Condominio

Ascensore nuovo, paga chi l’ha voluto

di Marco Panzarella e Silvio Rezzonico

L’ascensore, secondo l’articolo 1117 del Codice civile, è una parte comune dell’edificio e, di conseguenza, è soggetto a quanto previsto dall’articolo 1123, comma 1, del Codice stesso: le spese necessarie per la sua conservazione e il suo godimento «sono sostenute dai condòmini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione».

Il successivo articolo 1124, dopo la legge di riforma del condominio (n. 220/2012), ha sancito formalmente l’equiparazione dell’ascensore alle scale, disponendo che entrambi «sono mantenuti e sostituiti dai proprietari delle unità immobiliari a cui servono. La spesa relativa è ripartita tra essi, per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l’altra metà esclusivamente in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo». Il che vale, in linea di massima, per le spese di manutenzione sia ordinaria che straordinaria, a meno che un regolamento condominiale contrattuale non disponga diversamente.

Il principio si applica quando l’impianto è nato insieme all’edificio e quindi appartiene a tutti i condòmini proprietari. Nel caso descritto dal quesito, però, l’ascensore è stato costruito in un secondo momento e alla spesa hanno partecipato soltanto alcuni proprietari. Il che è possibile, in quanto l’installazione rientra fra le innovazioni voluttuarie e gravose, per le quali è previsto il godimento separato del bene, a cui solitamente si può accedere attraverso una chiave fornita a chi ha finanziato il costo dell’opera. L’articolo 1121, comma 3, del Codice civile prevede comunque che «i condòmini e i loro eredi o aventi causa possono tuttavia, in qualunque tempo, partecipare ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera».

Più complesso è valutare chi sia tenuto a contribuire alle spese per l’adeguamento dell’impianto alle norme europee. Sulla questione esistono due distinti orientamenti. Il primo considera l’adeguamento al pari della manutenzione e, di conseguenza, per la suddivisione dei costi applica il doppio criterio dettato dall’articolo 1124 del Codice civile (millesimi e altezza piano). Per il secondo orientamento, invece, le opere di adeguamento non hanno nulla ha a che fare con l’utilizzo dell’impianto e sono paragonabili all’installazione di un nuovo ascensore: dunque, per questo motivo la spesa, a norma dell’articolo 1123, comma 1, andrebbe ripartita in proporzione ai millesimi di ciascun proprietario, e tutti gli altri condòmini non sarebbero tenuti a pagare alcunché.

Questo principio non varia neanche nel caso in cui l’ascensore sia sprovvisto della serratura e della chiave e quindi, potenzialmente, l’utilizzo sia consentito a chiunque, condòmini ed estranei. Spetta, infatti, ai proprietari dell’impianto decidere se servirsi o meno della chiave, mentre l’amministratore non può agire contro i condòmini inadempienti se non dopo avere avuto l’autorizzazione dell’assemblea. Il costo per installare la serratura con la chiave, al pari dell’installazione, è a carico dei condòmini proprietari, che pagano in base ai millesimi in loro possesso.

Un’ultima considerazione riguarda la natura dell’intervento. Alla stregua di quanto affermato dall’amministratore, nella specie le opere di adeguamento alle normative europee, pur contribuendo a garantire maggiore sicurezza, non sono imposte per tutti gli impianti, ma solo per gli ascensori e montacarichi datati, ossia costruiti prima dell’entrata in vigore del Dpr 162/1999. In sostanza, solamente gli ascensori installati dopo il luglio del 1999 devono possedere determinati requisiti (tra cui l’allineamento obbligatorio al piano, l’illuminazione d’emergenza in cabina, l’installazione di dispositivi di comunicazioni bidirezionali collegati a una centrale di soccorso), mentre i più “vecchi” non sono coinvolti, salvo che per gli interventi di controllo e manutenzione periodica.

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