Condominio

Ascensore e disabilità, la guida agli scenari possibili

di Davide Longhi

La Cassazione Civile, Sez. II, con l’ordinanza n. 21339 del 14/09/2017 ha statuito l'illegittimità (nullità) della delibera condominiale che ha deciso la progettazione/installazione di un impianto di ascensore perché pregiudizievole all'uso esclusivo del pianerottolo da parte di un condomino su cui lo stesso ascensore doveva essere collocato ( si veda il Quotidiano del Sole 24 Ore - Condominio del 19 settembre 2017 ).
Il condominio aveva deliberato l'installazione di un ascensore da collocarsi su un pianerottolo in uso esclusivo al condomino che, per accedere alla sua unità immobiliare, dispone di due accessi di cui uno mediante il transito sul pianerottolo oggetto dell'installazione dell'impianto. In primo grado il Tribunale di Torino (sentenza n. 373/2013) ha dato ragione al condominio confermando la validità della decisione assembleare. Il condomino, avverso la detta sentenza di 1° grado, propone appello che, modificando la prima pronuncia, si conclude con la sentenza n. 1513/2015 del 05/08/2015 che dà ragione al condomino medesimo e dichiara nulla la decisione assembleare. Il tutto sfocia alla Suprema Corte per tre motivi di ricorso presentati dal condominio (il condomino ha comunque proposto contro ricorso). Nella parte motiva della sentenza si evidenza che: “…ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all'art. 380 bis c.p.c., in relazione all'art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., su proposta del relatore (dr. Antonio Scarpa), il Presidente ha fissato l'adunanza della Camera di Consiglio. Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell'art. 380-bis, comma 2, c.p.c. …”, pertanto, a seguito dell'espletamento del giudizio di 3° grado, viene data ragione al condomino e la decisione della Corte ritiene infondato il 1° motivo, inammissibile/infondato il 2° motivo e inammissibile il 3° motivo. Si precisa che la decisione ha riguardato l'art. 1120 comma 2 c.c. nella formulazione originaria ratione temporis applicabile, antecedente alle modifiche apportate dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220.

La legge per favorire il superamento delle barriere architettoniche
La legge 13/89 reca una disciplina speciale finalizzata ad incoraggiare la realizzazione di qualsiasi opera rilevante sulle parti comuni per il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche, e costituisce espressione di un “principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell'interesse generale, l'accessibilità agli edifici” (Cass. Civ. sez. II 28 marzo 2017 n. 7938 - Cass. Civ. sez. II 26.2.2016 n. 3858 - Cass. Civ. sez. II n. 3858/2012). Il concetto di disabilità va inoltre interpretato in senso ampio, anche alla luce della nuova dimensione che ha assunto il diritto alla salute, non più intesa come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico e psichico, sì da doversi ritenere che la normativa concernente il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche di cui alla L. n. 13 del 1989, art. 2 sia applicabile anche alle persone che, in conseguenza dell'età avanzata, pur non essendo portatori di handicap, abbiano comunque disagi fisici e difficoltà motorie.
La giurisprudenza della Suprema Corte ha sottolineato come l'impossibilità di osservare tutte le prescrizioni della legge n. 13/89 per particolari caratteristiche dell'edificio, non comporti la totale inapplicabilità delle disposizioni di favore finalizzate anche solo ad agevolare l'accesso agli immobili dei soggetti versanti in condizioni di minorazione fisica. Ciò che risulta determinante al riguardo è che l'intervento produca comunque un risultato “conforme alle finalità della legge, attenuando sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell'abitazione” (Cass. Civ. n. 4734/2015 - Cass. Civ. n. 21568/2012).
L'art. 27) della L. 220/12 (di riforma del condominio) ha così statuito: all'articolo 2, comma 1, della legge 9 gennaio 1989, n. 13, le parole: “con le maggioranze previste dall'articolo 1136, secondo e terzo comma, del codice civile” sono sostituite dalle seguenti: “…con le maggioranze previste dal secondo comma dell'articolo 1120 del codice civile…”.
Va segnalato che sul punto la riforma è stata criticata (cfr dottrina dr. Alberto Celeste) in quanto ha introdotto novità peggiorative in tema di quorum, atteso che la norma speciale (già articolo 2 comma 2 della legge 13/1989) prevedeva:
a)in prima convocazione: un numero di voti che rappresentasse la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio,
b)in seconda convocazione: un numero di voti che rappresentasse 1/3 degli intervenuti e almeno 1/3 del valore dell'edificio.
Di fatto, è risultata drasticamente ridotta la tutela per coloro che hanno bisogno di eliminare le barriere architettoniche e in particolare di installare l'ascensore in un edificio che ne è privo.

Ascensore installato dopo la costituzione del condominio è innovazione
Prima della riforma del condominio, l'installazione successiva dell'ascensore rappresentava uno dei più rilevanti casi di innovazione. In applicazione dell'art. 1120 comma 1 c.c., la delibera assembleare che intendeva approvarne la realizzazione necessitava del voto favorevole della maggioranza prevista dal comma quinto dell'art. 1136 c.c., ossia maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell'edificio, fermo restando il divieto per le innovazioni pregiudizievoli alla stabilità o sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.
Dopo la riforma l'installazione dell'ascensore rientra tra le innovazioni idonee ad eliminare le barriere architettoniche (art. 27, comma 1, l.118/71 ed all'art. 1, comma 1, D.P.R. 386/78) che, ai sensi della legge n. 13/89, possono essere approvate dall'assemblea condominiale con le maggioranze prescritte dall'art. 1136 comma 2 c.c. cioè la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio (si veda il richiamo espresso indicato nell'art. 1120 comma 2 c.c.).
Anche oggi (come per il passato) rimane fermo il divieto per tutte quelle innovazioni che rechino pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che alterino il decoro architettonico e rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino, il tutto ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1120 c.c.. Ciò significa che anche le innovazioni dirette ad eliminare barriere architettoniche (ascensore), non possono, in ogni caso, derogare ai divieti stabiliti dall'art. 1120 ultima comma c.c. e precisamente “… sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che
ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino…”.

