Condominio

Vent’anni per contestare la sopraelevazione che lede l’architettura

Augusto Cirla

Ogni costruzione oltre l’ultimo piano dell’edificio realizza comunque un nuovo piano o una nuova “fabbrica”, a prescindere dal rapporto con la precedente altezza dell’edificio stesso. La fattispecie prevista dal quarto comma dell’articolo 1127 del Codice civile – secondo cui il proprietario dell’ultimo piano che esegue una sopraelevazione deve corrispondere un’indennità agli altri condòmini, salvo diversi accordi – è ravvisabile ogni volta in cui si verifica un incremento nella volumetria e nella superficie degli spazi interessati dalle opere, indipendentemente dal fatto che ci sia un innalzamento del fabbricato (Cassazione, Sezioni unite, 16794/07). La norma è inapplicabile nel solo caso in cui l’opera consista in una semplice modifica interna del sottotetto, nel rispetto delle strutture originarie del fabbricato e senza alcuna alterazione della copertura.

La costruzione di nuovi piani trova dunque disciplina, in primo luogo, nel disposto civilistico citato. Ma resta comunque ammessa solo se compatibile con gli strumenti urbanistici: occorre perciò avvalersi di un progettista qualificato, abilitato e competente.

Tutele e placet condominiale

In tale contesto può quindi trovare tutela il diritto del singolo condomino alla salvaguardia non solo del valore della sua proprietà (che innegabilmente diminuisce con la presenza di una nuova costruzione), ma anche della sua sicurezza (qualora non siano fornite garanzie sulle condizioni statiche dell’edificio).

L’articolo 1127 del Codice vieta la sopraelevazione se questa pregiudica la stabilità dell’edificio: situazione che si configura quando, in conseguenza della “nuova fabbrica”, le strutture dell’intero immobile non siano in grado di sopportare il peso della stessa sopraelevazione, né le sollecitazioni di origine sismica. Si tratta di un divieto assoluto, cui è possibile ovviare soltanto se – con il consenso di tutti i condòmini – il proprietario esegua le opere di rafforzamento e di consolidamento necessarie all’edificio. E il divieto vale anche qualora ad essere pregiudicato sia l’aspetto (e/o il decoro) architettonico dell’edificio, oppure se, in conseguenza della sopraelevazione, diminuisca notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti.

Se le opere compromettonole condizioni statiche dell’edificio, i condòmini possono opporsi in qualsiasi momento. Invece, se il danno avviene a scapito del decoro architettonico, l’opposizione va manifestata entro vent’anni, decorsi i quali il proprietario acquisisce il diritto a mantenere la costruzione e non è più obbligato a ripristinare le condizioni preesistenti.

Non si è ancora giunti a una soluzione condivisa, invece, circa la necessità (o meno) di un preventivo consenso alle opere da parte dei condòmini. In senso contrario, ad esempio, si sono espressi il Tar Liguria (sentenza 651/15) e il Consiglio di Stato (2118/17). Mentre secondo il Tar Cagliari (207/12) serve il placet dell’assemblea ogni qualvolta debbano essere eseguiti lavori che vadano a incidere sulle parti comuni.

Autorizzazioni e ricorsi

Per procedere agli interventi, sussiste sempre l’obbligo di comunicare l’avvio dei lavori all’amministratore (Tar Trento sentenza 45/17). E la sopraelevazione è comunque subordinata al rilascio della certificazione da parte del Comune: la relativa istanza va corredata dall’attestazione di idoneità della struttura esistente a sopportare il nuovo carico. È presso il Comune, dunque, che il condomino contro-interessato può reperire tutta la documentazione relativa all’istanza e necessaria a formulare eventuali osservazioni.

Contro il provvedimento favorevole del Comune è possibile il ricorso al Tar, nel caso in cui si ritenga errata la valutazione dell’ufficio tecnico che ha rilasciato la certificazione. La successiva sentenza è poi impugnabile secondo le norme del procedimento amministrativo.

L’azione amministrativa non impedisce però al singolo condomino di percorrere le vie ordinarie, e quindi di rivolgersi al tribunale del luogo in cui si trova l’immobile (articolo 1171 del Codice civile). Si può scegliere la via urgente quando colui che intende sopraelevare, incurante delle diffide inviate dal condominio, avvii comunque i lavori. In quest’ipotesi si può chiedere al giudice (articolo 669 del Codice di procedura civile) di sospendere in via cautelare i lavori ritenuti fonte di danno irreparabile.

È bene però che il tutto sia preceduto da una relazione tecnica redatta da un professionista di fiducia, che valuti il pregiudizio che la nuova costruzione potrebbe arrecare sia sotto il profilo della staticità dell’intero edificio (o parte di esso) e sia di quello estetico. Un’analisi che dev’essere molto attenta e precisa nell’esame delle conseguenze negative che la nuova opera potrebbe avere sull’edificio (o anche solo sul singolo condomino, qualora vada a togliergli aria e luce, e quindi a ledereil pacifico godimento del suo immobile). Terminata la fase sommaria, infatti, la richiesta al tribunale di sospendere l’esecuzione dell’opera (in via d’urgenza) prosegue con un giudizio ordinario e trova definitiva soluzione in una sentenza che verrà pronunciata dopo indagini più approfondite.

Può allora capitare che, concesso il provvedimento di sospensione delle opere, e valutati poi i risultati della svolta istruttoria, il giudice si convinca della legittimità degli interventi e li ritenga non pregiudizievoli né per il condominio, né per il singolo condomino. A quel punto potrebbe scattare la richiesta di risarcimento dei danni per il ritardo nei lavori: e a risponderne sarebbe chi ha chiesto e ottenuto la sospensione del cantiere.

