Condominio

Non sono opponibili al condominio le prove testimoniali sulla rateizzazione delle spese

di Edoardo Valentino

La Corte di Cassazione, che è giudice di legittimità e non di merito, non può statuire sull'opportunità delle scelte istruttorie dei giudici che la hanno preceduta.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza 21313 del 14 settembre 2017.
Nel caso in oggetto un amministratore domandava un decreto ingiuntivo nei confronti di un condomino, il quale aveva omesso di corrispondere la propria quota di spese relativamente a dei lavori eseguiti sul tetto e sulla caldaia.
Il condomino, però, faceva opposizione al decreto ingiuntivo sulla base di svariati motivi di fatto e diritto.
Il primo grado di giudizio si chiudeva con la totale soccombenza dell'attore opponente.
Medesimo copione seguiva il grado di Appello, nel corso del quale il proprietario proponeva impugnazione sulla base di svariati (pretestuosi) motivi che la Corte respingeva integralmente.
Vista la duplice soccombenza il condomino agiva in Cassazione.
A tal fine depositava un lungo e articolato ricorso basato su sei motivi di diritto.
L'analisi dei predetti motivi, tutti ritenuti infondati dalla Suprema Corte, esula dallo scopo del presente editoriale, che si concentrerà quindi unicamente sul quarto.
Con la quarta doglianza, infatti, denunciava la violazione e falsa applicazione dell'articolo 360 comma 1 numero 5 del Codice di Procedura Civile.
Tale norma afferma che “Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione:
[…]
5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.
Nello specifico secondo il ricorrente l'omesso esame consisteva sul fatto che il Giudice di Appello non avesse proceduto all'escussione di testimoni – a suo dire – in grado di provare l'esistenza di un accordo tra il debitore e l'amministratore sulle spese dovute.
Secondo il condomino tale accordo avrebbe previsto il pagamento delle spese dovute in tre rate previo l'invio da parte dell'amministratore di alcuni documenti.
La prova testimoniale invocata avrebbe dovuto, quindi, dimostrare che i mancati pagamenti non erano dipesi dal ricorrente, ma dal mancato invio dei documenti da parte dell'amministratore.
Nell'esaminare il punto sopra citato, la Cassazione ribadiva il principio per cui essa è solo giudice di legittimità, senza possibilità di decidere sul merito di quanto avvenuto nei primi gradi di giudizio.
Il compito della Cassazione, infatti, non è quello di fornire una terza opinione sui fatti di causa, ma di pronunciarsi sul rispetto delle norme e delle procedure da parte dei giudici di merito che l'hanno preceduta.
Nell'illustrare il motivo del rigetto della predetta doglianza, quindi, la Corte affermava che a lei spetta “la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dai giudici di merito, ai quali spetta in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonea dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge”.
Nel caso in questione, quindi, la Corte non può pronunciarsi sulla scelta operata dalla Corte d'Appello, ma solo valutare se tale scelta ha portato ad una contraddizione o contrasto tra le argomentazioni tale da rendere impossibile seguire il ragionamento logico della sentenza.
La sentenza impugnata, tuttavia, spiega la ragione del diniego della descritta attività istruttoria, affermando che questa si sarebbe resa necessaria solo se l'oggetto di causa fosse stato la responsabilità dell'amministratore e in ogni caso priva di rilievo ai fini del giudizio, dato che comunque l'accordo insisteva apparentemente solo sulle spese del tetto, mentre sarebbe persistito l'inadempimento sul versamento delle spese della caldaia.
Sulla base di tale motivazione, quindi, il quarto motivo di ricorso veniva rigettato dalla cassazione.
Parimenti, anche gli altri cinque motivi venivano rigettati e la Suprema Corte, decretando la soccombenza del condomino, riteneva anche applicabile la sanzione del raddoppio del contributo unificato versato ai sensi della legge 228/2012.

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