Condominio

Rendiconto condominiale, quando il giurista e il tecnico «fanno a pugni»

di Francesco Schena

La sentenza Capitolina del 2 ottobre scorso è stata da molti ribattezzata come il “vademecum” del rendiconto condominiale. Com'è noto, spesso il giurista e il tecnico fanno a pugni e questo caso non fa eccezione alla regola.
Nel caso di specie, pur riferendosi il giudizio alla contestazione del rendiconto del 2014 e, quindi, in piena vigenza della legge di riforma, il Giudice di Roma non solo richiama diverse sentenze della Cassazione che hanno a che fare con il quadro normativo ante riforma ma, tra le altre cose, formula una particolare considerazione: “Ed il bilancio, o meglio, il conto consuntivo della gestione condominiale non deve essere strutturato in base al principio della competenza, bensì a quello di cassa;”
Premesso il personale e totale disaccordo sulla validità tecnica di un tale principio, provo a fornire il mio parere critico su tutti i passaggi della sentenza restando ben chiaro come si tratti dell'esercizio tecnico-giuridico astratto sulle considerazioni formulate dal Tribunale romano senza voler entrare nel merito degli atti di causa.
Secondo la sentenza in argomento , “il rendiconto deve essere intellegibile onde consentire ai condomini (i quali generalmente non hanno conoscenze approfondite sul come un bilancio debba essere formato e 'letto') di poter controllare le voci di entrata e di spesa anche con riferimento alla specificità delle partite atteso che tale ultimo requisito, come si desume dagli artt 263 e 264 c.p.c. che prevedono disposizioni applicabili anche al rendiconto sostanziale, costituisce il presupposto fondamentale perché possano essere contestate, appunto, le singole partite.” .
Questa prima affermazione è condivisibile solo in parte. Infatti, è proprio la legge di riforma ad introdurre prescrizioni di forma e contenuto del rendiconto condominiale attraverso l'articolo 1130-bis e, pertanto, l'intellegibilità, oggi, non può più essere piegata alle carenze di competenza dei condomini. Insomma, come debba essere redatto il fascicolo di rendicontazione lo stabilisce già la norma e il fatto che ciò possa risultare di difficile comprensione agli occhi di un condòmino privo di adeguate competenze non può essere motivo di censura a carico dell'operato dell'amministratore.
Il Tribunale continua affermando che “il bilancio, o meglio, il conto consuntivo della gestione condominiale non deve essere strutturato in base al principio della competenza, bensì a quello di cassa; l'inserimento della spesa va pertanto annotato in base alla data dell'effettivo pagamento, così come l'inserimento dell'entrata va annotato in base alla data dell'effettiva corresponsione.”.
Se da una parte è proprio la norma a prevedere l'annotazione della spesa nel registro di contabilità secondo il criterio di cassa, il fascicolo di rendicontazione, invece, nel suo complesso non può che essere redatto secondo il criterio di competenza posto che in difetto non si avrebbe più un rendiconto veritiero e, soprattutto, si perderebbe traccia della relatività della spesa per singolo esercizio finanziario. Sì, dunque, al criterio di cassa per il registro di contabilità ed il conto flussi, sì al criterio di competenza del rendiconto in generale.
E ancora, “La mancata applicazione del criterio di cassa (Cass. 10153/11), contrariamente a quanto affermato dal convenuto, è idonea ad inficiare sotto il profilo della chiarezza, dalla quale non si può prescindere, il bilancio. In particolare, non rendendo intelligibili e riscontrabili le voci di entrata e di spesa e le quote spettanti a ciascun condomino, non si evidenzia la reale situazione contabile. Pertanto laddove l'assemblea abbia approvato un consuntivo (che deve essere, come detto, un bilancio di 'cassa') che non sia improntato a tali criteri e violi, quindi, i diritti dei condòmini lo stesso ben potrà essere dichiarato illegittimo (Cass. 10153/11). Il criterio di cassa, in base al quale vengono indicate le spese e le entrate effettive per il periodo di competenza, consente infatti di conoscere esattamente la reale consistenza del fondo comune. Laddove il rendiconto sia redatto, invece, tenendo conto sia del criterio di cassa e che di competenza (cioè indicando indistintamente, unitamente alle spese ed alle entrate effettive, anche quelle preventivate senza distinguerle fra loro) i condomini possono facilmente essere tratti in inganno se non sono chiaramente e separatamente indicate le poste o non trovino riscontro documentale.”
La prima osservazione da farsi è quella che una contabilità redatta secondo il criterio di competenza non esclude alcuna elaborazione contabile di cassa, anzi, la include necessariamente. Infatti, al Giudice di Roma sfugge come il conto economico di esercizio non può che essere redatto secondo il criterio di competenza nell'annoverare i costi di gestione e la rispettiva relatività di esercizio ma il conto entrate/uscite, invece, che annovera quali di questi costi siano stati poi materialmente pagati, non può che essere redatto secondo il criterio di cassa e senza che vi sia confusione alcuna posto che si tratta di elaborati contabili separati. Nessun inganno, dunque, può profilarsi a danno dei condomini.
