Condominio

Così si tutelano le "destinazioni d'uso"

di Anna Nicola


La riforma del Condominio ha introdotto una nuova norma, l'articolo 1117-quater codice civile , rubricata "Tutela delle destinazioni d'uso", che così recita «In caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso delle parti comuni, l'amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l'esecutore e possono chiedere la convocazione dell'assemblea, per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie. L'assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attività con la maggioranza prevista dal comma 2 dell'articolo 1136».
La nuova norma, qui in commento, intende tutelare i beni e servizi comuni affinché la loro destinazione non venga posta in pericolo o alterata. Com'è noto, ex articolo 1102 codice civile viene legittimato e consentito l'utilizzo di un bene o servizio comune in ragione della sua natura e del suo atteggiarsi nella realtà concreta, non superando i confini della finalità del bene. La finalità può essere per natura oppure perché impressa dal regolamento di condominio o dall'assemblea. Per esempio, un locale dell'edificio che per struttura è destinato al contenimento della caldaia non può essere goduto in ragione di un diverso suo uso.
La norma dispone che la tutela opera per il caso di attività che incide negativamente e in modo sostanziale. Deve quindi trattarsi di un profondo cambiamento e non di un semplice temporaneo mutamento d'uso.
Sebbene non sia espressamente indicato dalla norma, la lesione della destinazione d'uso deve derivare da un condomino. Non si ritiene che la fattispecie concerna anche i terzi, rientrando in questo caso nella disciplina propria dei poteri di rappresentanza sostanziale e processuale dell'amministratore, ai sensi dell'articolo 1130 e seguenti del codice civile . Non si esclude tuttavia che il termine "esecutore" sia stato voluto dal legislatore al fine di permettere la tutela del condominio a tutto campo, anche nei confronti di terzi estranei, legittimando il singolo condomino a diffidarlo nel proseguire nell'attività che lede la destinazione dei beni comuni. Si tratta di un principio già affermato in giurisprudenza: stante la qualificazione del condominio quale ente sfornito di personalità giuridica, la figura dell'amministratore – che non si configura quale legale rappresentante- non è tale da eliminare la legittimazione dei contitolari dell'edificio.
Se il condominio ha un cortile di piccole dimensioni destinato solo a parco giochi, il condomino non può parcheggiare la sua autovettura occupandone tutto lo spazio. La sosta della vettura non permette l'utilizzo del cortile in ragione della sua destinazione d'uso; essa lede negativamente e in modo sostanziale il godimento del cortile. In questo caso sia l'amministratore, sia un altro condomino possono diffidare autonomamente il condomino "trasgressore" (Cass. civ., sent. 6 febbraio 2013, n. 2840; Sez. II, sent. 29 aprile 1993, n. 5084; sent. 9 giugno 2000, n. 7891).
Pare consono alla convocazione dell'assemblea che il trasgressore sia un condomino, non avendo altrimenti significato il passaggio in sede di riunione di condominio prima - o al posto - dell'eventuale azione giudiziale. L'assemblea può chiedere all'esecutore la cessazione dell'attività: se non si trattasse di condomino, la disposizione avrebbe minor significato; il terzo non ha alcun titolo di collegamento con il condominio e viceversa.

