Condominio

Condominio e mediazione: legittimazione e poteri conciliativi dell'amministratore

di Anna Nicola

Dal 20 marzo 2012 la procedura di mediazione obbligatoria riguarderà anche la materia condominiale e la responsabilità civile per i danni derivanti da circolazione di autoveicoli: “L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”: art. 5, primo comma, D.Lgs. n. 28/2010.
Si tratta della cd. Condizione di procedibilità morbida in quanto se il convenuto non solleva l'eccezione in prima udienza e il Giudice non ne rileva l'assenza nella medesima sede, il giudizio prosegue il suo corso, senza soluzione di continuità.
In quest'ambito il primo quesito da porsi è quello di definire se l'amministratore sia legittimato – senza il preventivo consenso dell'assemblea – a decidere se partecipare o meno al procedimento di mediazione e, in caso ritenga di dovervi partecipare, se debba essere assistito.
E' noto che il potere dell'amministratore è anche quello di conferire mandato ad un legale per rappresentare il condominio in giudizio.
Anche su tale argomento si assiste ad un alternarsi di orientamenti che non ha mai portato ad una definizione precisa della materia.
Sotto questo profilo, nell'interpretazione dell'art. 1131 c.c. dottrina e giurisprudenza si sono viste altalenanti. Inizialmente ritenevano, sulla base di una interpretazione estensiva dell'art. 1131 del codice civile, che l'amministratore fosse legittimato, anche senza il preventivo consenso dell'assemblea condominiale, a poter “resistere” in giudizio quale soggetto convenuto, a proporre azioni a difesa delle parti comuni (ossia nei limiti dell'art. 1130 n. 4), salvo poi la ratifica successiva dell'assemblea condominiale. Per le liti attive veniva sempre comunque richiesto il preventivo consenso dell'assemblea dei condomini.
Vi è stata una svolta con la Cassazione 26 novembre 2004 n. 22294, la cui motivazione nega una generale legittimazione passiva dell'amministratore, trovando il suo fondamento in una erronea interpretazione degli artt. 1131 commi I e II c.c., alla stregua del quale se l'amministratore può risultare destinatario della notificazione di qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio da ciò discenderebbe l'illimitatezza dei suoi poteri rappresentativi processuali dal lato passivo. La Suprema Corte ha quindi affermato che: “Il collegio ritiene di non condividere tale orientamento, in quanto basato su una interpretazione dell'art. 1131, secondo comma, cod. civ. che non tiene conto della ratio ispiratrice di tale norma, la quale è diretta a favorire il terzo il quale voglia iniziare un giudizio nei confronti del condominio, consentendogli, invece di citare tutti i condomini, di notificare la citazione all'amministratore. Nulla, invece, nella norma in questione giustifica la conclusione secondo la quale l'amministratore sarebbe anche autorizzato a resistere in giudizio senza essere a tanto autorizzato dall'assemblea. Una volta chiarito tale punto, va rilevato che, in considerazione del fatto che la c. d. autorizzazione della assemblea a resistere in giudizio in sostanza non è che un mandato all'amministratore a conferire la procura ad litem al difensore che la stessa assemblea ha il potere di nominare, per cui, in definitiva, l'amministratore non svolge che una funzione di mero nuncius .”.
Anche la dottrina (Dott. Gian Andrea Chiesi, magistrato, in “Spia al Diritto” del 28 settembre 2005) ha evidenziato che: “l'autorizzazione dell'assemblea a resistere si pone quale condicio sine qua non affinchè l'amministratore, nella propria veste di mandatario, possa conferire il mandato difensivo ad un legale e sottoscrivere la relativa procura alle liti. In mancanza, non potrà che concludersi - e salva la facoltà del Giudice di disporre l'integrazione delle necessarie autorizzazioni, ex art. 182 cod. proc. civ. - per l'inammissibilità della costituzione in giudizio del condominio e la declaratoria di contumacia dello stesso (con le conseguenti responsabilità in capo all'amministratore).” ed ancora “i condomini si vedono involontariamente coinvolti in un giudizio, senza neppure essere a conoscenza degli atti di causa - casomai addirittura condividendo le motivazioni sottese alla lite .- e salvo essere posti, solo in un secondo momento e a “giochi fatti”, di fronte all'alternativa tra la ratifica, da un lato, di una nomina già effettuata “motu proprio” dall'amministratore e la scelta, dall'altro, di un legale di fiducia del condominio (non di un suo, pur qualificato, rappresentante) ovvero di dissentire rispetto alla lite, con duplicazione, nel primo caso, di esborsi, ovvero, nella seconda ipotesi ed in caso di vittoria, con possibile sostenimento di spese non volute (cfr., a tale ultimo proposito, l'art. 1132, comma 3, cod. civ.) .”. (sul punto cfr. conforme anche Izzo, Milano, 2005, 209); conforme anche la migliore magistratura di merito (“in assenza della delibera dell'assemblea dei condomini che autorizzi l'amministratore a resistere in giudizio, l'amministratore è carente di legittimazione processuale, donde discende l'irritualità della costituzione del rapporto processuale e, per l'effetto, l'inammissibilità della costituzione in giudizio del condominio”: Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Torre del Greco, sentenza 19 ottobre 2006).
