Condominio

Sottotetto abusivo, danni da risarcire al vicino solo se può provarli

di Selene Pascasi

L'abusività del sottotetto, slegata da una verifica concreta della menomata amenità del luogo o della pregiudicata irradiazione solare, non giustifica il risarcimento del danno in favore del proprietario dell'appartamento sottostante. Perché scatti la condanna risarcitoria, difatti, va sempre provato il nesso tra il reato edilizio e il nocumento arrecato ad uno dei condòmini.
A puntualizzarlo, è la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 7278 depositata il 15 gennaio 2018 . I fatti. Apre il caso, il ricorso promosso da un uomo, chiamato a rispondere di falso ideologico in atto pubblico. Egli, da quanto emerso nel corso del processo, per godere dei benefici garantiti dalla legge regionale campana 28 novembre 2000, n. 15 – tesa a promuovere il recupero abitativo di sottotetti esistenti alla data della sua entrata in vigore – aveva presentato richiesta di concessione edilizia, attestando falsamente la presenza, indicandone persino le altezze di gronda e di colmo, di un terrazzo coperto nell'angolo sud-ovest dell'immobile che era in procinto di acquistare. Operazione, questa, evidentemente tesa a far risultare la preesistenza del locale rispetto alla vigenza della norma. L'anno seguente, poi, senza neanche attendere la definizione della pratica, proponeva istanza di permesso di costruire in sanatoria. Permesso che veniva sì rilasciato, ma sulla base di false attestazioni, vista l'inesistenza del locale alla data indicata nella legge e la falsità dei grafici prodotti a corredo della domanda. Di qui, la condanna inferta dal Tribunale e ribadita in appello, per falso ideologico e falso per induzione, stante l'idoneità dei carteggi allegati a trarre in inganno i componenti della commissione comunale.
Riconosciuto, però, anche il danno potenziale cagionato al proprietario dell'appartamento sito al piano terra del fabbricato.
Pronto il ricorso dell'imputato, che respinge l'addebito e lamenta il difetto di motivazione della pronuncia in punto di statuizioni civili, confermate nonostante l'assenza di qualsivoglia prova del danno patito dalla parte civile. La decisione. La Cassazione concorda a metà: cristallizza la responsabilità dell'uomo per i reati contestati (nel frattempo prescrittisi) ma ribalta la sorte delle statuizioni civili, annullando la parte della sentenza ad esse relativa. I giudici di merito, spiega, pur muovendosi su percorsi argomentativi diversi, avevano errato nel ravvisare l'esistenza di un danno a carico del titolare dell'alloggio sito al pianterreno dell'edificio. Intanto, rileva, non potevano abbracciarsi le conclusioni rassegnate dal Tribunale circa la sussistenza, pressoché automatica, di una lesione derivante «dall'appesantimento della struttura conseguente all'abusiva realizzazione del sottotetto» e dal «turbamento dell'euritmia della costruzione».
Allo stesso modo, andavano bocciate le argomentazioni rese in appello, laddove la Corte – nel sostenere che l'abuso edilizio avesse «integrato un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose per il proprietario dell'appartamento sito nello stesso edificio» – aveva valorizzato «un danno solo potenziale». Per il collegio del gravame, in sintesi, un aumento di volumetria dell'appartamento sovrastante, a prescindere da problemi statici e di sicurezza, era comunque fatto idoneo a comportare una diminuzione di amenità del luogo per aumento della rumorosità, e un danno figurativo per il condominio vista la minore irradiazione solare. Ma è proprio su tale aspetto che la Cassazione dissente: il danno solo potenziale, non supportato da una verifica concreta del nesso con il reato contestato, è insufficiente a fondare una pretesa risarcitoria.

Il precedente
Nel sostenerlo, gli ermellini richiamano una pronuncia di legittimità (sentenza 36350/2015) che appare orientarsi in senso opposto. In tale occasione, in effetti, la Corte – occupatasi di tutt'altra tematica, ossia di frode sportiva – tenne a marcare come la condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla costituita parte civile, non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l'accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell'esistenza (desumibile anche per presunzioni, in base al criterio della semplice probabilità) di un nesso di causalità con il pregiudizio lamentato. Ciò, sia inteso, fermo il vaglio riservato al giudice civile sulla liquidazione e l'entità del danno, inclusa la possibilità di negarne l'esistenza.

Le conclusioni della Cassazione
Nella vicenda, tuttavia, anche a voler ritenere astrattamente sufficiente a fondare la pretesa risarcitoria, un danno solamente potenziale, è la motivazione stessa della sentenza impugnata a difettare della forza logica necessaria a supportare una tale soluzione. Il danno riconosciuto dai giudici di appello, d'altronde, risulta del tutto «slegato da una verifica concreta, invero neppure richiamata», non rinvenendosi neanche un cenno alle ragioni per cui l'abuso edilizio sarebbe stato ritenuto «idoneo a cagionare un danno al bene di proprietà della parte civile, anche solo in via potenziale».
Quanto, infine, alla lesa piacevolezza e serenità del luogo o alla compromessa irradiazione solare, mancherebbe, per avvalorare una tale affermazione, un minimo aggancio istruttorio o il conforto di un altro «significativo dato di fatto». È la riscontrata inadeguatezza dell'impianto probatorio costruito a sostegno della pronuncia contestata, dunque, ad imporne alla Cassazione – limitatamente alle statuizioni civili – l'annullamento con rinvio al giudice civile competente per valore.

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