Condominio

Riscuotere i contributi: cosa devono fare assemblea e amministratore

di Giuseppe Màrando

Il diffuso fenomeno della morosità condominiale ha raggiunto livelli preoccupanti, come emerge dalle indagini relative al 2016 (v. Il Sole 24 Ore del 21 febbraio 2017). Anche se taluni debitori possono risultare “distratti” o negligenti, ve ne sono certamente altri con gravi difficoltà di onorare il loro obbligo nei confronti del condominio. Per altro verso, l'amministratore è tenuto (al di là di qualche sporadica e temporanea “comprensione”, sempre a suo rischio) al recupero senza indugio dei crediti in sofferenza, perchè l'uso ed il godimento delle parti comuni e dei servizi condominiali hanno un costo di gestione (per sicurezza, conservazione, efficienza) che non può essere eluso, pena la paralisi del condominio e le rilevanti responsabilità connesse, in primo luogo quella contrattuale dell'amministratore (art. 1218 cod. civ.) con il diritto dei condòmini al risarcimento del danno in caso di prescrizione dei contributi (Trib. Salerno n. 164/2016). Piuttosto impraticabile si presenta la costituzione di un fondo cassa per sopperire alle morosità di taluni condòmini, ripartendo i loro debiti fra i condòmini “virtuosi”, poiché richiederebbe l'unanimità di tutti i partecipanti al condominio a pena di nullità della delibera (Cass. 20394/2008; Trib. Milano 18/9/2017; Trib. Salerno 6/6/2009).
Prima del 2012 erano in vigore soltanto le diposizioni (rimaste inalterate) dell' art. 1130 n. 3 cod. civ. (“L'amministratore deve… riscuotere i contributi”) e dell'art. 63 disp. att. cod. civ. (“…l'amministratore.. può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo…”). Il legislatore della riforma ha reso più stringente l'obbligo imponendo all'amministratore, se non espressamente dispensato dall'assemblea, di procedere alla riscossione forzosa (cioè senza discrezionalità) dei vari crediti entro 6 mesi dalla chiusura dell'esercizio anche con il decreto ingiuntivo (art. 1129 comma 9 cod. civ.) e di curare con diligenza l'azione e la conseguente esecuzione coattiva delle somme dovute al condominio sotto pena di revoca giudiziale per gravi irregolarità (art. 1129/12° n. 6 cod. civ.). La primitiva e semplice riscossione viene trasformata in “riscossione forzosa” ed “esecuzione coattiva”.
Il ricorso al decreto ingiuntivo: obbligo o facoltà?
Si è dato molto rilievo, specie nei titoli dei commenti, ad una sentenza della cassazione (n. 24920/2017) per generalizzare un principio, legato invece temporalmente al caso concreto, sul carattere facoltativo e non obbligatorio del decreto ingiuntivo e sulla efficacia della sola diffida ai morosi per l'esonero dell'amministratore da responsabilità (nella specie si era verificato un incendio e l'amministratore non aveva pagato il premio dell'assicurazione per mancanza di fondi). In realtà la decisione è frutto della scarna normativa precedente, sopra ricordata, e si basa sul verbo “può” dell'art. 66 disp. att. Ma il legislatore del 2012, imponendo le nuove condizioni (a pena di revoca), toglie ogni dubbio sulla insufficienza della semplice “diffida”; e la disposizione del citato art. 63 disp. att. (“può ottenere”) va letta come il diritto di conseguire la provvisoria esecutorietà che il giudice non può negare in presenza della specifica condizione identificata dalla norma nell'approvazione dello stato di riparto.
Si lascia pur sempre (v. la locuzione “anche” nell'art. 1129/9° cit.) ogni libertà sui mezzi specifici da utilizzare; ma se l'amministratore deve procedere alla “riscossione forzosa” ed alla “esecuzione coattiva” è indispensabile l'uso dello strumento giudiziale, che va ben oltre la semplice diffida. La scelta, poi, tra il giudizio di cognizione e quello monitorio con la formula esecutiva, ricade sotto la responsabilità dell'amministratore stesso, tenuto a costituire in tempi rapidi la provvista necessaria per fronteggiare le scadenze e le altre spese, esigenza questa che viene soddisfatta con il titolo esecutivo più velocemente conseguibile, quale appunto il decreto ingiuntivo munito dell'apposita clausola. Se l'amministratore non si avvalesse di questo strumento ed il ritardo nell'acquisizione dei contributi cagionasse dei danni, la sua responsabilità sarebbe ineludibile. Pertanto, il dilemma “facoltativo – obbligatorio” costituisce oggi una proposizione del tutto inappropriata nel suddetto contesto.
I documenti di spesa e lo stato di riparto.
La prova scritta richiesta per il decreto ingiuntivo (art. 633 c.p.c.), ovvero il titolo di credito del condominio, è costituita nella nostra materia da una “delibera di approvazione della spesa”, che può essere: il “consuntivo” (per i “saldi passivi”), il “preventivo”, il semplice verbale d'assemblea con le spese occorrenti per la conservazione o l'uso delle parti comuni (Cass. n. 10621/2017; Cass. n. 28644/2011), i prospetti mensili delle spese condominiali non contestati (Cass. n. 3296/1996) e più in generale qualunque altra delibera di spesa (ad es. per innovazione, lavori straordinari, ecc.). Il “consuntivo” una volta approvato assorbe i precedenti atti (fra cui il “preventivo” passato) e costituisce unico titolo per la riscossione delle somme ancora dovute (Cass. n. 28517/2013; Cass. n. 24299/2008). Queste ultime sono i c.d. “conguagli a debito” (o “saldi passivi”) che poi, per prassi costante, vengono poi trasferiti (insieme con i “saldi attivi”) nel “preventivo” e riscossi in base al medesimo con le somme richieste per la nuova annualità. La voce dei “saldi” comprende quelli degli esercizi precedenti (morosità pregresse) che, secondo i giudici, entrano a far parte integrante di quel rendiconto e rappresentano una effettiva posta di debito verso il condominio, contestabile solo con la regolare impugnazione e non più in sede di decreto ingiuntivo (App. Genova 11/5/2009 n. 513).
