Condominio

Quando alcune unità immobiliari non partecipano alle spese

di Raffaele Cusmai


Ove non vi siano specifiche disposizioni del regolamento di condominio, ovvero l'assemblea non abbia validamente deliberato una diversa distribuzione delle spese, vale la disciplina legale posta dal Codice civile. L'art. 1117 c.c. stabilisce che sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo oltre ché tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune anche “le opere le istallazioni e i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune”. Tra esse la legge ricomprende a titolo esemplificativo gli impianti idrici e quelli per la ricezione radiotelevisiva. Si presume pertanto che sia la fontanina che l'antenna centralizzata appartengano a tutti i condomini. Lo stesso è a dirsi per i bidoni della raccolta differenziata a prescindere dalla dichiarazione di non produrre immondizia. Non è infatti utilizzabile dalle unità non abitative il principio desumibile dall'art. 1123, secondo comma, c.c. in base al quale “se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne”. Il servizio differente verso ciascun condomino guarda infatti all'impiego potenziale e non a quello realmente effettuato dai condomini.
In base all'art. 1118 comma 2, del resto, il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni, né sottrarsi all'obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d'uso della propria unità immobiliare (comma 3).
In base all'art. 1123, inoltre, le spese necessarie per il godimento delle parti comuni e per la prestazione dei servizi nell'interesse comune sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo, come premesso, non sia stata validamente deliberata dall'assemblea una diversa convenzione (l'applicazione del contatore dell'acqua, ad esempio, risponde alla predetta logica).
Può essere in proposito utile considerare quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 17557 del 2014 riguardo ai criteri di ripartizione delle spese per il consumo dell'acqua in condominio. Avere riguardo all'effettivo consumo è ad esempio consentito se rilevabile oggettivamente con strumentazioni tecniche in quanto “l'installazione in ogni singola unità immobiliare di un apposito contatore consente, da un lato, di utilizzare la lettura di esso come base certa per l'addebito dei costi, salvo il ricorso ai millesimi di proprietà per il consumo dell'acqua che serve per le parti comuni dell'edificio”
Inoltre, ha affermato la Corte, “esentare gli appartamenti non abitati dal concorso nella spesa significa sottrarli non solo al costo del consumo idrico imputabile al lavaggio delle parti comuni o all'annaffiamento del giardino condominiale, ma anche a quella parte della tariffa per la fornitura dell'acqua potabile che è rappresentata dal minimo garantito quale quota fissa per la disponibilità del servizio da parte del gestore, la quale, parametrata sul numero delle unità immobiliari domestiche facenti parte del condominio, è indipendente dal consumo effettivo”.
Quanto alla possibilità di imporre alle unità abitative di installare il contatore si segnala che il DPCM 4 marzo 1996, recante “Disposizioni in materia di risorse idriche” ha introdotto l'obbligo, per ogni singola unità abitativa, di installare dei contatori di ripartizione del consumo dell'acqua. Pertanto, costituisce facoltà di ciascun condomino quella di imporre agli altri l'istallazione del contatore di scarico attraverso apposita delibera assembleare, anche mediante ricorso al Giudice di Pace.
Va in più considerato che, a seguito dell'entrata in vigore del D.L. n° 152 del 3 Aprile 2006, art. 146, tale obbligo è stato esteso anche alle attività produttive e terziarie.

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