Condominio

Criterio di cassa o di competenza nel rendiconto annuale condominiale?

di Davide Longhi

L'amministratore di condominio, in base all'art. 1130 c.c., ha il dovere di «rendere il conto della sua gestione» affinché il condomino possa esercitare (per tutte ex plurimus Cass. 864/96) il suo diritto di controllo sull'operato dell'amministratore stesso (ratio legis della norma). La giustificazione di questo adempimento si trova nel fatto che l'amministratore di condominio non gestisce somme proprie ma di altri soggetti (i condomini) e a questi ultimi deve rendere il conto del suo operato (per tutte Cass. 3936/75 - Cass. 3309/77 - Cass. 5150/82 - Cass. 3231/84 orientamento consolidato). Pertanto il rendiconto ha una doppia valenza, perché: a) è la descrizione dell'attività compiuta dal mandatario per conto dei singoli proprietari ed è b) un documento contabile che descrive gli importi delle operazioni compiute e che deve rappresentare la situazione reale del condominio quindi vige il divieto di inserire nel rendiconto sia dati falsi che dati “immaginari” o situazioni non realmente effettuate.
Con il rendiconto viene soddisfatta l'esigenza di trasparenza della gestione condominiale che deriva dalla natura del rapporto di “mandato” che si instaura tra l'amministratore e il condominio e spetta, comunque, all'assemblea dei condomini approvare il conto consuntivo, confrontarlo con il preventivo ovvero valutare l'opportunità delle spese affrontate d'iniziativa dell'amministratore. In merito a quest'ultimo aspetto si ricorda che, secondo l'orientamento della giurisprudenza di merito e di legittimità, il sindacato dell'autorità giudiziaria sulle delibere delle assemblee condominiali non può estendersi alla valutazione del merito ed al controllo del potere discrezionale che l'assemblea esercita quale organo sovrano della volontà dei condomini, ma deve limitarsi al riscontro della legittimità. Ne consegue, pertanto, che l'operato dell'assemblea condominiale in relazione alla questione inerente alla approvazione in sede di rendiconto di spese che si assumano superflue, non è suscettibile di controllo da parte del giudice attraverso l'impugnativa di cui all'art. 1137 c.c..
Il bilancio condominiale è obbligatorio, e non solo negli edifici di elevate dimensioni o nei complessi condominiali, ma anche nei cosiddetti condominii minimi ovvero con solo due condòmini.
Il rendiconto costituisce, pertanto, un atto dovuto e come tale è inderogabile tant'è che uno dei motivi di revoca dell'amministratore per giusta causa è il non aver reso il conto della propria gestione, così come previsto dall'art. 1129 del Codice Civile.
Esistono due tipologie di rendiconto/bilancio a seconda del periodo in cui viene redatto, ovvero: a) un bilancio PREVENTIVO redatto con l'unico scopo di preventivare le spese per l'anno successivo e b) un bilancio CONSUNTIVO (il c.d. Rendiconto) che viene redatto nei primi mesi dell'anno successivi alla chiusura dell'esercizio annuale (abitualmente 31/12 di ogni anno). In caso di lite o controversia sia l'uno che l'altro sono documenti ufficiali.
Le fonti normative in materia sono: il codice civile e di procedura civile (artt. 236 e 264 c.p.c.), regolamento di condominio, norma fiscali, normativa europea UNI 10801 oggi ancora volontaria e quindi di applicazione facoltativa.
Il nuovo articolo 1130 bis c.c. della legge di riforma della normativa condominiale (L. 220/2012) ha chiarito che il rendiconto condominiale deve contenere: “…le voci di entrata e di uscita ed ogni dato inerente alla situazione patrimoniale, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve…si compone di un registro di contabilità (il c.d. libro giornale previsto per le imprese), di un riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti…”.
A questo punto la prima domanda che il lettore si pone è la seguente:
1)il rendiconto condominiale è equiparabile al bilancio di una società?