Sempre il Tribunale sostiene che “..con il bilancio, devono sempre essere indicati (con possibilità di facile riscontro documentale) la situazione patrimoniale del condominio e gli eventuali residui attivi e passivi, l'esistenza e l'ammontare di fondi di riserva obbligatori (ad esempio l'accantonamento per il trattamento di fine rapporto del portiere) o deliberati dall'assemblea per particolari motivi (ad esempio fondo di cassa straordinario). Ovviamente la situazione patrimoniale deve rispettare il prospetto approvato nella gestione precedente onde verificare la possibilità di un'eventuale 'scomparsa' di somme di danaro.”.
Al riguardo, nulla da obiettare se non la contraddizione con quanto affermato in precedenza. Infatti, la situazione patrimoniale è tale solo se redatta proprio seguendo il criterio di competenza e non quello di cassa atteso che diversamente si tratterebbe di una duplicazione del conto entrate/uscite.
Il Giudice di Roma continua affermando che “Il criterio di cassa consente altresì di fare un raffronto tra le spese sostenute ed i movimenti del conto corrente bancario intestato al condominio; a ciascuna voce di spesa deve corrispondere un prelievo diretto a mezzo assegno o bonifico sul/dal conto corrente condominiale.”.
Tutto vero e corretto ma, ancora una volta, sfugge un concetto: il criterio di cassa va rispettato nel conto entrate/uscite (che ricalcherà proprio la rendicontazione bancaria) ma la redazione di altri documenti previsti dall'art. 1130-bis - come la situazione patrimoniale - non può che avvenire secondo il criterio di competenza.
Nella sentenza si legge: “Inoltre, per consentire ai condomini di apprezzare e valutare il bilancio, l'amministratore dovrà indicare ed inviare ad ogni condomino un elenco delle spese sostenute (con data e causale dell'importo) già diviso per categorie secondo il criterio di ripartizione (come spese generali, acqua riscaldamento, ecc), l'indicazione delle quote incassate dai condomini e quelle ancora da incassare, l'indicazione delle spese ancora da sostenere, le eventuali rimanenze attive (fondi, combustibile ed altro) ed il piano di riparto che indichi per ogni condomino e per ogni categoria di spesa il criterio di riparto e la quota a suo carico.”.
Tutto condivisibile tranne la confusione di fondo sul piano tecnico. Il dettaglio dell'elenco spese sostenute con i relativi dati è già riportato nel registro di contabilità e lo stato di ripartizione non è un documento previsto dall'art. 1130-bis del codice ma dall'art. 63 disp. att. c.c. ed è funzionale all'ottenimento del decreto ingiuntivo munito di provvisoria esecutività contro i morosi. Ad esercizio finanziario preventivo concluso, poi, non vi sono più quote da incassare se non i conguagli sulla scorta del consuntivo e perché questi siano reali è evidente come debbano risultare contabilizzati e ripartiti anche i costi maturati per competenza ma non ancora pagati posto che, diversamente, non si avrebbero i conguagli necessari a pagare i debiti del condominio verso i fornitori, né i morosi da indicare ai creditori ed avremmo, così, una contabilità non solo di pari cassa sia in entrata che in uscita ma di pari importi anche sul piano patrimoniale.
Il Tribunale di Roma affronta il tema del rendiconto con un considerevole distacco dal piano tecnico e le sue affermazioni risultano a tratti contraddittorie. A parere di chi scrive, il rendiconto condominiale oggi è costituito da un vero e proprio fascicolo i cui documenti sono tenuti e curati secondo criteri diversi, Infatti, dovendosi riconoscere all'ente condominiale un sistema contabile di tipo economico e patrimoniale di gestione, è di tutta evidenza come il registro di contabilità sia da compilarsi per criterio di cassa entro trenta giorni dalla manifestazione numeraria ma lo stato patrimoniale, perché possa raccontare in maniera fedele alla realtà le variazioni finanziarie negative e positive di incidenza sui debiti e sui crediti non può che erre redatto secondo il criterio di competenza.
Un'ultima nota di riflessione sul tema della chiarezza: l'auspicio e che questa non sia scambiata con la semplicità spesso voluta dai condomini perché la chiarezza – quella contabile – passa proprio attraverso un corretto riepilogo finanziario, un corretto conto entrate/uscite e una situazione patrimoniale redatta secondo le più opportune norme tecniche di riferimento.
D'altronde, se il legislatore ha voluto innalzare le competenze e la professionalità degli amministratori di condominio sia attraverso la legge n. 220/2012 prima che con il D.M. n. 140/2014 dopo, appare anacronistico continuare a pretendere che il rendiconto sia redatto in modo da essere compreso ai condòmini “i quali generalmente non hanno conoscenze approfondite sul come un bilancio debba essere formato e 'letto'”.
Francesco Schena

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