Condominio

Il condominio è veramente indivisibile?

di Anna Nicola

L'art. 1119. – “Indivisibilità” così recita:
“Le parti comuni dell'edificio non sono soggette a divisione, a meno che le stesse siano state sottratte all'uso comune per effetto di una deliberazione ai sensi dell'articolo 1117-ter se la divisione può avvenire in parti corrispondenti ai diritti di ciascuno, rispettando la destinazione e senza pregiudicare il valore delle unità immobiliari. Si applicano le disposizioni degli articoli 1111 e seguenti, con il consenso di tutti i partecipanti al condominio.”
L'articolo 1119 del codice civile, in materia di indivisibilità, viene radicalmente innovato.
Sebbene l'indivisibilità dei beni comuni sia principio generale in tema di condominio, come già sancito in precedenza, la nuova norma contempla la fattispecie in cui il bene può essere diviso, disponendo quando e con quale esito la divisione è possibile.
Prima della novella era possibile sempreché si permettesse la continuazione dell'uso delle cose, singolarmente considerate, derivante dalla divisione del “bene complesso” da parte di tutti i contitolari. Non poteva essere creato un utilizzo più incomodo in capo ai singoli. Se, ad esempio, si voleva dividere il cortile condominiale, da sempre utilizzato come comune parco giochi, tra tutti i condomini, non si riteneva possibile che un individuo ottenesse una porzione non utilizzabile a suo personale giudizio quale cortile/parco giochi. Con la novella non si ha più una visione soggettiva dell'uso del singolo bene derivante dalla spartizione della cosa comune. Si ha come termine di riferimento la destinazione oggettiva. Nell'esempio appena riportato, vale la destinazione di tutte le porzioni quali cortili e non la soggettiva valutazione del condomino di non poter utilizzare la sua quota, ottenuta dalla divisione, a questi fini.
È permessa la divisione, alla luce della novella, se vi è una previa delibera che sottrae il bene alla destinazione comune, a norma del nuovo art. 1117ter c.c. Questa norma è in tema di modificazioni della destinazione d'uso dei beni comuni. La deliberazione è possibile se sussistono esigenze di carattere condominiale e se viene assunta con maggioranze particolarmente qualificate: è richiesta l'espressione del voto dei quattro quinti del partecipanti al condominio che rappresentino anche i quattro quinti del complessivo valore dell'edificio. Riprendendo l'esempio, l'assemblea deve deliberare, con questo quorum, che il cortile comune non serve più alla collettività dell'edificio quale parco giochi e che quindi viene suddiviso tra i singoli.
Ci si chiede se è sufficiente la sola decisione dell'assemblea di eliminare la destinazione comune o se la fattispecie debba essere a formazione progressiva. Ci si domanda se occorre la deliberazione ex art. 1117ter c.c. sulla cui base viene esclusa la destinazione del bene a favore della collettività dell'edificio e poi, per poter dividere il bene tra i suoi contitolari, ottenere il concorso unanime dei condomini. Se l'assemblea che delibera la modificazione d'uso non è totalitaria essa non può deliberare la divisione del bene, una volta decisa la sua sottrazione alla destinazione comune.
Questo perché siamo in ambito di diritto di proprietà del cortile, diritto sussistente in capo a ogni condomino. Occorrerebbe forse un successivo incontro dove non solo è richiesto che siano presenti tutti i condomini ma dove deve esservi anche il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio alla divisione. Se uno solo oppone il rifiuto, il bene rimarrebbe comune, non potendo essere diviso, neppure tra coloro che lo desiderano. Il bene deve essere oggetto di attribuzione della proprietà singola in capo ai suoi titolari. Diversamente occorrerebbe l'espressa rinunzia ai rispettivi diritti che i contitolari potrebbero vantare sui beni che derivano dall'operazione di divisione. Si ritiene che il consenso debba essere prestato dai singoli partecipanti alla collettività ai fini della materiale attribuzione di tanti beni quanti sono i condomini: l'opposizione di un singolo impedisce questo risultato. Non così nel caso di rinunzia, sulla cui base il singolo presta il consenso a che la sua quota vada a accrescere la proprietà singola degli altri, eventualmente dietro corrispettivo.
Ritornando all'esempio, tutti ottengono una porzione di cortile (non più parco giochi) grazie all'accordo di divisione in ragione dei propri millesimi. Chi ha più millesimi degli altri ottiene una quota del cortile più grande. Se a un condomino non interessa avere la sua porzione e vi rinunzia, gli altri ottengono la sua fetta di cortile –cioè, grazie alla rinunzia del primo- che viene tra loro suddivisa tenendo conto dei millesimi di riferimento.
