Condominio

Aver ragione non giustifica il danneggiamento

di Paolo Accoti

Danneggiare la canna fumaria del vicino esula dalla difesa del possesso, è esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Farsi giustizia da sé, senza invocare l'intervento della magistratura, quand'anche sul presupposto di essere “nel giusto”, può costare caro, potendosi a tal fine configurare il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ex art. 392 Cp, a mente del quale chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo, mediante violenza sulle cose, è punito a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 516.
A tal proposito, infatti, non risulterebbe applicabile la giustificazione (scriminante) relativa all'esercizio di un diritto, in considerazione del fatto che la convinzione di esercitarlo costituisce essa stessa elemento costitutivo del delitto (Cfr.: Cass. n. 25262/2017).
Ed invero, la scusante dell'esercizio del diritto risulterebbe operativa allorquando, nell'imminenza, si è costretti a respingere la violenza con la violenza (“vim vi repellere licet”), il che solitamente accade quando tra “l'offesa” e la “reazione” intercorre un lasso di tempo talmente breve da precludere qualsiasi utile intervento giudiziale atto ad evitare la produzione del danno.
Tali principi sono stati di recente ribaditi dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 53826, pubblicata in data 29.11.2017.
Ed invero accadeva che un condomino, al fine di tutelare il suo possesso, danneggiava, rendendola inservibile, la canna fumaria utilizzata dal caminetto ubicato nell'appartamento del vicino.
Tratto a giudizio veniva condannato in primo grado, tuttavia, a seguito dell'interposto appello, la Corte d'Appello di Lecce, in riforma della pronuncia di condanna, mandava assolto l'imputato dai reati di cui agli artt. 392 e 635 Cp, ritenendo sussistente la scriminante dell'esercizio di un diritto (art. 51 Cp), avendo agito l'imputato <<al fine di difendere il diritto di possesso in presenza di un atto di turbativa nel godimento della res>>.
Propongono ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello nonché la costituita parte civile, denunciando – tra l'altro – la violazione di legge e, in particolare, l'erronea interpretazione delle norme penali e dei principi civilistici in materia.
La Suprema Corte premette che <<In linea generale, vale il principio per cui, “In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non è applicabile la scriminante dell'esercizio del diritto in quanto la convinzione di esercitarlo costituisce essa stessa elemento costitutivo del delitto” (così, da ultimo, Sez. 6, sent. n. 25262 del 21.02.2017)>>.
Tuttavia, occorre considerare anche che, in materia, vige <<il principio “vim vi repellere licet”, che rende non punibile l'autore della violenza sempre che - e solo in siffatta eventualità - tra l'azione perturbatrice e quella contraria dell'agente non si sia frapposto alcun lasso di tempo sufficiente per adire il giudice ed ottenere un provvedimento idoneo ad evitare il prodursi di una situazione di danno, poiché in tal caso si è in presenza di un principio generale di antica tradizione, che funge da limite della norma penale poiché esclude la presenza del requisito costitutivo dell'arbitrarietà della condotta del soggetto agente, consentendo in continenti la difesa del possesso (violenza manutentiva) o l'autoreintegrazione di esso (violenza reintegrativa), in ipotesi di spoglio violento ad opera di terzi. Trattasi, invero, di un'affermazione risalente nella giurisprudenza di legittimità (cfr., in tal senso, Sez. 3, sent. n. 4470 del 14.10.1977 - dep. 15.04.1978,), ma che è stata anche successivamente sempre ribadita e tenuta ferma: si vedano in proposito Sez. 6, sent. n. 483 del 27.11.1996 - dep. 24.01.1997, nonché, in epoca più recente, Sez. 6, sent. n. 2548 dell'08.01.2010 (che ha escluso la sussistenza del reato previsto e punito dall'art. 392 cod. pen., in presenza della rottura, da parte di un condomino, di una catena e di un paletto di ferro improvvisamente installati in prossimità di un cancello carrabile sull'area condominale adibita a parcheggio, sì da precluderne l'accesso e l'uscita) e, a contrario, Sez. 6, sent. n. 10602 del 10.02.2010 (che ha escluso l'applicabilità dell'invocata esimente nell'ipotesi della demolizione di un manufatto già da tempo realizzato); adde anche Sez. 6. ord. n. 49760 del 27.11.2012>>.
Nel caso concreto dall'istruttoria è emerso che la canna fumaria fosse preesistente, siccome allocata in un periodo anteriore alla sentenza civile che ne ha disposto la rimozione.
Conseguentemente, sottolinea la Corte, non ci si trova al cospetto di una repentina azione di spoglio violento da parte del terzo, ma di una vicenda risalente nel tempo, per cui l'imputato avrebbe potuto e dovuto rivolgersi al giudice al fine di far rimuovere coattivamente la canna fumaria.
Da ciò ne consegue <<l'insussistenza della ritenuta esimente>> e, conseguentemente, <<l'annullamento dell'impugnata sentenza, in relazione ad entrambe le fattispecie ascritte a carico dell'imputato>>.

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