Per dare risposta alla domanda, è necessario osservare e partire dal dato normativo introdotto dalla legge di riforma dove si parla appunto di “rendiconto” del condominio e non di “bilancio” proprio per tenere distinti e quindi differenziare tra loro i due documenti, diversamente la legge di riforma avrebbe potuto parlare con estrema facilità di bilancio condominiale. Infatti, con l'art. 1130 bis c.c. il legislatore ha voluto introdurre una norma speciale ad hoc in ambito condominiale, escludendo richiami espressi alle norme che invece regolano il bilancio di esercizio aziendale. Va però precisato che il rendiconto condominiale non deve essere del tutto estraneo alle regole di contabilità generale, quindi è necessario che la tecnica contabile imposta dalle nuove disposizioni normative risulti coerente con la natura giuridica dell'ente condominiale.
La giurisprudenza di merito e di legittimità è sempre stata formalmente contraria all'applicazione nel condominio delle norme in materia contabile prevista per le società (art. 2423 bis c.c.). Infatti secondo i Giudici, il rendiconto condominiale non deve essere redatto con forme rigorose, similari ed analoghe a quelle prescritte per i bilanci delle società, bensì è sufficiente “…che risulti adatto ed adeguato a rappresentare ai condomini le voci di entrata e di uscita e la relativa ripartizione per quote a carico dei singoli condomini, fermo restando la distinzione delle spese ordinarie rispetto a quelle aventi caratteristica straordinaria…né si richiede che queste voci siano trascritte nel verbale assembleare, ovvero siano oggetto di analitico dibattito ed esame alla stregua della documentazione giustificativa, in quanto rientra nei poteri dell'organo deliberativo la facoltà di procedere sinteticamente all'approvazione stessa, prestando fede ai dati forniti dall'amministratore alla stregua della documentazione giustificativa (Cass. 454/17 - Cass. 1405/07 - Cass. 8877/05 - Cass. 9099/00 Cass. 3747/94 - Cass. 896/84 – App. Milano 134/88 Trib. Genova sentenza 3 marzo 1994 Tribunale di Foggia sentenza 18 febbraio 1997).
Alla luce della conferma della circostanza che il rendiconto del condominio non sia equiparabile al bilancio della società, ci si pone la seconda domanda:
2)al rendiconto, come regola di registrazione contabile, si applica il principio per CASSA e quello per COMPETENZA ?
In ambito societario il principio della competenza non è mai stato messo in discussione, per contro in ambito condominiale nella versione definita della legge di riforma non è stato imposto uno specifico principio (cassa o competenza), lasciando, di fatto, all'amministratore la scelta dell'applicazione di un principio rispetto all'altro. Di tutto ciò non c'è un'evidente ragione visto che i lavori preparatori alla legge di riforma del condominio (nella versione dell'art. 1130 bis c.c. approvata dal Senato in data 26/01/2013) prevedevano espressamente “…il rendiconto condominiale è redatto con criteri di competenza…”, invece nella versione definitiva, la legge si limita ad indicare che il rendiconto condominiale debba contenere “…le voci di entrata e di uscita..”. Prima di passare all'analisi di quale dei due predetti criteri sia preferibile applicare, si evidenzia la differenza tra i due principi contabili, e precisamente:
criterio di cassa: è un rendiconto che si basa sulle entrate e sulle uscite effettivamente sostenute nel periodo a cui si riferisce;
criterio di competenza: (applicato in ambito societario) è un rendiconto che viene redatto sulla base dei “costi” e “ricavi” relativi al periodo a cui si riferisce, indipendentemente dal fatto che siano stati effettivamente pagati o incassati. Per la redazione di questo rendiconto si rilevano i ratei e i riscontri sia attivi che passivi.
Con il metodo della competenza è più facile e preciso controllare l'operato dell'amministratore e si ha una situazione condominiale sia più articolata e complessa sia più precisa e analitica.
La giurisprudenza orientata (apparentemente) al principio di cassa (Cass. 10153/11), elude il vero problema limitandosi a richiedere che il rendiconto sia intellegibile anche senza il rispetto rigoroso delle regole formali vigenti per le imprese. È qui importante soffermarsi sul principio dell'intellegibilità, affermato chiaramente dalla Corte di Cassazione (con tre pronunciati non molto recenti Cass. 896/14 – Cass. 3231/84 – Cass- 4751/98) che ha fatto palese riferimento all'entrate ed uscite, non ai costi e ricavi, e quindi a un implicito richiamo ai movimenti finanziari (principio di cassa) e non ai componenti economici (principio di competenza).
