Condominio

Quando il singolo condòmino è parte del processo

di Anna Nicola

La decisione della Cassazione a Sezioni Unite del 18 settembre 2014, n. 19663 ha risolto un contrasto interpretativo tra precedenti decisioni della stessa Suprema Corte che durava da anni.
Le Sezioni Unite hanno affermato che, in ipotesi di giudizio intentato dall'amministratore di condominio, pur autorizzato dall'assemblea, a tutela di diritti connessi alla situazione dei singoli condomini, ma senza che questi ultimi siano stati parte in causa, la legittimazione ad agire per l'equa riparazione, correlata alla violazione del termine ragionevole del processo, spetta esclusivamente al condominio, da intendere ormai quale autonomo soggetto giuridico.
La giurisprudenza ha sempre e costantemente riconosciuto ai singoli condòmini il potere di agire in difesa dei diritti connessi alla loro posizione di condomino, suffragando quella del condominio, impersonificato dall'amministratore. Il singolo può altresì avvalersi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti della soccombenza patita dal condominio.
Tuttavia, la Cass. n. 19663 del 2014, dopo aver affermato che la nozione di “ente di gestione” rischia di ingenerare equivoci, anche sulla scorta dell'analisi della Riforma del condominio (legge 11 dicembre 2012, n. 220), evidenzia la progressiva configurabilità in capo al condominio di una sia pur attenuata personalità giuridica, ovvero comunque sicuramente di una soggettività giuridica autonoma. Quindi, se la pregressa richiamata costruzione giurisprudenziale aveva ritenuto che il singolo condomino dovesse sempre considerarsi parte nella controversia tra il condominio ed altri soggetti, anche se rappresentato ex mandato dell'amministratore, proprio per la prospettazione dell'assoluta mancanza di soggettività del condominio, questa impostazione, asseriscono le Sezioni Unite, entra in stallo ove ci soffermi sull'autonomia del condominio come centro di imputazione di interessi, di diritti e doveri, cui corrisponde una piena capacità processuale. In tal caso, infatti, il singolo condomino dovrà “essere considerato “parte” in quel processo solo se vi intervenga», e non, invece, già “qualora sia rappresentato dall'amministratore”.
D'altronde si tratta di due figure distinte, da un lato l'edificio che viene rappresentato dall'amministratore, dall'altro il singolo condomino, persona fisica. La distinzione si attenua e il condomino trova ingresso nel giudizio nel caso in cui svolga l'atto di intervento in detta controversia
La decisione delle Suprema Corte n. 16562/2015 rileva che non vi è la legittimazione del singolo condòmino (non costituitosi autonomamente) all'impugnazione della sentenza di primo o di secondo grado resa nei confronti del condominio. Fatta eccezione per l'opposizione di terzo, infatti, la legittimazione all'impugnazione spetta esclusivamente a chi abbia assunto la qualità di parte nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata e nei cui confronti la sentenza risulti emessa. La peculiare legittimazione all'impugnazione riconosciuta dalla giurisprudenza ai condomini rimasti in precedenza estranei al giudizio trovava la sua ragione, per contro, nell'argomento, superato da Cass. sez. un. 19663 del 2014, della loro automatica assunzione della qualità di parte per effetto della sola costituzione dell'amministratore mandatario. Non si può ritenere che il giudicato formatosi all'esito di un processo in cui sia stato parte il solo amministratore di condominio, faccia stato anche nei confronti dei singoli condomini, ove gli stessi non siano effettivamente intervenuti nel giudizio, assumendo perciò la veste di “parte” rilevante agli effetti dell'art. 2909 c.c.
La peculiare legittimazione all'intervento come all'impugnazione, riconosciuta ai singoli condomini sia come autonoma iniziativa, sia come iniziativa sostitutiva di quella del mandatario dello stabile, trova la sua ragione esclusivamente nella partecipazione degli stessi al diritto di proprietà sulle parti comuni dell'edificio, ovvero nel loro diritto esclusivo di proprietà sulla singola unità immobiliare.
La base per poter dire che il condòmino è legittimato all'azione è data dalla (com)proprietà dei beni e/o servizi comuni. Neppure l'assemblea può prevaricare questo diritto.
Ciò significa che il condomino non può agire per quei rapporti che concernono non i diritti in sé su beni o servizi comuni, bensì la gestione di essi, in quanto intesi a soddisfare esigenze soltanto collettive della comunità condominiale.
Quanto detto porta con sé che il potere di intervento in giudizio e di impugnativa del singolo potrà affermarsi in materia di controversie aventi ad oggetto azioni reali, incidenti sul diritto pro quota o esclusivo di ciascun condomino, o anche azioni personali, ove incidenti in maniera immediata e diretta sui diritti di ciascun partecipante; mentre sarebbe da escludere l'impugnazione individuale per quelle controversie concernenti la gestione o la custodia dei beni comuni, in nome delle esigenze plurime e collettive della comunità condominiale. Nelle cause di quest'ultimo tipo, essendo la situazione sostanziale riferibile unicamente al condominio in quanto tale, la legittimazione ad agire e, quindi, anche ad impugnare, dovrebbe spettare in via esclusiva all'amministratore, e la mancata impugnazione della sentenza da parte di quest'ultimo dovrebbe finire per escludere la possibilità d'impugnazione da parte del singolo condomino.

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