L'esperto rispondeCondominio

Per modificare il prospetto dell’edificio non sempre occorre l’unanimità

di Raffaele Cusmai

La domanda


In qualità di amministratore ho ricevuto richiesta di modifica del prospetto di un condominio; il lavoro prevede l'arretramento del “muro di tompagno” (tamponatura) di un immobile con realizzazione di un vano soggiorno più piccolo, a favore di un balcone più ampio da utilizzare maggiormente l'estate.
Io ritengo che per tale modifica ci voglia l'unanimità dei condomini, mentre l'avvocato dei proprietari ritiene che sia sufficiente la metà+1 dei condomini. Chi ha ragione?


Occorre muovere dal presupposto che il prospetto dell'edificio rappresenta un bene comune ai sensi dell'art. 1117 c.c.. Esso è costituito dall'insieme delle linee architettoniche e delle strutture ornamentali che caratterizzano l'edificio e che gli forniscono un'autonoma fisionomia e una particolare connotazione estetica. Ciò non toglie, tuttavia, che ciascun condomino ha il diritto di intervenire sulla facciata in base al disposto dell'art. 1102 c.c.. Nel far ciò, questi deve rispettare alcuni limiti: e cioè consentire agli altri condomini di esercitare un pari diritto; lasciare impregiudicata la destinazione d'uso; non pregiudicare il decoro architettonico dell'edificio. Inoltre, gli art. 1120, ultimo comma e l'art. 1222 c.c. stabiliscono un divieto generale riguardo all'esecuzione di opere che possano recare un danno alle parti comuni o che possano generare un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio (divieto che riguarda, appunto, non soltanto gli interventi eseguiti sulle parti comuni, ma anche su quelle che insistano sulla proprietà esclusiva o comunque su aree destinate all'uso individuale del singolo condomino). Devono quindi ritenersi ammissibili tutte le opere che intervengano sulla facciata nel rispetto del decoro architettonico dell'edificio, e che ne assicurino la stabilità e sicurezza (Cassazione civile, Sez. II, 20 febbraio 1997, n. 1554). Ciò, si precisa, anche in assenza di un'approvazione da parte dell'assemblea: la Cassazione ha infatti ammesso la modifica da parte del singolo di parti comuni, purché non pregiudichi l'uso comune affermando che “a differenza delle innovazioni – configurate dalle nuove opere, le quali immutano la sostanza o alterano la destinazione delle parti comuni, in quanto rendono impossibile l'utilizzazione secondo la funzione originaria, e che debbono essere deliberate dall'assemblea, art. 1120, comma 1, c.c., nell'interesse di tutti i partecipanti – le modifiche alle parti comuni dell'edificio, contemplate dall'art. 1102 c.c., possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un uso più intenso, sempre che non alterino la destinazione e non impediscano l'altrui pari uso”. In base a tale assunto è stata, ad esempio, ritenuta legittima l'apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune. L'intervento dell'assemblea dunque non appare necessario neppure nel caso di specie. Potrebbe al limite valere quale riconoscimento dell'inesistenza di pretese di altri condomini all'utilizzazione del muro comune.
Tenuto conto di quanto premesso e alla luce della concisa descrizione dello stato dei luoghi emergente dal quesito (non è infatti dato comprendere l'entità dell'intervento e la sua reale incidenza su decoro architettonico, stabilità e sicurezza dell'edificio) ad avviso di chi scrive – fermo restando che, in assenza di un regolamento contrattuale che vieti qualsiasi alterazione del prospetto dell'edificio, non sarebbe comunque richiesta l'unanimità, trattandosi di innovazioni che possono essere deliberate ex art. 1136, II comma –ogni modifica su parti comuni (es. prospetto) può ritenersi legittima anche in assenza del consenso degli altri condomini. Ciò, lo si ribadisce, purché non venga pregiudicata la destinazione d'uso del bene oggetto di intervento, né che sia arrecato pregiudizio al decoro, alla stabilità o alla sicurezza dell'edificio (valutazione di merito e relativa allo stato dei luoghi che non spetta a chi scrive sindacare).
A sostegno di quanto dedotto si tenga conto anche del pronunciamento del Tar Puglia (sentenza 16 giugno 2014, n. 730) che ha ritenuto legittimo il titolo edilizio richiesto dal singolo condomino senza preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale (superflua sul piano amministrativo), considerata al più quale semplice ratifica dei diritti edificatori del singolo sotto il profilo civilistico.

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