunciante deve rispondere dei danni a cui questi abbia dato causa con il fatto proprio omissivo. Cioè con l’omissione, in passato, dei necessari ed ineludibili interventi di manutenzione e messa in sicurezza del proprio immobile. «Tale illecito – in quanto omissivo – presenta, infatti, natura permanente e cessa solo con il compimento dell’attività doverosa (che, nel caso in esame, è evidentemente mancata) e, dunque, non viene meno per effetto della mera dismissione del bene».

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