Condominio

Videosorveglianza, uno slalom tra problemi

di Anna Nicola

L'installazione di un impianto di videosorveglianza in un edificio, sia esso condominio o meno, ha l'innegabile scopo di fornire maggiore sicurezza a chi vi abita. Questa esigenza è sempre più sentita nella vita moderna.
L'art. 1122 ter c.c., introdotto dalla L. 220/2012, rubricato “Impianti di video-sorveglianza di utilità comune” così recita: “Le deliberazioni concernenti l'installazione sulle parti comuni dell'edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate dall'assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell'articolo 1136.”
Con questa disposizione è stato riconosciuto il diritto per il condominio di decidere di avere questi impianti di sicurezza, semprechè la decisione sia assunta dalla maggioranza degli intervenuti alla riunione rappresentanti almeno la metà del valore dell'intero stabile. Detta maggioranza deve essere rispettata anche nella riunione di seconda convocazione, ove la prima fallisse nel numero necessario per la sua costituzione.
Gli impianti comuni possono essere posizionati solo nei luoghi facenti parte della proprietà collettiva e non di quella di un singolo abitante dell'edificio. Questa precisazione è corretta non potendo l'assemblea limitare il diritto di proprietà che ogni condomino ha sul suo alloggio o su altre parti comunque di diritto dominicale esclusivo.
Il tema prima dell'intervento della riforma, entrata in vigore a far data dal 18 giugno 2013, è sempre stato molto delicato.
Una parte della giurisprudenza era tendenzialmente di avviso contrario alla possibilità di procedere a installare questi servizi per mezzo della decisione dell'assemblea di condominio. Si riteneva che gli interventi in questione non rientrassero nei poteri dell'edificio, in quanto l'impianto volto alla sicurezza dello stabile non si qualifica(va) come prestazione finalizzata a servire beni in comunione (Tribunale Salerno, 28 dicembre 2010).
Mentre era e è sempre stato considerato lecito l'impianto di videosorveglianza posizionato da un singolo condomino nel pianerottolo del proprio alloggio che consente la sola diretta osservazione della porta di accesso e dell'area di poco antistante (Trib. Milano, 6 aprile 1992 in Arch. Locazioni, 1992, 823), così non era per l'ambito della parti comuni del condominio.
Il singolo impianto con visuale ridotta sul proprio uscio è teso alla sicurezza degli abitanti dell'alloggio, senza che possano ritenersi prevalenti gli interessi dei soggetti terzi.
Quanto detto è desumibile chiaramente dallo scopo della videosorveglianza. La sua finalità è identificare le persone attraverso le immagini che vengono registrate nei casi in cui tale attività di identificazione sia ritenuta necessaria da parte dello stesso titolare.
I limiti che venivano considerati insuperabili in ambito condominiale attengono proprio a questi aspetti, in quanto diritti individuali costituzionalmente garantiti, quali il diritto alla riservatezza, alla libertà personale, alla protezione di dati personali e così via. Diritti che spetterebbero a un numero indeterminato di soggetti, non identificabili in via preventiva. Si pensi non solo a coloro che abitano o lavorano nell'edificio ma anche (e soprattutto) a chi vi accede per rapporti di amicizia, di conoscenza. Questi soggetti sono ignari di essere fatti oggetti di videoregistrazione.
Sino all'introduzione dell'art. 1122ter c.c., la giurisprudenza escludeva che l'assemblea dell'edificio potesse essere considerata il reale titolare del trattamento dei dati di questi terzi, stante il carattere maggioritario della deliberazione e l'impossibilità che le riprese concernessero i soli condomini che, in quanto tali, avevano prestato il consenso o comunque erano a conoscenza della videosorveglianza. La conclusione dei nostri giudici era nel senso di escludere che l'oggetto di una siffatta deliberazione rientrasse nei compiti dell'assemblea condominiale. Si riteneva che lo scopo della tutela dell'incolumità delle persone e delle cose dei condomini, cui tende l'impianto di videosorveglianza, esulasse dalle attribuzioni dell'organo assembleare.
La base del ragionamento era il seguente: il coinvolgimento, quale oggetto delle riprese, di terze persone implica il trattamento di dati personali di cui l'assembla stessa non può essere titolare; la relativa deliberazione è volta ad uno scopo estraneo alle esigenze dell'edificio, come tale non rientrante nei poteri dell'assemblea (Tribunale Salerno, 28 dicembre 2010; Tribunale di Varese 16 giugno 2011, n. 1273); si tratta di un comportamento che viola il diritto alla riservatezza dei condomini in cui manca il requisito della proporzionalità: “per la sicurezza di uno, il danno ai tanti” (Trib. Nola, sez. II civ., ord. 3 febbraio 2009).
A chiusura di queste osservazioni, si riteneva che l'installazione della videosorveglianza non era di per sé prestazione finalizzata a servire i beni in comunione. Si tratta di una questione diretta a perseguire finalità estranee alla conservazione e alla gestione dei beni comuni.
