Condominio

Tagliare un albero in area tutelata può configurare un reato

di Valeria Sibilio

La tutela dell'interesse paesaggistico prevale sugli interessi personali, specie nei casi in cui si sfocia in azioni per le quali è necessaria la valutazione delle sedi giudiziarie. La sentenza della Cassazione 1571 del 2018 ha esaminato un caso nel quale il gestore di un locale pubblico aveva abbattuto due alberi di alloro, di circa 10 metri, insistenti sul proprio giardino, in un'area dichiarata, per le sue caratteristiche paesaggistiche, di notevole interesse pubblico. Mentre nella sua pronuncia in primo grad, il Tribunale, pur evidenziando la gravità del fatto, aveva introdotto la causa di non punibilità tale da consentire la concessione delle attenuanti generiche e l'irrogazione del minimo della pena, la Corte d'Appello aveva negato tale causa, condannando il gestore a quindici giorni di arresto, ad una ammenda di euro 15.500 e a cinque mesi e dieci giorni di reclusione. Contro tale sentenza, il gestore ricorreva in Cassazione, dichiarando che la Corte avrebbe omesso di considerare le condizioni precarie dell'albero testimoniate dall'operaio che aveva eseguito la demolizione, la non conoscibilità immediata del precetto penale da parte dell'imputato, l'insussistenza di vincolo sulla singola pianta a differenza del vincolo insistente sull'area e la circostanza che la pianta si trovasse in un angusto cortile interno al condominio. Inoltre, per il ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe escluso la situazione di pericolo per la stabilità dell'albero, definito, da un testimone, pericoloso, marcio e pieno di tagli. Il suddetto travisamento della prova avrebbe, per il ricorrente, inciso sulla corretta valutazione della effettiva esiguità dei danno e conseguentemente sull'applicabilità dell'invocata causa di non punibilità.
Per la Cassazione, la speciale causa di non punibilità è configurabile in presenza di una duplice condizione, essendo richiesta, congiuntamente e non alternativamente, la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento. Il primo dei due requisiti richiede, a sua volta, la specifica valutazione della modalità della condotta e dell'esiguità del danno o del pericolo, cui segue, in caso di vaglio positivo e dunque nella sola ipotesi in cui si sia ritenuta la speciale tenuità dell'offesa, la verifica della non abitualità del comportamento.
Tale giudizio deve essere improntato ad un esame complessivo che investa tutte le peculiarità riferite alla condotta, ivi comprese quelle che attengono all'entità dell'aggressione del bene giuridico protetto che comunque ricorre senza distinzione tra reati di danni e reati di pericolo. Nella motivazione resa dal Tribunale, la sola menzione dell'entità del complesso arboreo, addotta a giustificazione del diniego, priva di ulteriore riferimento al contesto ambientale in cui era inserito, alle effettive dimensioni che presentava ed alle condizioni vegetative in cui si trovava, non consente di ritenere assolto l'onere motivazionale a carico del giudicante, specie in considerazione del trattamento sanzionatorio applicato che di per sé contraddice la non marginale offensività della condotta in contestazione.
Il giudizio di minima offensività, va compiuto sulla base di una valutazione congiunta delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza e dell'entità del danno o del pericolo.
La non manifesta infondatezza del motivo esaminato e la conseguente valida instaurazione del rapporto processuale a seguito dell'impugnativa svolta, avrebbe imposto l'annullamento con rinvio alla Corte di Appello per un nuovo giudizio sul punto. Tuttavia, in ordine all'intervenuta prescrizione del reato in data successiva alla pronuncia impugnata, la Cassazione ha annullato, senza rinvio, la sentenza.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©