Condominio

La porta sul confine crea una «veduta» anche se è in ferro

di Saverio Fossati

La «privacy» del Codice civile non perdona: aprire una porta a 75 centimetri dal confine configura comunque la violazione delle norme sulle distanze, che impongono un minimo di 1,5 metri. Lo afferma la Cassazione, sezione II (relatrice Milena Falaschi), con l’ordinanza 20273, depositata ieri , in coerenza con il dettato dell’articolo 905 del Codice civile: «Non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo»

La situazione esaminata dalla Corte è solo apparentemente particolare: la proprietaria di un immobile confina direttamente con un lastrico solare, dove un vicino apre e installa una porta (di ferro) a 75 centimetri. A questo punto la proprietaria chiede la chiusura della porta e l’innalzamento del muri di confine a tre metri di altezza. Sembra evidente che il lastrico solare non appartenga al vicino che ha praticato l’apertura, dato che altrimenti avrebbe potuto esercitare già la veduta per un diritto precedente e consolidato.

Le sue richieste vengono però bocciate dalla Corti di merito.

In particolare, per la Corte d’appello l’apertura non costituiva una veduta perché era in ferro e quindi non era possibile guardare nella proprietà confinante. Quindi «una porta non può dare luogo a una veduta perché carente di “inspectio”».

La Cassazione ha però valutato diversamente, ricordando che la stessa (sentenze 499/2006 e 1451/81) aveva chiarito che le vedute si configurano quando sia «oggettivamente possibile, in via normale, per le particolari situazioni o caratteristiche di fatto, anche l’esercizio della “prospectio” e “inspectio” su o verso il fondo del vicino». In particolare, chiarisce la Cassazione, la Corte di merito ha escluso “prospectio” e “inspectio” per il fatto che la porta fosse in ferro mentre non ha considerato lo stato dei luoghi, non considerando cioè le altre circostanze: la porta in ferro non basta cioè a escludere «l’obiettiva esistenza di una servitù di veduta».

In sostanza, quindi, è illecito aprire un’apertura per installare una porta (anche se di ferro, dalla quale non sia possibile scrutare oltre i confini almeno sinché è chiusa) a meno di 1,5 metri dal confine di un altro fondo, quanto meno quando siano anche solo teoricamente possibili “prospectio” e “inspectio”.

Il ricorso della proprietaria dell’immobile confinante è stato quindi accettato e rinviato alla Corte d’Appello.

Gli altri due motivi di ricorso sono stati respinti: con uno, in particolare, la proprietaria invocava la violazione della normativa edilizia e urbanistica.

Ma la Cassazione ha osservato che «in tema di realizzazione di opere abusive da parte dei proprietari di un fondo, i titolari del fondo finitimo sono legittimati alla richiesta di riduzione in pristino sempre che possano, in concreto, lamentare la violazione di un diritto soggettivo loro spettante, la prova della cui esistenza spetta, comunque, ai soggetti asseritamente lesi».

La tutela, tuttavia, è stata già garantita con la richiesta di rimozione della porta per violazione delle regole sulle distanze, dice la Cassazione, quindi la violazione edilizia non rileva in quanto «non integri diritti soggettivi».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©