Condominio

Quasi un ritorno alle tariffe minime

di Giuliano Fonderico

Il legislatore si appresta a modificare l’equo compenso a due settimane dalla sua introduzione. Gli interventi sono pochi ma mirati e per lo più irrigidiscono la disciplina. L’emendamento prevede che l’equo compenso dei professionisti sia quello «conforme» ai parametri ministeriali sui compensi professionali. Nel testo attuale occorre solo «tenere conto» di questi parametri. La modifica dovrebbe rendere sostanzialmente vincolanti i parametri ministeriali, un ritorno alle tariffe minime per lo meno nelle convenzioni predisposte unilateralmente da banche, assicurazioni e grandi imprese. Gli effetti, tuttavia, potrebbero interessare anche le Pa. In base alla legge, esse sono tenute a garantire il «principio dell’equo compenso», che a questo punto porterebbe con sé il legame più stretto con i parametri ministeriali. Resterebbero fuori solo i contratti con i privati e le piccole e medie imprese.

La seconda modifica riguarda il divieto di clausole vessatorie. L’emendamento propone di considerare tali le clausole elencate dalla legge anche quando frutto di «specifica trattativa e approvazione». Si potrebbe pensare a una semplice modifica di coordinamento, posto che le convenzioni soggette al divieto sono comunque quelle «predisposte unilateralmente» dalle imprese. Nella pratica, potrebbero esserci situazioni intermedie, di convenzioni predisposte unilateralmente ma con singole clausole oggetto di trattativa. Nella norma attuale, la seconda ipotesi sarebbe sottratta al divieto di clausole vessatorie che invece, secondo l’emendamento, si applicherebbe per il fatto in sé che la clausola ricada tra le vietate. Non è detto che tutto ciò sia un vantaggio per i professionisti. Alcune clausole, pur apparentemente gravose, potrebbero esserlo meno per singoli professionisti e trovare contrappesi vantaggiosi in altre pattuizioni. Insomma, di certo la norma imporrà alle convenzioni maggiore uniformità, difficile prevedere a vantaggio di chi.

La terza modifica è sull’azione di nullità delle clausole che violano l’equo compenso o che siano vessatorie. Con l’emendamento cadrebbe lo speciale regime processuale della decadenza dall’azione nel termine di 24 mesi. Vorrebbe dire tornare al regime generale, per il quale l’azione di nullità è imprescrittibile. Possono sempre prescriversi, però, le ulteriori azioni che derivano dalla nullità, con termini che variano secondo i casi. Le azioni per ottenere i compensi professionali e i rimborsi spese, ad esempio, si prescrivono in tre anni. Questo termine dovrebbe valere anche quando il compenso sia dichiarato nullo perché non equo, dal che, decorsi i tre anni, il professionista non potrebbe chiedere la differenza. Le altre azioni che potrebbero derivare dalla nullità delle clausole vessatorie, di tipo contrattuale, di regola si prescriveranno in dieci anni.

Al di là del gioco dei termini, la modifica porterebbe per i professionisti due vantaggi aggiuntivi. I termini di prescrizione si possono interrompere con una semplice richiesta di pagamento, per la decadenza occorre agire in giudizio. Inoltre, il professionista potrà sempre far valere la nullità in via difensiva, quando l’impresa cliente volesse applicare una clausola vessatoria che, ad esempio, le consente di modificare unilateralmente il contratto. Le questioni potranno quindi venire a galla anche molti anni dopo la stipula dei contratti.

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