Ogni costruzione oltre l’ultimo piano dell’edificio realizza comunque un nuovo piano o una nuova “fabbrica”, a prescindere dal rapporto con la precedente altezza dell’edificio stesso. La fattispecie prevista dal quarto comma dell’articolo 1127 del Codice civile – secondo cui il proprietario dell’ultimo piano che esegue una sopraelevazione deve corrispondere un’indennità agli altri condòmini, salvo diversi accordi – è ravvisabile ogni volta in cui si verifica un incremento nella volumetria e nella superficie degli spazi interessati dalle opere, indipendentemente dal fatto che ci sia un innalzamento del fabbricato (Cassazione, Sezioni unite, 16794/07). La norma è inapplicabile nel solo caso in cui l’opera consista in una semplice modifica interna del sottotetto, nel rispetto delle strutture originarie del fabbricato e senza alcuna alterazione della copertura.

La costruzione di nuovi piani trova dunque disciplina, in primo luogo, nel disposto civilistico citato. Ma resta comunque ammessa solo se compatibile con gli strumenti urbanistici: occorre perciò avvalersi di un progettista qualificato, abilitato e competente.

Tutele e placet condominiale

In tale contesto può quindi trovare tutela il diritto del singolo condomino alla salvaguardia non solo del valore della sua proprietà (che innegabilmente diminuisce con la presenza di una nuova costruzione), ma anche della sua sicurezza (qualora non siano fornite garanzie sulle condizioni statiche dell’edificio).

L’articolo 1127 del Codice vieta la sopraelevazione se questa pregiudica la stabilità dell’edificio: situazione che si configura quando, in conseguenza della “nuova fabbrica”, le strutture dell’intero immobile non siano in grado di sopportare il peso della stessa sopraelevazione, né le sollecitazioni di origine sismica. Si tratta di un divieto assoluto, cui è possibile ovviare soltanto se – con il consenso di tutti i condòmini – il proprietario esegua le opere di rafforzamento e di consolidamento necessarie all’edificio. E il divieto vale anche qualora ad essere pregiudicato sia l’aspetto (e/o il decoro) architettonico dell’edificio, oppure se, in conseguenza della sopraelevazione, diminuisca notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti.

Se le opere compromettonole condizioni statiche dell’edificio, i condòmini possono opporsi in qualsiasi momento. Invece, se il danno avviene a scapito del decoro architettonico, l’opposizione va manifestata entro vent’anni, decorsi i quali il proprietario acquisisce il diritto a mantenere la costruzione e non è più obbligato a ripristinare le condizioni preesistenti.

Non si è ancora giunti a una soluzione condivisa, invece, circa la necessità (o meno) di un preventivo consenso alle opere da parte dei condòmini. In senso contrario, ad esempio, si sono espressi il Tar Liguria (sentenza 651/15) e il Consiglio di Stato (2118/17). Mentre secondo il Tar Cagliari (207/12) serve il placet dell’assemblea ogni qualvolta debbano essere eseguiti lavori che vadano a incidere sulle parti comuni.

Autorizzazioni e ricorsi

Per procedere agli interventi, sussiste sempre l’obbligo di comunicare l’avvio dei lavori all’amministratore (Tar Trento sentenza 45/17). E la sopraelevazione è comunque subordinata al rilascio della certificazione da parte del Comune: la relativa istanza va corredata dall’attestazione di idoneità della struttura esistente a sopportare il nuovo carico. È presso il Comune, dunque, che il condomino contro-interessato può reperire tutta la documentazione relativa all’istanza e necessaria a formulare eventuali osservazioni.

Contro il provvedimento favorevole del Comune è possibile il ricorso al Tar, nel caso in cui si ritenga errata la valutazione dell’ufficio tecnico che ha rilasciato la certificazione. La successiva sentenza è poi impugnabile secondo le norme del procedimento amministrativo.

L’azione amministrativa non impedisce però al singolo condomino di percorrere le vie ordinarie, e quindi di rivolgersi al tribunale del luogo in cui si trova l’immobile (articolo 1171 del Codice civile). Si può scegliere la via urgente quando colui che intende sopraelevare, incurante delle diffide inviate dal condominio, avvii comunque i lavori. In quest’ipotesi si può chiedere al giudice (articolo 669 del Codice di procedura civile) di sospendere in via cautelare i lavori ritenuti fonte di danno irreparabile.

È bene però che il tutto sia preceduto da una relazione tecnica redatta da un professionista di fiducia, che valuti il pregiudizio che la nuova costruzione potrebbe arrecare sia sotto il profilo della staticità dell’intero edificio (o parte di esso) e sia di quello estetico. Un’analisi che dev’essere molto attenta e precisa nell’esame delle conseguenze negative che la nuova opera potrebbe avere sull’edificio (o anche solo sul singolo condomino, qualora vada a togliergli aria e luce, e quindi a ledereil pacifico godimento del suo immobile). Terminata la fase sommaria, infatti, la richiesta al tribunale di sospendere l’esecuzione dell’opera (in via d’urgenza) prosegue con un giudizio ordinario e trova definitiva soluzione in una sentenza che verrà pronunciata dopo indagini più approfondite.

Può allora capitare che, concesso il provvedimento di sospensione delle opere, e valutati poi i risultati della svolta istruttoria, il giudice si convinca della legittimità degli interventi e li ritenga non pregiudizievoli né per il condominio, né per il singolo condomino. A quel punto potrebbe scattare la richiesta di risarcimento dei danni per il ritardo nei lavori: e a risponderne sarebbe chi ha chiesto e ottenuto la sospensione del cantiere.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©