Qualora con l'importo della spesa venga approvato anche il correlativo piano di ripartizione (predisposto abitualmente dall'amministratore), si ottiene dal giudice l'immediata esecutività del decreto ingiuntivo (art. 63/1° d.a., cit.) e la condanna del condòmino a pagare le somme nell'eventuale giudizio di opposizione (fra le tante: Cass. n. 20069/2017; Cass. n. 3354/2016; Cass. ord. n. 7265/2014). La mancata approvazione del riparto rende egualmente ammissibile il ricorso al procedimento monitorio, ma senza la clausola di “provvisoria esecutorietà” dell'ingiunzione (tranne che si dimostri un grave pregiudizio nel ritardo ai sensi dell'art. 642/2° c.p.c.). L'inconveniente non è di poco conto perché comporta di dover attendere, per il recupero dei contributi, l'esito dell'eventuale giudizio di opposizione. L'amministratore dovrà provare la conformità del riparto alle vigenti tabelle millesimali regolamentari, compito peraltro non difficile trattandosi di semplice operazione matematica (così incidentalmente Cass. S.U. n. 4421/2007). Quando non esistono dette tabelle spetta al giudice sia di stabilire la conformità della pretesa del condominio ai criteri di ripartizione stabiliti dalla legge con riguardo ai valori delle singole quote di proprietà, sia di determinare egli stesso in via incidentale, anche in assenza di specifica richiesta al riguardo, i valori di piano o di porzioni di piano espressi in millesimi (Cass. n. 1548/2016).
Mancanza di prove documentali sulla spesa.
Ben diverso e più difficile il problema quando non esiste nemmeno un atto di approvazione delle spese ordinarie da effettuare (il “preventivo” della gestione annuale) o di quelle straordinarie per lavori urgenti ordinati dall'amministratore ai sensi dell'art. 1135, 2° comma, cod. civ. In questa ultima evenienza si apre una questione giudiziale fra l'assemblea e l'amministratore che dovrà dimostrare l'urgenza dei lavori e la congruità degli esborsi, presentando al giudice anche un riparto della spesa secondo i criteri di legge, come sopra detto. Nella prima situazione, invece, non ratificare il “preventivo” significa bloccare l'ordinaria manutenzione dell'edificio, il pagamento delle varie forniture, le retribuzioni degli eventuali dipendenti (ad es. portiere), il pagamento dei tributi; inoltre la mancanza di cassa impedirebbe all'amministratore di intervenire per lavori straordinari urgenti. Ulteriori conseguenze della colpevole inerzia dell'assemblea sono: a) la responsabilità, civile e penale, dei singoli condòmini per danni ai terzi quando non sono state eseguite le necessarie opere di risanamento dell'edificio per mancanza di fondi, con relativo esonero dell'amministratore, ch'è soltanto tenuto a predisporre le cautele più immediate e idonee per l'incolumità (Cass. pen. n. 46385/2015; Cass. pen. n. 16790/2011; Cass. pen. n. 21401/2009; Cass. pen. n. 6596/2008); b) l'azione dei creditori del condominio contro i condomini morosi, sia pure con il beneficio della parziarietà.
All'amministratore non resterebbe, dopo le consuete diffide ai condomini e l'inutile svolgimento di un'apposita assemblea per le eventuali rettifiche del bilancio, che il processo di cognizione (ordinario o sommario), anche alla luce, riteniamo, dell'obbligo proprio dei mandanti di dotare il mandatario (l'amministratore) dei mezzi necessari per l'esecuzione del mandato e per l'adempimento delle obbligazioni (art. 1719 cod. civ.). I parametri di riferimento per la domanda giudiziale potrebbero individuarsi nel “preventivo” non approvato che sia in linea con l'ultimo consuntivo.
Lo strumento principe, tuttavia, è un altro e resta in mano ai condòmini, anche singolarmente: si tratta del ricorso alla volontaria giurisdizione ai sensi dell'art. 1005/4° cod. civ. per superare la mancata formazione di una volontà assembleare in ordine all'approvazione della spesa ed alla sua ripartizione.
Rimane sempre il fatto della quasi impossibilità di recupero in quei casi, forse marginali, di condòmini in comprovate e gravi difficoltà economiche. Per gli inquilini che si trovano in analoghe situazioni, secondo determinati parametri, esiste il sostegno del “Fondo morosità incolpevole”. Sarebbe politicamente difficile invocarlo anche a beneficio dei proprietari di casa, per varie ragioni facili da comprendere. Ma potrebbe finire che taluni di questi condòmini diventino, dopo l'esecuzione immobiliare, conduttori della ex propria abitazione bisognosi di ricorrere al fo

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