Altra parte della giurisprudenza, volendo salvare la facoltà per l'edificio di installare questo servizio, ha evidenziato che la decisione della riunione di condominio, ove assunta all'unanimità degli abitanti dell'edificio, supera ogni ostacolo alla validità della deliberazione. In questo caso, “si perfeziona un consenso comune atto a fondare effetti tipici di un negozio dispositivo dei diritti coinvolti”. (Tribunale Salerno, 28 dicembre 2010; Tribunale di Varese 16 giugno 2011, n. 1273).
Questa conclusione non pare condivisibile almeno per il passato (prima dell'entrata in vigore dell'art. 1122ter c.c.) perché non tiene conto delle premesse del ragionamento sopra esposto: se il contenuto delle riprese può interessare potenzialmente (anche) coloro che frequentano l'edificio per ragioni diverse dall'essere condomini, l'unanimità degli abitanti dell'edificio non è sufficiente. La titolarità del trattamento si estende ai terzi: anche questi dovrebbero esprimere l'assenso alla ripresa e conseguente registrazione.
Il dato certo è (e era) l'esclusione della fattispecie penale di cui al delitto di interferenza illecita nella vita privata, sancito dall'art. 615-bis c.p. La giurisprudenza penale ritiene infatti lecite le apparecchiature posizionate all'esterno di un edificio quando hanno ad oggetto l'inquadramento di un cortile comune interno. Qquesto luogo del condominio viene qualificato come esposto al pubblico e pertanto soggetto a visibilità (Cass. pen. n. 22602 del 2008). La motivazione è la seguente: “almeno in sede penale, la questione è stata risolta in senso affermativo. La Suprema Corte di Cassazione, infatti (Cass. pen. Sez. V, sentenza 21 ottobre – 26 novembre 2008, n. 44156 in Dir. Pen. e Processo, 2009, 9, 1125), ha affermato che “non commette il reato di cui all'articolo 615-bis del codice penale (interferenze illecite nella vita privata) il condomino che installi per motivi di sicurezza, allo scopo di tutelarsi dall'intrusione di soggetti estranei, alcune telecamere per visionare le aree comuni dell'edificio (come un vialetto e l'ingresso comune dell'edificio), anche se tali riprese sono effettuate contro la volontà dei condomini” specie se i condomini stessi siano “a conoscenza dell'esistenza delle telecamere” e possano “visionarne in ogni momento le riprese” (Cass. pen. n. 22602 del 2008; cfr. Tribunale di Varese 16 giugno 2011, n. 1273).
Questo diverso orientamento si giustifica alla luce del fatto che i beni e le tutele sono in ambiti diversi. La giurisprudenza penale si colloca, sulla scia della decisione delle Sezioni Unite penali n. 26795 del 28 marzo 2006, nell'ambito della tutela della riservatezza, nello specifico quella domiciliare. La mancanza di reato ex art. 615-bis c.p. non rappresenta per ciò solo motivo di liceità della medesima condotta in sede civile (Trib. Nola, sez. II civ., ord. 3 febbraio 2009).
La novella non pare aver condiviso i precedenti in ambito civilistico. Con l'introduzione dell'art. 1122ter c.c. ha dato prevalenza all'interesse alla sicurezza dell'edificio e dei loro abitanti. Rientra quindi nelle attribuzioni dell'assemblea la necessità di soddisfare l'esigenza diretta a preservare la sicurezza degli abitanti dello stabile a fronte di aggressioni, scippi, furti e così via. E' prerogativa dell'organo supremo dello stabile la conservazione dell'integrità lato sensu della collettività condominiale, compresi i beni e i servizi comuni. Questa competenza si può dire in qualche modo collegata al potere/dovere dell'amministratore di porre in essere tutti gli atti conservativi necessari e utili al godimento dello stabile, delle sue parti e servizi, come previsto dall'art. 1130, n. 4 c.c.
Da ultimo è interessante segnalare che la Corte Suprema di Cassazione, con la decisione del 3 gennaio 2013, n. 71, ha osservato, che in caso di motivata urgenza il singolo condomino può procedere all'installazione di un impianto di videosorveglianza sulle parti comuni senza il preventivo consenso dell'assemblea condominiale e richiedere all'amministratore il rimborso delle spese sostenute.
Nel caso di specie è stato dichiarato il diritto ex art. 1134 c.c. del condomino al rimborso delle spese affrontate nell'interesse dell'intero edificio per l'installazione in via d'urgenza di una telecamera a circuito chiuso con videoregistratore semestrale, al fine di scoraggiare azioni di danneggiamento, ulteriori rispetto a quelle già denunciate nel caso di specie.
La Suprema Corte ha affermato, con questa pronuncia, il principio secondo cui non sussistono gli estremi del delitto di interferenze illecite nella vita privata ove un soggetto effettui riprese di un'area condominiale destinata all'uso di un indeterminato numero di persone, escludendo pertanto la violazione della privacy.
Il tema della sicurezza è importante per la riforma al punto tale da prevedere la partecipazione dell'edificio a progetti che interessano la zona di sua collocazione. Così è per l'art. 1135 ultimo comma c.c. che prevede che “L'assemblea può autorizzare l'amministratore a partecipare e collaborare a progetti, programmi e iniziative territoriali promossi dalle istituzioni locali o da soggetti privati qualificati, anche mediante opere di risanamento di parti comuni degli immobili nonché di demolizione, ricostruzione e messa in sicurezza statica, al fine di favorire il recupero del patrimonio edilizio esistente, la vivibilità urbana, la sicurezza e la sostenibilità ambientale della zona in cui il condominio è ubicato.”

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