La Suprema Corte con la sentenza n. 10153/11 (presidente Triola) si è espressa per il principio di cassa. Lo stesso Triola (Il condominio – Giuffrè Milano 2007) dà per scontato che il conto consuntivo della gestione condominiale “non deve essere strutturato in base al criterio della competenza bensì a quello di cassa” per cui l'inserimento della spesa va annotato alla data dell'effettivo pagamento (sul punto conforme anche Tribunale di Milano sezione ottava 20/6/1991, n. 5036 App. Milano 20 maggio 1992 – app. Milano 1° ottobre 1993).
In un'altra sentenza n. 10815/00 (presidente Corona) si è precisato “…la Corte non deve risolvere la questione di diritto se l'amministratore debba rispondere della gestione sulla base del criterio di competenza o di cassa, ma è pur vero che l'amministratore dura in carico un anno, per cui la gestione viene rapportata alla competenza annuale…”.
Infine è utile che il lettore si soffermi sulla sentenza della Suprema Corte n. 8877/05 dove si afferma che “…l'amministratore di condominio, nella tenuta della contabilità e nella redazione del bilancio, non è obbligato al rispetto rigoroso delle regole formali vigenti per le imprese, essendo sufficiente che egli si attenga, nella tenuta della contabilità, a principi di ordine e di correttezza e che, nel redigere il bilancio, appronti un documento chiaro e intelligibile, con corretta appostazione delle voci dell'attivo e del passivo, che siano corrispondenti e congrue rispetto alla documentazione relativa alle entrate e alle uscite...”.
Come si può osservare vengono utilizzati i termini “bilancio” e “tenuta della contabilità”, facendo valere, e quindi applicando in modo analogico, gli stessi principi contabili dettati in materia contabile per le società anche al condominio.
A questo punto appare chiaro ed evidente la necessità di applicare i principi contabili previsti in materia societaria al condominio, ma il passo successivo è quello di individuarli ed esaminarli nel contesto delle nuove norme sul condominio, che solo in parte li hanno recepiti, lasciando dei “vuoti normativi” che vanno colmati seguendo sempre le indicazioni tecnico/contabili degli esperi nella materia e l'applicazione analogica delle norme societarie (Cass. 8460/98).
All'inizio della presente esposizione si è richiamata la ratio legis dell'art. 1130 bis c.c. che consiste nel principio della trasparenza della gestione contabile con diritto del condominio di poter esercitare il controllo sull'operato dell'amministratore stesso, articolo che testualmente recita: “…il rendiconto condominiale contiene le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente la situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve...”.
A questo punto occorre soffermarsi sul termine “contiene” che indica necessariamente il c.d. contenuto minimo (voci di entrate e di uscite), lasciando però poi all'amministratore la discrezione/libertà di indicare ogni altro dato. Così disponendo il legislatore ha di fatto recepito i seguenti principi, comuni anche al diritto societario:
a)il “principio della rappresentazione veritiera e corretta” (applicazione evidentemente analogica della disposizione di cui alla seconda parte del comma 2 dell'art. 2423 c.c.) che consiste nel riportare con puntuale “esattezza” la situazione patrimoniale e finanziaria del condominio. Per la prima volta in ambito condominiale viene prescritta una rappresentazione sullo stato patrimoniale finale oltre che sul flusso contabile delle entrate e uscite;
b)il principio da seguire nella redazione del rendiconto condominiale è quello della “chiarezza” (art. 2423 comma 2 c.c.) che consiste nell'esporre con semplicità le voci che compongono il rendiconto (art.1130 bis c.c. “...devono essere espressi in modo da consentire l'immediata verifica…”)
A questo punto il confine tra il rendiconto e il bilancio è reso molto sottile, in quanto anche in ambito condominiale (al pari di quello societario) viene chiesta una rappresentazione del documento riassuntivo dell'esercizio (rendiconto/bilancio) che da un lato deve osservare le comuni regole di tecnica contabile e dall'altro deve esporre con semplicità ed intellegibilità le voci che lo compongono, sia singolarmente che nell'insieme, onde consentirne la comprensione anche al lettore normalmente non esperto in contabilità (come può essere il condomino).
