Condominio

Guida alle obbligazioni condominiali - 5. Il regolamento

di Rosario Dolce

Il regolamento è la principale fonte del diritto condominiale: una sorta di statuto convenzionale che disciplina la vita e l'attività del condominio.
La giurisprudenza di legittimità definisce il regolamento condominiale come atto volto ad incidere su di un rapporto plurisoggettivo concettualmente unico articolato in un complesso di regole giuridicamente vincolanti per i soggetti che ne sono destinatari (cfr, tra le tante, Cassazione civile, 30 marzo 1990, n 2590).
L'adozione del regolamento è obbligatorio quando il numero dei condòmini sia superiore a dieci, a norma dell'articolo 1138 codice civile.
Quest'ultima norma pone siffatto obbligo a carico dei singoli condomini e non già in capo al venditore delle singole unità abitative, che sia anche costruttore dello stabile (cfr, Cassazione civile 23 febbraio 2012, nr 2742).
Quanto al concetto di condòmino, si rammenta che esso viene inteso da parte della dottrina in modo obiettivo: cioè riconducendo il relativo numero non a quello dei singoli proprietari delle unità immobiliare, ma, per l'appunto, a quello afferente le unità immobiliari di cui consta il fabbricato condominiale (cfr, Di Pirro M., L'amministratore di condominio, Celt editore, 2014, pag. 173).
Il regolamento può avere natura contrattuale o assembleare; la differenza, al di là della fonte, si coglie in proiezione al grado di vincolatività di alcune dei precetti in esso contenuti.
Nel primo caso la clausola regolamentare è in grado di incidere sui diritti individuali dei condomini in ordine alle modalità di godimento della rispettiva proprietà privata (si pensi, ad esempio, alle clausole che pongono in essere il divieto di adibire gli appartamenti a ristoranti e/o ad altre attività commerciali o professionali).
Nel secondo caso, ciò non risulta letteralmente possibile, in quanto le norme possono disciplinare solamente tutto ciò che riguardo l'uso e l'amministrazione delle parti comuni.
La differente forza cogente delle disposizioni in esso contenute si riflette nelle modalità di approvazione del regolamento, a seconda della rispettiva natura.
Quello di origine contrattuale, per dirsi in quanto tale, deve essere approvato per iscritto da parte di tutti i condòmini.
La “convenzione”, laddove in grado di incidere sui rispettivi diritti di proprietà, deve rivestire la forma scritta ad substantiam ex articolo 1350 codice civile; e, pertanto, ai fini dell'opponibilità nei confronti dei terzi o successori aventi causa ne è prescritta la trascrizione nei pubblici registri immobiliari, ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 1138, comma II, e 2643 codice civile.
Per contro, l'omessa trascrizione del regolamento nei Registri Immobiliari determina solamente l'inopponibilità ai successivi acquirenti delle singole unità immobiliari comprese nell'edificio condominiale delle eventuali clausole limitative di diritti esclusivi di proprietà spettanti a ciascun condomino senza influire anch'essa sulla validità ed efficacia del regolamento (tra le tante, Cassazione civile, 714/1998).
In genere è nella prima alienazione da parte del costruttore che viene riportato il “titolo contrattuale” (cioè il regolamento) e ivi specificato il rispettivo valore dispositivo (Cassazione civile 16022/2002).
Va detto che anche le modifiche da apportare alle clausole regolamentari aventi natura contrattuale possono essere effettuate solo dietro il consenso prestato per iscritto da parte di tutti i partecipanti, a pena di inefficacia (ex mutlis, Cassazione Civile, Sezioni Unite, 943/1999).
Quindi è da escludersi la possibilità di una modificazione del regolamento contrattale per il tramite di comportamenti concludenti da parte dei condomini (Cassazione civile, 18665/2004).
Il regolamento può e deve avere anche natura “gestionale”.
Quest'ultime norme sono quelle che concernono le modalità d'uso delle cose comuni e, in genere, disciplinano l'organizzazione e il funzionamento dei servizi condominiali.
In quest'ultimo caso, le disposizioni – definite propriamente “regolamentari” - possono essere modificate con delibera assembleare adottata a maggioranza, ai sensi dell'articolo 1136 codice civile, pur se formalmente inserire in un regolamento di tipo contrattuale (Cassazione civile, 864/1976).
Ciò premesso, il regolamento è in grado di prevedere delle sanzioni in caso di violazione delle proprie norme, ai sensi dell'articolo 70 delle disposizioni di attuazione del codice civile.
All'uopo, è compito dell'amministratore garantire l'osservanza delle norme da parte dei condòmini. Altra questione è quella del potere di comminazione della sanzione, in caso di violazione delle norme del regolamento. Sussistono forti dubbi che questo si rifletta nelle attribuzioni dell'amministratore, da parte della migliore dottrina (l'irrogazione della sanzione pecuniaria è di competenza dell'assemblea, non rientrando nella mera esecuzione del regolamento di condominio, ai sensi dell'art. 1130, n. 1 c.c., deve provvedere l'amministratore - Roberto Triola, Il nuovo condominio, G. Giappichelli Editore, 2013 -).
Ad ogni buon conto, l'irrogazione di una “multa condominiale” può essere ben contestata da parte del condòmino che ne sia stato destinatario e qualora essa risulti manifestamente eccessiva può essere ridotta equamente dal giudice, in base a criteri ispirati alle norme ordinari in tema di inadempimento, seppure temperati dall'esigenza di dare rimarchevole peso all'esatto adempimento di obblighi di natura condominiale (cfr, Giudice conciliatore di Verona, 19 aprile 1989, n 170).
Ad ogni buon conto, per l'applicazione di una data sanzione non sempre è necessaria la sua previsione in seno al regolamento condominiale.
Ad esempio, nel caso in cui il regolamento abbia stabilito un obbligo di non facere e un condòmino abbia disobbedito alla previsione normativa sopraelevando sul proprio terrazzo, l‘inadempimento dell'obbligazione comporta – ex articolo 2933 codice civile – il diritto degli altri partecipanti alla comunione di chiedere e ottenere in giudizio che il bene realizzato (in spregio al regolamento) venga distrutto, a spese del compartecipe obbligato al fine, indipendentemente dal fatto che tale bene non arreca alcun pregiudizio alle parti comuni dell'edificio, a norma dell'articolo 1122 codice civile (ex mutlis, Corte Appello Torino 03 luglio 1991).
Il regolamento di condominio è inoltre in grado di prevedere al proprio interno una clausola compromissoria, si dà demandare ad un collegio arbitrale le controversie sorte tra i condòmini e/o tra questi e l'amministratore di condominio.
Il secondo comma dell'articolo 1137 codice vivile – a termini del quale ogni condominio dissenziente può fare ricorso all'autorità giudiziaria avverso le deliberazioni assunte dall'assemblea dei condòmini – configurando il diritto soggettivo del condominio quale facultas agendi a tutela di interessi direttamente protetti dall'ordinamento giuridico – non esclude la compromettibilità ad arbitri delle relative controversie, con la conseguenza che deve considerarsi legittima la norma del regolamento condominiale che preveda una clausola compromissoria con il correlativo obbligo di chiedere la tutela all'organo desinato competente (Cassazione civile 10 gennaio 1986, nr 73).
Ne discende che deve dichiararsi improponibile qualsiasi domanda formulata avanti la magistratura ordinaria se nel regolamento contrattuale i condomini si sono impegnati a sottoporre le loro liti al giudicato di un collegio di tre arbitri amichevoli compositori (tra le tante, Tribunale Milano, 10 giugno 1991).

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