Condominio

L’assemblea può delegare le proprie funzioni decisionali?

di Giuseppe Màrando

Con una certa semplificazione, ed attingendo alle comuni categorie politico-istituzionali, si può dire che nel condominio l'assemblea rappresenta il “parlamento” mentre il “governo” è costituito dall'amministratore, tenuto ad eseguire le deliberazioni assembleari e ad esercitare i poteri-doveri (che costituiscono il contenuto del rapporto di mandato) a lui conferiti dalla legge, dal regolamento e dall'assemblea stessa.
L'assemblea è l'organismo naturale e permanente del condominio, depositario del potere decisionale per la gestione dello stesso. Ha una competenza deliberativa generale, che viene esercitata “in modo dinamico” (cioè con un adattamento nel tempo) ed abbraccia tutto ciò che riguarda la gestione delle parti comuni e dei servizi comuni, al di là delle indicazioni legislative (che hanno solo carattere esemplificativo: Cass. n. 21966/2017) e delle previsioni del regolamento di condominio; purchè l'atto non sia volto perseguire una finalità extracondominiale (Cass. n. 5130/2007) o non leda i diritti individuali dei condòmini (tranne naturalmente, in questo caso, che la delibera sia approvata all'unanimità da tutti i partecipanti al condominio).
Nella ricorrente realtà condominiale si affiancano spesso, all'assemblea ed all'amministratore, altri organismi temporanei e di emanazione sempre assembleare, come il c.d. “consiglio di condominio” oppure, ad es., una “commissione lavori”; la legge (della riforma 2012) aggiunge poi la possibilità di nominare un “revisore dei conti”, che verifichi la contabilità del condominio. Il “consiglio di condominio”, un tempo previsto dal D.L. n. 56/1934 (art. 16) e poi abbandonato dal codice civile del 1942, ma contemplato in quasi tutti i regolamenti condominiali, è stato reintrodotto dell'ordinamento dalla riforma del 2012 (anch'esso all'art. 1130-bis cod. civ.) con funzioni consultive e di controllo.
Di fronte a queste diverse realtà sorge spontaneo l'interrogativo se l'assemblea possa delegare ad altri soggetti le proprie funzioni, magari per un oggetto definito e temporaneo; il caso tipico e più frequente è la scelta dell'impresa esecutrice dei lavori e dei connessi preventivi.
Come risulta dalle indicazioni legislative (generali e speciali), il potere decisionale è proprio dell'assemblea, obbligata a riunirsi annualmente (art. 66 disp. att. cod. civ., norma inderogabile) per deliberare sulle materie fondamentali dell'art. 1135 cod. civ. Le delibere necessarie alla gestione del condominio, che il 1136 (anch'esso inderogabile) riserva solo all'assemblea con le maggioranze ivi stabilite, finiscono per incidere sulle spese e quindi sui diritti dei condòmini. Poiché l'approvazione delle spese rappresenta una competenza esclusiva dell'assemblea, la delega di cui si discute porterebbe alla nullità della delibera per difetto assoluto di competenza. Ma i vizi di nullità (sanzione grave e con effetti a cascata sugli atti successivi e conseguenti) non finiscono qui: la delibera sarebbe contraria a norme inderogabili (v. art. 1138, 4° comma, cod. civ., art. 72 disp. att. cod. civ.) ed inoltre, ove non fosse impugnata e poi sospesa dal giudice, verrebbe a ledere i diritti dei condòmini in quanto l'atto dell'organo impropriamente delegato (il consiglio di condominio, la commissione lavori, e simili) non rientrerebbe tra quelli istituzionali attaccabili come le delibere assembleari.
In questo senso si è orientata la giurisprudenza: la scelta dei preventivi per i lavori ed il riparto effettuati dalla commissione perché siano vincolanti per tutti i condòmini vanno riportati in assemblea per l'approvazione non essendo delegabili ai singoli condòmini, anche riuniti in un gruppo, le funzioni dell'assemblea, a pena di illegittimità della delibera (Cass. n. 5130/2007; Trib. Napoli n. 7388/1987; Trib. Napoli, 30/10/1990, secondo cui la delibera comporta un illegittimo esautoramento della minoranza dei partecipanti al condominio, nel cui interesse sono stabilite regole inderogabili a favore della competenza istituzionale dell'organo collettivo)
Una qualche deviazione di percorso si riscontra per l'amministratore, ma non bisogna dimenticare che le decisioni sono condizionate dal singolo caso concreto nei suoi multiformi aspetti e non sempre consentono di estrarre dei principi valevoli sul piano generale. Una prima sentenza ha stabilito che la delibera assembleare con la quale si conferisce all'amministratore il mandato di eseguire determinati lavori e di scegliere l'impresa ritenuta idonea, va approvata a maggioranza e non all'unanimità (Cass. 11/07/2003 n. 10937), senza ulteriori indicazioni. In seguito, però, si è corretto il tiro ritenendo valida l'attribuzione all'amministratore del potere di scelta qualora l'assemblea abbia già individuato la tipologia degli interventi, il tetto di spesa ed i parametri vincolanti per l'individuazione dell'impresa (Cass. 18/9/2012 n. 15633). In realtà è più coerente quest'ultima linea, con alcune precisazioni. Non si versa realmente in materia di delega, ma piuttosto di conferimento all'amministratore di maggiori poteri, come previsto dall'art. 1131, 1° comma, cod. civ., con l'avvertenza che le nuove facoltà attribuite devono pur sempre rientrare nell'ambito della sfera operativa dell'amministratore, senza che l'assemblea possa spogliarsi di alcuna funzione decisionale lasciando così prive di tutela le minoranze; diversamente si potrebbe ricadere nel vizio di eccesso di potere, oltre che nella illegittimità della delibera per le ragioni sopra esposte.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©