Pertanto risulta evidente che il principio di competenza invocato da tempo dagli esperti della materia risulterebbe quello più adeguato e più corretto tecnicamente anche in ambito condominiale (trattasi del principio mancato previsto nei lavori preparatori della legge di riforma e non più ripreso nella formulazione definitiva come sopra meglio indicato). A questo principio si ispira anche l'art. 1135 punto 3 c.c. che recita “…l'assemblea provvede all'impiego del residuo attivo della gestione…” senza però essere condizionato dall'incidenza delle quote non versate dai condomini stessi.
Infine viene da porsi una terza domanda: è possibile rendere intellegibile il rendiconto condominiale redatto secondo il criterio della competenza?
L'applicazione di questo principio come sopra citato assimilerebbe il rendiconto condominiale al bilancio societario ma renderebbe più difficile la comprensione ai soggetti non esperti contabili (come la maggioranza dei condomini) rischiando di compromettere il principio dell'intellegibilità espressamente manifestato dalla Corte di Cassazione.
Applicando il principio di competenza con esattezza, si informerebbe sugli effettivi costi e contributi della gestione annuale senza mostrare l'effettivo flusso finanziario che potrebbe essere individuato con la nota esplicativa introdotta dalla legge di riforma; inoltre con tale principio, inserendo tra le proprie voci non solo le spese realmente sostenute ma anche quelle imputate al periodo a cui fa riferimento l'esercizio finanziario, si faciliterebbe l'attività dell'amministratore in sede di recupero del cosiddetto conguaglio.
Prima di concludere vorrei estendere al lettore la seguente riflessione: qualora il condominio fosse considerato tout court un azienda è indubbio l'applicazione del principio di competenza alla documentazione contabile. A questo punto risulta interessante analizzare la natura giuridica e patrimoniale del condominio rispet¬to al concetto di “azienda” che ai sensi dell'art. 2555 c.c.: “…l'azienda è il complesso di beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa…”, mentre ai sensi dell'art. 2082 c.c. l'imprenditore è “…colui che esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine di produrre e scambiare beni o servizi…”. L'azienda in quanto tale può essere definita come “…attività economica organizzata ed esercitata dall'imprenditore, che con¬siste nel produrre e/o scambiare beni e servizi…”. Allo stato attuale il condominio esercita sicuramente attività economiche consistenti nella gestione passiva di spese e di contributi versati dai condomini per fare fronte alle stesse (ed eventualmente attività che possono generare proventi quali la cessione di spazi condominiali/locazioni di beni etc). Quindi l'attività esercitata dal condominio non è assimilabile a quella prevista dal legislatore come attività tipica d'impresa, del tutto fondata sulla produzione e sullo scambio di beni e servizi; se però si analizza la differenza tra “azienda di produzione” e “azienda di erogazione” non c'è dubbio che la prima rientra nella defi¬nizione codicistica di azienda (art. 2555 c.c.), mentre la seconda esercita un'attività gestionale che consiste nell' organizza¬zione dei mezzi e servizi necessari al soddisfacimento di bisogni della stessa e quini risulta assimilabile al condominio considerato quale ente di gestione (per tutte Cass. 869/1984 - Cass. 12304/93 e normativa fiscale L. 499/97 legge finanziaria 2008).
In conclusione: per la relativa scelta del criterio da utilizzare (cassa o competenza) per la redazione del rendiconto condominiale occorre considerare gli effetti che si intendono dare a tale documento:
a)liquidità (per il criterio di cassa) in quanto il documento considererà soltanto le quote già incassate dai condomini e pagamenti delle spese già effettuati,
b)imputazione (per il criterio di competenza) delle spese agli effettivi fruitori dei servizi resi, indipendentemente dai crediti (verso condomini per quote periodiche dovute e non pagate) e debiti (verso fornitori di beni e servizi comunque evidenziati in situazione patrimoniale).

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