Condominio

Restano valide tutte le clausole del regolamento accettato con il rogito

di Valeria Sibilio

L'ampiamento di una scala condominiale, finalizzata all'installazione di un ascensore, ha privato un’unità immobiliare del proprio accesso sulla via pubblica. È questo il problema che ha portato, dopo i vari gradi di giudizio, all’ordinanza della Cassazione 21632 del 2017, depositata ieri . In prima istanza, il Tribunale aveva rigettato la domanda di una società la quale aveva citato a comparire in giudizio il proprio condominio, in seguito all'acquisto di una porzione immobiliare posta al piano terra di un fabbricato priva di accesso alla pubblica via. Questa interclusione era stata determinata dall'ampliamento di una scala condominiale compiuto dal condominio alla fine degli anni “ottanta”. Una interclusione determinata dalla circostanza che la società aveva alienato a terzi un'ulteriore porzione dotata di accesso alla pubblica via ma non gravata da servitù di passaggio a favore dell'unità attrice. La società chiedeva di accertare e dare atto dell'illiceità dell'intervento operato dal condominio sul bene comune e conseguentemente far ordine a quest'ultimo di ripristinare a sua cura e spese lo status originario, così da ricostituire l'accesso alla sua proprietà.
Anche il giudizio in secondo grado risultava negativo, in quanto, per la Corte d'Appello, dalla scrittura privata autenticata di compravendita del 18.2.1983, intercorsa tra l'originaria proprietaria dell'intero stabile e la immobiliare, si desumeva che la venditrice si riservava il diritto di procedere in forza di formali concessioni edilizie all'esecuzione dei lavori di ristrutturazione e di frazionamento dello stabile, con facoltà di apportare modifiche e variazioni alla consistenza degli enti e servizi comuni, nonché con facoltà di provvedere alla installazione di due ascensori al servizio dell'intero stabile, il tutto senza corresponsioni di indennità o compenso alcuno agli altri condòmini e fermo l'obbligo di non addebitare spese e di non arrecare alcun pregiudizio alla attuale struttura degli enti. L'acquirente, a sua volta, aveva accettato, con obbligo di osservazione, il regolamento condominiale.
Contro tale sentenza la società in questione poneva ricorso, motivandolo con il fatto che la proprietaria dell'immobile si riservava il diritto di apportare modifiche a due condizioni: il conseguimento di formali concessioni edilizie per i lavori da eseguire e che queste non fossero di pregiudizio per la porzione immobiliare alienata nel 1983.
Per la Cassazione, la Corte d'Appello ha ineccepibilmente affermato che il regolamento di condominio, predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio, era stato accettato e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, assumendo, perciò, carattere convenzionale e vincolando tutti i successivi acquirenti non solo con riferimento alle clausole che disciplinano l'uso o il godimento dei servizi o delle parti comuni, ma anche a quelle che restringono i poteri e le facoltà dei singoli condòmini sulle loro proprietà esclusive. Nessuna pretesa, quindi, poteva vantare l'appellante principale, rispetto ad una compressione delle sue facoltà d'uso di enti comuni.
La Cassazione ha, perciò, rigettato il ricorso, condannando la ricorrente a rimborsare al condominio le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge.

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