Dalla divisione devono conseguire, come risultato concreto, tante parti di beni (rectius, tanti beni) quanti sono i diritti dei condomini. L'esito finale deve rispettare la singola precedente destinazione e non deve pregiudicare il valore delle rispettive unità immobiliari. Il singolo bene spettante a ogni condomino derivante dalla divisione deve corrispondere al valore espresso dalle tabelle millesimali per ogni contitolare. Se, ad esempio, la tabella attribuisce all'alloggio di un certo condomino la misura del 30% del diritto di proprietà dei beni comuni, in questi stessi termini deve essere attribuito a detto condomino il bene risultante dall'operazione di divisione del bene comune.
Sul tema della destinazione, ci si chiede qual è la destinazione da rispettare a operazione di divisione avvenuta, visto che per poter suddividere il bene occorre che vi sia la previa deliberazione ex art. 1117ter c.c., con cui il medesimo è stato ha sottratto alla sua destinazione originaria. L'inciso “rispettando la destinazione” potrebbe fare riferimento alla destinazione soggettiva dei singoli, essendo già di per sé cessata la destinazione d'uso comune sulla base della deliberazione di esclusione della destinazione comune che costituisce il presupposto della fattispecie in esame. Potrebbe invece intendersi la destinazione del bene in ragione del suo essere. Così, il cortile deve rimanere cortile, sebbene non più parco giochi.
La norma termina rimandando all'art. 1111 e segg. c.c., cioè alla disciplina della divisione della comunione. Il singolo comunista ha la facoltà di chiedere la divisione in sede giudiziale. Il giudizio vede coinvolti tutti i condomini, costituendosi un'ipotesi di litisconsorzio necessario e dovendo la divisione essere opponibile a tutti i soggetti coinvolti. Anche in sede giudiziale, il rifiuto o l'opposizione di un condomino comporta l'emanazione di una sentenza di rigetto della domanda, stante l'impossibilità di effettuare la divisione del bene in mancanza della totalità dei consensi. Il richiamo all'art. 1112 c.c. sottolinea, ancora una volta, che la divisione è possibile se il bene è materialmente divisibile in tante parti quanti sono gli aventi diritto. L'art. 1113 c.c. è importante per quanto concerne la posizione di eventuali terzi, creditori o aventi causa, che possono avanzare pretese sul bene comune. Essi hanno diritto di partecipare alla divisione affinché possano manifestare la propria posizione e il proprio parere e per fare in modo che la divisione, se attuata, sia a loro opponibile. Se ad esempio un soggetto vanta un credito nei confronti di un condomino, questi può intervenire alla divisione al fine di ottenere che la quota parte del cortile venga direttamente a lui attribuita in sostituzione del credito vantato.
Poiché il richiamo alla divisione della comunione è integrale, il consenso dei condomini deve essere unanime in ragione della decisione dei singoli di liberarsi del proprio diritto di comproprietà. Anche per la fattispecie condominiale, il singolo può rinunciare, con il c.d. atto di rinuncia abdicativa, al proprio diritto di comproprietà; comportando l'acquisizione della sua quota ideale in capo agli altri contitolari del bene, per accrescimento. Se a un condomino non interessa avere la sua porzione di cortile e vi rinunzia, gli altri ottengono la fetta di cortile del primo che viene tra loro suddivisa in ragione dei rispettivi millesimi.
Seguendo la disciplina della divisione della comunione ordinaria, la previsione della possibilità della cessione a terzi della propria quota da parte del condomino pare voler escludere l'istituto della prelazione in ambito condominiale, come di recente affermato ex art. 732 c.c. per la prelazione ereditaria (Cass., 9.11.2009, n. 23691; Cass. 19.01.2012 n. 737)
Il richiamo operato dall'art. 1116 c.c. alla divisione ereditaria è importante in quanto permette di applicare il correttivo dei conguagli: se il bene risultato ad un condividente è di valore superiore rispetto a quello degli altri, le parti decidono di compensare questa differenza con l'esborso di una somma di denaro sulla cui base la divisione che si è ottenuta torna a parità. In questo senso occorre sempre tenere in considerazione i millesimi di riferimento degli immobili dei singoli condomini, diversamente dalla divisione ereditaria dove questo termine di raffronto non esiste. Nel caso di condominio il conguaglio può servire per permettere che il bene derivante dalla divisione sia di valore corrispondente a quanto spettante al singolo in ragione delle tabelle millesimali.
Se il condominio si scioglie allo scopo di costituire altri condomini separati, la norma in esame deve essere coordinata con gli artt. 61 e 62 disp. Att. C.c. Sono le disposizioni specifiche che prevedono la fattispecie dello scioglimento del complesso dell'edificio al fine della formazione di ulteriori autonomi edifici. Queste norme, che non hanno subito modifiche a seguito dell'intervento della novella, dettano la particolare disciplina e il procedimento da seguire (Trib. civ. Roma, sez. V, 3 febbraio 1994, n. 1821; Trib. civ. Bergamo, sez. III, 16 dicembre 2002, n. 3524; Cass. civ. 16.3.93, n. 3102)

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©