L’ “inservibilità all'uso o al godimento anche di un solo condomino”
La sentenza che qui si commenta (Cass. Civ. sez. II 28 marzo 2017 n. 7938), in conformità alla giurisprudenza della stessa corte, ha statuito che sono vietate le innovazioni che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso e al godimento anche di un solo condomino, comportandone una sensibile menomazione dell'utilità, secondo l'originaria costituzione della comunione. Tale concetto di inservibilità della parte comune, non può consistere nel semplice “disagio” subito rispetto alla sua normale utilizzazione - coessenziale al concetto di innovazione - ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della cosa comune secondo la sua naturale fruibilità “res communis” (bene comune) (Cass. Civ. 16846/15 - Cass. Civ. Sez. n. 15308/11 – Cass. Civ. n. 20639/05). Così, ad esempio, si è ritenuto illegittima una delibera condominiale che, nel restringere il vialetto di accesso ai garages, rendeva disagevole il transito delle autovetture, così come nel caso sopra commentato, si è ritenuto illegittima una delibera condominiale che ha comportato una riduzione circa l'utilizzazione del pianerottolo occupato dall'impianto di ascensore deliberato dall'assemblea.
Quindi si può affermare che la limitazione, per alcuni condomini, dell'originaria possibilità di utilizzazione del bene comune (esempio: scale, pianerottolo, andito etc) occupato dall'impianto di ascensore collocato a cura e spese di altri condomini, non rende l'innovazione lesiva del divieto posto dall'art. 1120 ultimo comma c.c. (prima della riforma idem art. 1120 comma 2 c.c.) , ove risulti che dalla stessa non derivi, sotto il profilo del minor godimento della cosa comune, alcun pregiudizio, non essendo necessariamente previsto che dalla innovazione debba derivare per il condomino dissenziente un vantaggio compensativo (Cass. Civ. n. 28920/11 - Cass. Civ. n. 9033/2001 - Cass. Civ. n. 4152/94 – Cass. Civ. n. 6109/94). Il concetto di inservibilità, espresso nel citato articolo, va interpretato come sensibile menomazione dell'utilità che il condomino trarrebbe dall'originaria costituzione della comunione, con la conseguenza che devono, pertanto, ritenersi consentite quelle innovazioni che, recando utilità a tutti i condomini tranne uno, comportino per quest'ultimo un pregiudizio limitato e che non sia tale da superare i limiti della tollerabilità (Cass. Civ. n. 10445/98).

È necessaria la presenza di un disabile?
La normativa di favore prevista dalla legge n. 13/89 garantisce i principi costituzionali di tutela della salute (art. 32 Cost.) e della funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.) (Cass. Civ. n. 21568/2012) e quindi è irrilevante, ai fini dell'applicabilità della stessa legge, la presenza di disabili nel condominio, dato che la legge mira a consentire a tutti i “disabili e/o disagiati” di accedere negli edifici, e non solo presso la propria abitazione. Inoltre, anche l'eventuale pregiudizio del decoro architettonico va valutato nel senso di accertare se l'ascensore determini o meno un effettivo deprezzamento dell'intero fabbricato, “…essendo lecito il mutamento estetico che non cagioni un pregiudizio economicamente valutabile o che, pur arrecandolo, si accompagni a un'utilità la quale compensi l'alterazione architettonica…”.
La Corte di Cassazione invoca il principio di solidarietà condominiale e sottolinea come le disposizioni normative in materia di costruzione e ristrutturazione di edifici siano orientate, sia sul piano nazionale che internazionale, alla eliminazione delle barriere architettoniche, indipendentemente dalla effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte di persone disabili. Sul punto con la sentenza n. 167/1999 della Corte Costituzionale si è affermato che la legislazione relativa ai portatori di handicap ha comportato “…un radicale mutamento di prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone affette da invalidità, considerati ora quali problemi non solo individuali, ma tali da dover essere assunti dall'intera collettività...” Proprio a causa di tale mutamento sono state introdotte le norme sopra citate “…per la costruzione degli edifici privati e per la ristrutturazione di quelli preesistenti, intese alla eliminazione delle barriere architettoniche, indipendentemente dalla effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte delle persone disabili...”.

Quando il condominio decide di non installare l'ascensore
Ai sensi della L. n. 13 del 1989, art. 2, laddove il condominio decida o ometta di installare un ascensore nel termine di tre mesi dalla richiesta scritta, l'impianto può essere installato, a proprie spese, dal portatore di handicap o da colui che, se anche non portatore di handicap ha una difficoltà/disagio di accessibilità al condomino, il tutto sempre con l'osservanza dei limiti previsti dall'art. 1120 c.c. sopracitato (Cass. Civ. n. 6129/2017 – Trib. Firenze sentenza n. 174/2016). L'installazione e/o la modifica di un ascensore deve considerarsi indispensabile ai fini dell'accessibilità dell'edificio e della reale abitabilità dell'appartamento, e rientra nei poteri dei singoli condomini, ai sensi dell'art. 1102 c.c. Occorre rispettare solo i limiti dettati dal 1102 c.c (Cass. Civ. n. 7938/2017 - Cass. Civ. n. 10852/2014), pertanto la realizzazione dell'ascensore, anche da parte di un singolo condomino, è ammissibile a prescindere dall'effettiva utilizzazione, purché persegua risultati conformi alle finalità della legge “…attenuando sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell'abitazione.” (Cass. Civ. n. 4734/2015).

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