Condominio

Revoca, una condanna penale non basta

di Enrico Morello

La condanna penale dell’amministratore non è motivo di revoca dal mandato. La Corte d’Appello di Torino, Sezione II, con ordinanza del 5 dicembre 2017 afferma questo principio, mettendo in discussione uno dei capisaldi dei requisiti di «onorabilità» previsti dalla riforma del condominio (legge 220/2012)

La vicenda prende le mosse dal ricorso che una condòmina aveva presentato al Tribunale per ottenere la revoca dell’amministratrice del proprio stabile, basandosi sul fatto che l’amministratrice aveva ricevuto una condanna penale per appropriazione indebita dei fondi di un altro condominio. L’amministratrice, però, ribatteva di avere prontamente informato i condòmini della sentenza di condanna e di essere stata comunque incaricata dagli stessi con rituale nomina assembleare.

Il Tribunale dichiarava improcedibile il ricorso della condòmina in quanto la condanna penale era stata pronunciata solo in primo grado ed era quindi lungi dall’essere definitiva, non facendo venire meno i requisiti soggettivi necessari per essere amministratore. Inoltre l’assemblea del condominio non si era mai pronunciata sulla possibilità di revocare l’amministratrice e la questione non era mai stata messa all’ordine del giorno. E in più gli stessi condòmini avevano espresso fiducia nell’amministratrice confermandole l’incarico.

Nel ricorso in Corte d’appello la condòmina sosteneva che non sarebbe stata necessaria un’assemblea per la revoca dell’amministratrice stante il precetto dell’articolo 1129 comma undicesimo del Codice Civile, che inserisce la possibilità della confusione dei patrimoni condominiale e personale dell’amministratrice quale motivo per la revoca e quindi sarebbe stata irrilevante l’assemblea che aveva convalidato la nomina in quanto viziata all’origine.

Ma la Corte d’Appello di Torino, ha respinto il reclamo della condòmina: l’amministratrice , infatti, era stata condannata per fatti avvenuti in un altro condominio e non per confusione dei patrimoni, bensì per l’indebita richiesta di una somma a titolo di emolumenti, poi versata sul proprio conto corrente. Non vi sarebbe stato quindi un rischio concreto di confusione tra i due patrimoni. Secondo la Corte, quindi, nel presente caso non sussisteva «alcuna delle ulteriori ipotesi di gravi irregolarità».

Dal punto di vista dei requisiti, poi, la Corte ha confermato le ragioni del Tribunale nell’affermare che la condanna in primo grado non causa la perdita dei requisiti soggettivi da parte dell’amministratore e quindi non legittima, come nel presente caso, la revoca giudiziale dello stesso. Si parla, infatti, di revoca giudiziale quando le condotte dell’amministratore siano state tanto gravi da fare venire meno la fiducia in lui riposta dai condomini oppure, addirittura, lo rendano incompatibile con il ruolo di mandatario.

Nel caso in questione, però, valutava la Corte come la condanna in primo grado non costituisse di per sé grave irregolarità (tanto più che il fatto era riferito ad un altro stabile) e quindi che non fosse tale da rendere l’amministratrice incompatibile con il suo incarico. Era del tutto valida, quindi, la votazione dell’assemblea che aveva confermato la nomina dell’amministratrice.

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