Condominio

Quando l’amministratore interviene per «atti conservativi»

di Giuseppe Marando

I recenti drammatici fatti di cronaca, relativi al crollo di palazzine e fabbricati, hanno portato d'attualità il problema della sicurezza degli edifici, con la correlativa problematica del cosiddetto “Fascicolo (o libretto) del fabbricato”, richiamando più in generale il tema degli “atti conservativi” delle parti (e dei servizi) comuni. Varie disposizioni della normativa condominiale vietano di compiere opere che pregiudichino la stabilità e sicurezza del fabbricato; per altro verso il registro di anagrafe condominiale (art. 1129 n. 6 cod. civ.) deve contenere, a cura dell'amministratore e fra gli altri vari elementi, “ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza delle parti comuni dell'edificio”.
A fronte di tutto questo, il fondamentale, seppur generico, art. 1130 n. 4) cod. civ. fa obbligo all'amministratore di provvedere alla tutela con gli “atti conservativi”, che sono determinanti sia agli effetti della responsabilità contrattuale dell'amministratore stesso, sia per la sua autonoma legittimazione ad agire in giudizio senza bisogno di autorizzazione dell'assemblea (o di successiva ratifica). La facilitazione di poter intraprendere con rapidità una azione legale senza il passaggio assembleare (che richiede una maggioranza di 500 millesimi e le modalità ed i tempi della convocazione) trova un contrappeso nella mancanza di una catalogazione preventiva degli atti conservativi, a cui deve provvedere la giurisprudenza con valutazione successiva in ogni singolo caso concreto. Se la “conservazione” viene trascurata, a parte ogni responsabilità di ordine sia civile che penale, si verifica un pregiudizio nei diritti dei condòmini relativi al godimento dei beni e servizi comuni per il quale c'è l'onere delle spese di cui agli artt. 1123 e segg. cod. civ.
Una traccia di indirizzo generale ci viene da quella giurisprudenza che qualifica la conservazione come obbligo di custodire la parte comune e mantenerla in modo che duri a lungo e non si deteriori (Cass. ord. n. 21028/2015; Cass. n. 11747/2003), assimilandola alla manutenzione poichè mantenere significa preservare l'identità (Cass. n. 8292/2000). Emerge dalla casistica che la conservazione riguarda l'esistenza, l'integrità e la destinazione dei beni comuni; afferisce all'utilità oggettiva della cosa e quindi alla tutela dell'utilizzazione e del godimento dei beni comuni. Per logico sviluppo del concetto dovrebbe ricomprendere anche il mantenimento della funzionalità del bene e del servizio comune (un esempio che viene in mente è il provvedimento di urgenza per l'accesso nell'abitazione privata al fine dell'installazione delle valvole sui caloriferi senza i quali non sarebbe possibile utilizzare il sistema inderogabile di contabilizzazione: v. Trib. Pordenone 28/9/2015).
Gli atti conservativi possono essere materiali o giudiziali (per tutte: Cass. n. 20816/2015; Cass. n. 4338/2013). Gli atti giudiziali abbracciano, oltre alle misure cautelari ed ai provvedimenti d'urgenza (ad es., denuncia di nuova opera o danno temuto, recupero della documentazione condominiale dall'amministratore cessato o installazione dei contabilizzatori), anche tutte le azioni volte a realizzare la tutela (ed il godimento) delle parti comuni, ivi compresa la richiesta di risarcimento danni anche se esercitata in sede penale (fra le tante: Cass. pen. n. 3320/2015); rimangono escluse le azioni reali e quelle che incidono sulla condizione giuridica dei beni cui si riferiscono. Nella casistica degli atti conservativi “giudiziali” ricorrono con maggior frequenza quelli per il ripristino dello stato dei luoghi in caso di occupazione abusiva di parti condominiali con materiali o costruzione di manufatti, le azioni possessorie (per la sottrazione, ad opera di taluno dei condòmini, di una parte comune dell'edificio al compossesso di tutti gli altri); ma vi appartengono pure, secondo l'orientamento dei giudici, le azioni contro l'appaltatore per difformità e vizi dell'opera e per rovina e gravi difetti dell'edificio (con relativo risarcimento dei danni alle parti comuni), l'azione contro l'escavazione del sottosuolo effettuata da alcuni condòmini, proprietari di locali sotterranei, per l'ampliamento e unificazione degli stessi, e così via.
Il tema, però, che attualmente è all'attenzione generale ci conduce prevalentemente agli atti materiali. Questi riguardano la manutenzione ordinaria, quella straordinaria, le riparazioni, il rifacimento; per i lavori straordinari sussiste il potere dell'amministratore di agire autonomamente se hanno carattere d'urgenza (art. 1135 cod. civ., che impone di riferirne alla prima assemblea), ma in realtà si tratta di un dovere perché riguarda lavori che non si possono differire senza danno o pericolo imminente. Nel concetto di “conservazione” elaborato dalla giurisprudenza, come si è detto sopra, appare preminente l'aspetto della sicurezza ed integrità dell'edificio. Alla luce della norma sul registro di anagrafe condominiale e delle altre che vietano attività pregiudizievoli per la sicurezza si deve ritenere che la “conservazione” delle parti comuni viene anticipata con gli interventi preventivi determinati dalla conoscenza delle condizioni di sicurezza del condominio. Rimane per l'amministratore il problema di come possa rendersi conto dello stato di sicurezza di tutte le parti comuni elencate nell'art. 1117 cod. civ. ed in particolare del mezzo per attingere i relativi “dati”, a parte le certificazioni obbligatorie di conformità alla legge degli impianti comuni e la documentazione tecnica (v. art. 1130 n. 8 cod. civ.) in relazione alle opere (qualora effettuate) successive all'inizio del suo mandato od a quelle pregresse sempre se i documenti risultano esistenti. Un intervento chiarificatore del legislatore, da molti auspicato, sarebbe quanto mai opportuno.

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