Condominio

Sul vincolo di destinazione di una parte comune può agire in giudizio il condominio

di Valeria Sibilio

Accertare se il Condominio fosse legittimato o meno ad agire per accertarsi se sussistesse un vincolo di destinazione, o se questo diritto spettasse ai compratori delle unità immobiliari, è stata la problematica trattata dalla Cassazione nell'ordinanza 4255 del 2018 (relatore Antonio Scarpa), nella quale è stato esaminato un caso in cui un Condominio aveva citato, in giudizio di primo grado, due condòmini ritenendo che questi ultimi detenessero illegittimamente una parte del piano scantinato dell'edificio, sottoposto a vincolo di destinazione a parcheggio, nonché il cortile retrostante il fabbricato, e domandandone la condanna a cessare da ogni condotta idonea a pregiudicare l'uso del cortile e dello scantinato, nonché a risarcire i danni.
Il Tribunale, accogliendo le domande, condannava i convenuti a risarcire i danni stimati in euro 235.105,85. In secondo grado, la Corte riformava parzialmente la sentenza, ritendendo l'amministratore del Condominio privo di legittimazione ad agire per l'accertamento del vincolo di destinazione a parcheggio, in quanto questo era un diritto spettante ai singoli compratori delle varie unità immobiliari e non alla collettività condominiale. I giudici, pur rigettando le pretese del condominio, tenevano ferma la statuizione sulla arbitraria occupazione del cortile retrostante il fabbricato, di proprietà condominiale, riducendo il correlato risarcimento, per via della prescrizione maturata fino a cinque anni prima, nell'importo di euro 34.664,61.
I condòmini ricorrevano in Cassazione, mentre il condòminio proponeva ricorso incidentale articolato in unica censura.
I ricorrenti ritenevano che la Corte d'appello avesse riconosciuto al condominio un credito risarcitorio pur avendo negato la legittimazione attiva dell'amministratore. Inoltre, denunciavano la nullità della sentenza, resa in primo grado dal Tribunale, non avendo motivato sulle critiche mosse all'elaborato della perizia, e l'omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, consistente nella sussistenza del vincolo di destinazione a parcheggio sui beni per cui è causa. Il condominio articolava l'unico motivo del ricorso incidentale reclamando la legittimazione attiva dell'amministratore anche in ordine alla domanda tesa a far dichiarare l'illegittima occupazione della parte di piano cantinato sottoposta a vincolo di destinazione a parcheggio, in quanto bene di natura condominiale.
Per la Cassazione, i primi tre motivi del ricorso principale sono risultati carenti dei requisiti di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata. In particolare, in uno dei motivi, venivano rivolte censure contro la sentenza di primo grado, anziché contro quella d'appello, che costituisce l'unico oggetto del ricorso per Cassazione. La sentenza impugnata ha distinto, in termini di legittimazione all'azione dell'amministratore del condominio e di conseguente titolarità del diritto risarcitorio, tra lo scantinato gravato di vincolo di destinazione a parcheggio, e perciò ritenuto dalla Corte appartenente ai singoli condòmini, e il cortile retrostante il fabbricato, del quale è stata affermata la condominialità.
Fondato è stato ritenuto, invece, il ricorso incidentale, in quanto la Corte d'appello, negando la legittimazione ad agire dell'amministratore, non si è uniformata alla interpretazione della Cassazione, secondo cui la speciale normativa urbanistica, dettata dall'art. 41 sexies della legge n. 1150 del 1942, introdotto dall'art. 18 della legge n. 765 del 1967, si limita a prescrivere, per i fabbricati di nuova costruzione, la destinazione obbligatoria di appositi spazi a parcheggi in misura proporzionale alla cubatura totale dell'edificio determinando, mediante tale vincolo di carattere pubblicistico, un diritto reale d'uso sugli spazi predetti a favore di tutti i condomini dell'edificio, senza imporre all'originario costruttore alcun obbligo di cessione in proprietà degli spazi in questione. Pertanto, ove manchi un'espressa riserva di proprietà o sia stato omesso qualsiasi riferimento, al riguardo, nei singoli atti di trasferimento delle unità immobiliari, le aree in questione, globalmente considerate, devono essere ritenute parti comuni dell'edificio condominiale, con conseguente legittimazione dell'amministratore di condominio ad esperire, riguardo ad esse, le azioni contro i singoli condomini o contro terzi dirette ad ottenere il ripristino dei luoghi ed il risarcimento dei danni, giacché rientranti nel novero degli “atti conservativi”, al cui compimento l'amministratore è autonomamente.
Per queste motivazioni gli ermellini hanno rigettato il ricorso, cassando la sentenza e rinviandola da altra sezione della Corte d'Appello, che deciderà la causa uniformandosi al richiamato principio di diritto e regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

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