Questa corretta interpretazione è stata poi confermata anche dalla Cassazione 25 gennaio 2006 n. 1446che ha espressamente statuito commentando la ratio dell'art. 1131, secondo comma che: “Nulla, contemporaneamente, nella stessa norma, giustifica la conclusione secondo cui l'amministratore sarebbe anche legittimato a resistere in giudizio senza essere a tanto autorizzato dall'assemblea. Considerato, inoltre, che la cosiddetta autorizzazione dell'assemblea a resistere in giudizio in sostanza non è che un mandato d'amministratore a conferire la “procura ad litem” al difensore che la stessa assemblea ha il potere di nominare, in definitiva, l'amministratore non svolge che una funzione di mero “nuncius” e che pertanto è inammissibile l'azione proposta dall'amministratore “senza espressa autorizzazione della assemblea.”.
Sul punto è poi intervenuta nuovamente la Suprema Corte con una pronunzia, a Sezioni Unite, (la n. 18331 del 6 agosto 2010) che ha specificamente statuito che: “Sulla questione sottoposta all'esame di queste Sezioni Unite esistono nella giurisprudenza di legittimità due diversi orientamenti: il primo (maggioritario) afferma che l'amministratore può costituirsi nel giudizio promosso nei confronti del condominio e può impugnare la sentenza sfavorevole al condominio pur se a tanto non autorizzato dall'assemblea condominiale; il secondo (minoritario) sostiene, invece, che in assenza di tale deliberazione assembleare l'amministratore e' privo di legittimazione a costituirsi e ad impugnare. ...... Alla luce delle considerazioni svolte va enunciato il seguente principio di diritto: “L'amministratore di condominio, in base al disposto dell'art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall'assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell'assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell'atto di costituzione ovvero di impugnazione”.
Ciò non ha sedato gli animi in quanto la Cassazione del 23.8.2011 n. 17577 ha statuito “in tema di controversie condominiali, la legittimazione dell'amministratore del condominio, dal lato attivo coincide con i limiti delle sue attribuzioni, mentre dal lato passivo, non incontra limiti e sussiste in ordine ad ogni azione concernente le parti comuni dell'edificio”.
Sul punto si era più volte espressa la giurisprudenza statuendo ad esempio che “Il conferimento da parte dell'assemblea condominiale all'amministratore del condominio del potere di stare in giudizio in una controversia non rientrante tra quelle che può autonomamente proporre ai sensi del primo comma dell'art. 1131 cod. civ. può sopravvenire utilmente, con effetto sanante, dopo la proposizione dell'azione.” (Cassazione del 13.12.2006 n. 26689)
Detto ciò, vediamo quali siano le facoltà dell'amministratore di poter decidere se intervenire ad una procedura di mediazione.
La soluzione a tale problematica è chiara e risiede nell'art. 71quater disp. Att cc il corpus di questa norma è il seguente: “Al procedimento è legittimato a partecipare l'amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice. Se i termini di comparizione davanti al mediatore non consentono di assumere la delibera di cui al terzo comma, il mediatore dispone, su istanza del condominio, idonea proroga della prima comparizione. La proposta di mediazione deve essere approvata dall'assemblea con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice. Se non si raggiunge la predetta maggioranza, la proposta si deve intendere non accettata.”
Senza la precedente delibera assembleare, l'amministratore non si può presentare in mediazione ma deve chiedere che l'incontro venga fissato più avanti nel tempo onde permettergli di adire la riunione dell'edificio su questo tema.
Se l'assemblea approva, la mediazione può partire, altrimenti cade e il procedimento non ha inizio
Lo stesso discorso vale per il contenuto del raggiunto accordo di mediazione
Poiché organo sovrano dell'edificio è l'assemblea, solo questa può esprimere voto favorevole o contrario alla bozza di accordo raggiunta nel procedimento mediaconciliativo
Ciò è anche logico se si pensa che l'amministratore di condominio è un semplice mandatario, portavoce dell'assemblea, se non gli vengono da quest'ultima –o dal regolamento- attribuiti poteri maggiori di quelli sanciti dalla legge
Infatti “Il mediatore fissa il termine per la proposta di conciliazione di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, tenendo conto della necessità per l'amministratore di munirsi della delibera assembleare.”
L'accordo conciliativo infatti non è altro che una transazione
A rigore la transazione, disponendo di propri diritti, dovrebbe essere assunta con una delibera all'unanimità. Il legislatore ha invece ritenuto sufficiente la maggioranza richiesta dal secondo comma dell'art. 1136 cc sia in prima, sia in seconda convocazione

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