La salvaguardia della destinazione d'uso è esigenza primaria
La salvaguardia della destinazione d'uso delle parti comuni è esigenza primaria. Già solo l'ostacolo alla comune destinazione del bene viene considerata come fattispecie da tutelare. In questo senso pare doversi interpretare la locuzione di attività che "incidono negativamente" sull'uso ordinario della cosa condominiale. Occorre tuttavia il concorso del "peso" di questa attività lesiva: per rientrare nel disposto normativo, l'attività deve non solo incidere negativamente ma anche essere di una certa portata, rendendo più difficoltoso il godimento del bene, per non dire impossibile, in ragione del suo concreto scopo. Questo dovrebbe essere il significato dell'indicazione "in modo sostanziale".
Non viene fornito un confine certo tra la legittima attività di utilizzo del bene e quella che non rientra nel suo ordinario uso. La tolleranza non comporta alcuna conseguenza. Il comportamento può non essere legittimo anche se viene tollerato dalla collettività degli abitanti dell'edificio. Non si ritiene che possa essere di aiuto all'analisi della norma la "tolleranza" concessa in ambito possessorio ex articolo 1144 codice civile. Se gli abitanti dello stabile hanno sempre permesso a un certo condomino di parcheggiare la sua vettura nel cortile comune, limitandone lo spazio, e non consentendo l'altrui utilizzo per qualsivoglia scopo, il non aver mai sollevato contestazione non legittima la prosecuzione di utilizzare il cortile come area di sosta per la vettura.
Parametro di valore può essere dato dall'articolo 1102 codice civile , norma in tema di comunione che vale ex articolo 1139 codice civile anche in ambito condominiale: «In tema di condominio, è legittimo, ai sensi dell'articolo 1102 codice civile, sia l'utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, purché nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri condomini, sia l'uso più intenso della cosa, purché non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi a tal fine avere riguardo all'uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno» (ex multis, Cass., sent. 19 luglio 2012, n. 12485).
La legittimazione attiva sostanziale contro il trasgressore è sia in capo all'amministratore, quale mandatario dell'edificio, sia in capo ai singoli condomini. Pare configurarsi come legittimazione alternativa. Il condomino e l'amministratore sono posti sullo stesso piano, potendo agire con le stesse modalità nei confronti di chi sta turbando la destinazione dei beni condominiali. Questi possono singolarmente diffidare l'esecutore, chiedendo la cessazione immediata dell'attività "vietata" o possono convocare l'assemblea affinché la riunione decida al riguardo, domandando la cessazione delle attività. La convocazione è valida anche se viene eseguita dal singolo condomino, stante l'interesse della collettività da tutelare. E' una deroga all'articolo 66 disp. att. codice civile, comma 1: mentre questa disposizione sancisce che la convocazione è un preciso compito dell'amministratore –una volta all'anno per l'approvazione del bilancio oppure quando viene presentata una richiesta da almeno due condomini rappresentanti almeno un sesto del valore dell'edificio- nella fattispecie in esame può domandarne l'indizione anche il singolo condomino. La sua legittimazione autonoma è prevista dall'articolo 66 disp. att. codice civile, in termini generali, solo nel caso in cui non vi sia il mandatario dello stabile.
La deliberazione deve essere presa a maggioranza dei presenti che rappresentano almeno la metà del valore dell'edificio.
Se si aderisce alla teoria che il trasgressore possa essere anche un terzo estraneo all'edificio, ci si domanda cosa possa imporgli l'assemblea, non potendo di certo applicargli sanzioni o simili.
In via alternativa alla convocazione della riunione di condominio, il condomino o l'amministratore può ricorrere all'autorità giudiziaria. L'azione legale del mandatario dello stabile pare qualificarsi come potere autonomo, che non necessita della previa deliberazione condominiale. Si rientra nel compimento di atti conservativi ex articolo 1130, n. 4, codice civile. L'azione può essere promossa anche in via d'urgenza, con la richiesta di provvedimenti cautelari. Ci si domanda se l'amministratore debba in prima battuta inviare una diffida di cessazione degli atti abusivi e, se del caso, di ripristino dello status quo ante, per poi convocare la riunione di condominio o citare l'esecutore in giudizio. La locuzione "e" potrebbe far propendere per un percorso progressivo che ha inizio con la diffida (Cass., sent. 26 giugno 2006, n. 14735).
«In materia di condominio degli edifici, il giudizio promosso dall'amministratore nei confronti dei condomini per inibire loro l'uso dell'autorimessa volto ad ottenere "ordinanza inibitoria dell'uso delle autorimesse da parte dei proprietari" a seguito di intervento dei Vigili del Fuoco che ne avevano dichiarato l'inidoneità a tale destinazione d'uso, rientra tra gli atti conservativi inerenti alle parti comuni dell'edificio; infatti il potere-dovere di compiere atti conservativi riconosciuto all'amministratore di condominio ex articoli 1130 e 1131 codice civile, si riflette sul piano processuale, nella facoltà di chiedere tra l'altro le necessarie misure cautelari. Ne' può fondatamente affermarsi che la suddetta azione non poteva essere proposta in quanto tendente ad ottenere provvedimenti pregiudizievoli degli interessi e limitativi dei diritti individuali della maggioranza dei condomini rappresentati dallo stesso amministratore; in realtà ai sensi degli articoli 1130 e 1131 codice civile, l'amministratore del condominio è legittimato senza la necessità di una specifica autorizzazione assembleare ad agire in giudizio nei confronti dei singoli condomini e di terzi anche al fine di compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio» (Cass., Sez. II, sent. 1 ottobre 2008, n. 24391)
I doveri dell'amministratore inoltre sono i tipici obblighi del mandatario, dovendo comportarsi secondo la diligenza del buon padre di famiglia ex articolo 1710 codice civile. Non pare di ostacolo all'autonoma legittimazione processuale dell'amministratore il dettato della norma in esame laddove prevede che «l'amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l'esecutore e possono chiedere la convocazione dell'assemblea, per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie»: la convocazione dell'assemblea al posto dell'immediata azione giudiziaria può apparire, nel caso concreto, soluzione più consona; l'amministratore può agire anche senza la previa deliberazione assembleare per via giudiziale, salvo richiedere la ratifica del suo operato alla riunione di condominio. Sul tema è intervenuta la Suprema Corte a Sezioni Unite (sent. n. 18332/2010) in questi termini, sebbene sotto il profilo della legittimazione passiva (sent. 6 agosto 2010, n. 18332).
Il singolo condomino può agire sia convocando direttamente l'assemblea sia promuovendo l'azione giudiziale (Trib. Roma, sent. 25 gennaio 2007, n. 10818 e Cass., sent. 16 ottobre 2008, n. 25251).
Com'è noto, la giurisprudenza afferma in modo granitico che il condominio è un ente di gestione sprovvisto di personalità giuridica distinta da quella dei propri partecipanti (cfr., tra le tante, Cass. sent. 14 dicembre 1993, n. 12304), anche se le nuove norme hanno iniziato a creare i primi dubbi in proposito. Infatti «è indubbio che il condominio, benché privo di autonoma soggettività giuridica, si configura come centro di imputazione di interessi diverso dal condomino e che è pienamente configurabile la responsabilità extracontrattuale del condominio anche nei confronti del condomino» (così Cass., sent. 19 marzo 2009, n. 6665).

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