Condominio

Impianto idrico, chi si stacca paga la manutenzione anche se in maggioranza

di Francesco Machina Grifeo

È invalida la delibera che impone all'unica condomina rimasta allacciata al servizio idrico comune di pagare per intero le spese di manutenzione dell'impianto. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 28616 del 29 novembre 2017 , chiarendo che trattandosi di un «accessorio di proprietà comune» i condomini sono obbligati al pagamento delle spese di conservazione.
La condomina aveva impugnato la delibera con cui le veniva chiesto di «provvedere all'installazione di una linea privata con contatore privato per la fornitura del servizio idrico esattamente come eseguito da tutte le restanti unità immobiliari». La delibera poi «confermava l'utilizzo esclusivo dell'ex impianto condommiale», per cui «la linea è da intendersi di proprietà privata» della condomina e «ad essa dovrà essere riconducibile ogni eventuale necessaria manutenzione». Il Tribunale di Lodi, prima, e la Corte di Appello di Milano, dopo, l'hanno però dichiarata invalida «in quanto non avrebbe potuto sottrarre alla destinazione originaria l'impianto centralizzato di proprietà comune di distribuzione dell'acqua potabile e di scarico, né deliberarne la soppressione per far luogo all'attivazione da parte dei singoli condomini di propri contatori ed autonomi contratti con l'ente gestore, configurando una definitiva alterazione della cosa comune nella sua originaria destinazione, tale da integrare la fattispecie dell'articolo 1120, ultimo comma, c.c.».
Contro questa decisione il condominio ha proposto ricorso in Cassazione sostenendo che «non vi sarebbe alcun impianto idrico condominiale, ma piuttosto un sistema di tubazioni principali dell'acqua potabile di proprietà comune», per cui la fattispecie non era riconducibile all'art. 1120 c.c., «non avendo la delibera alcuna portata innovativa». In altri termini la soppressione a maggioranza di un servizio «divenuto oneroso» non avrebbe inciso «in alcun modo sui beni comuni, individuati appunto nelle tubature».
Per la Suprema corte, invece, correttamente il giudice di merito ha ritenuto che «l'impianto centralizzato costituisce “un accessorio di proprietà comune”, circostanza che obbliga i condomini a pagare le spese di manutenzione e conservazione, salvo che il contrario risulti dal regolamento condominiale» ( n. 19893 del 2011).
Infatti, prosegue la Corte, «anche a ritenere ammissibile il distacco degli appartamenti dall'impianto idrico centralizzato, laddove non comporti squilibrio nel suo funzionamento, né maggiori consumi, alla legittimità del distacco consegue al più il solo esonero dei condomini dal pagamento delle spese per il consumo ordinario, non certo i costi di manutenzione». In sostanza, per la Cassazione è applicabile la stessa disciplina ormai invalsa in tema di riscaldamento: «è legittima la rinuncia di un condomino all'uso dell'impianto centralizzato - anche senza necessità di autorizzazione - purché l'impianto non ne sia pregiudicato, con il conseguente esonero, in applicazione del principio contenuto nell'art. 1123, secondo comma, c.c., dall'obbligo di sostenere le spese per l'uso del servizio centralizzato; in tal caso, egli è tenuto solo a pagare le spese di conservazione» (n. 28679 del 2011).
Né, conclude la Corte, si può sostenere il venire meno dell'interesse dei condomini in quanto «ben potrebbero in futuro tornare a riutilizzare l'impianto, ragione per la quale essi sono comunque tenuti a contribuire alla sua conservazione».

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