Condominio

La regolarità dei pagamenti del condominio e la responsabilità dell’amministratore

di Giulio Benedetti

L'amministratore del condominio gestisce il denaro altrui in quanto , ai sensi dell' articolo 1130 c.c. , riscuote i contributi ed eroga le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni. Inoltre l'art. 1130 bis c.c. gli impone di redigere il rendiconto condominiale che contiene le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve , che devono essere espressi in modo da consentire l'immediata verifica. Tale rendiconto si compone di une registro di contabilità, di un riepilogo finanziario e di una nota sintetica esplicativa della gestione con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti .
Per giustificare la correttezza del proprio operato l'amministratore deve conservare anche le ricevute, le fatture e i documenti contabili dei pagamenti effettuati per conto del condominio . In tale ambito viene effettuata dai condomini la valutazione dell'amministrazione circa l'effettivo pagamento dei debiti condominiali .
La Corte di Cassazione (sent n. 57521/2017) ha rigettato il ricorso contro la sentenza di condanna per peculato , per falso materiale e ideologico in atto pubblico e accesso abusivo al sistema informatico , di due dipendenti di una società comunale e concessionaria del servizio pubblico. Questi soggetti si facevano pagare da amministratori condominiali le erogazioni di acqua con falsi bollettini, rilasciavano false ricevute ed incassavano il denaro. I condòmini si costituivano parti civili nel giudizio penale ed uno dei quali otteneva il pagamento, nei confronti dei condannati, delle spese del giudizio di legittimità.
La Corte riteneva che la condotta dei due condannati integrasse il più grave reato di peculato (art. 314 c.p.) e non di truffa (art. 640 c.p.) per le seguenti ragioni . La differenza tra le due norme è che nel peculato il possesso e la disponibilità del denaro per fini istituzionali è un antecedente della condotta incriminata , mentre nella truffa l'impossessamento della cosa è l'effetto della condotta illecita. Pertanto il peculato si avrà quando i raggiri per ottenere il denaro sono finalizzati a mascherare l'illecita appropriazione del denaro di cui l'agente aveva già il possesso in ragione del suo ufficio; ricorrerà la truffa quando la condotta fraudolenta sia realizzata al fine di ottenere il denaro. L'elemento importante è il modo con cui il funzionario infedele acquista il possesso del denaro : il momento consumativo della truffa coincide con il conseguimento del possesso a cagione dell'inganno; il peculato presuppone il legittimo possesso , per ragione d'ufficio, del denaro che l'agente successivamente incassa illegittimamente come proprio.
La Corte afferma che nel peculato il possesso , in ragione del proprio ufficio, del denaro non rientra solo in quello funzionalmente incassato, ma anche di quello di cui il soggetto di appropria a seguito dell'inserimento di fatto nel maneggio o nella disponibilità del denaro altrui in occasione del servizio. Tale condotta ricorre anche nell'attività dell'ufficiale giudiziario che , nel corso del pignoramento , senza procedere alla redazione del prescritto verbale, aveva versato su conti correnti bancari a sé intestati le somme di denaro portate da assegni bancari dei debitori e soltanto in epoca successiva le aveva trasformate in assegni circolari a favore dei creditori pignoranti in modo da occultare l'illecita appropriazione. In merito deve citarsi il principio dettato dalla Corte di Cassazione (sent. n. 2329/2016) : «Anzi, è assai più logico ritenere che il provento di un'attività illecita non venga versato in banca , ma sia occultato ad ogni possibile successivo accertamento» .

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